Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27302 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8521-2020 proposto da:

N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentato e difeso unitamente dagli avvocati FRANCESCO DI CIOLLO, TIZIANA AGOSTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5264/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. N.S., con atto notificato il 24 febbraio 2020, propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, avverso la sentenza n. 5264/2019 della Corte d’Appello di Roma pubblicata in data 5 agosto 2019. Con controricorso resiste il Ministero della Salute.

2. Per quanto ancora d’interesse, la sentenza in questa sede impugnata origina dall’appello interposto dal sig. N. avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda da lui proposta nei confronti del Ministero della Salute, tesa al risarcimento del danno non patrimoniale subito, in ragione della prospettata responsabilità del ministero convenuto per la contrazione del virus HCV a seguito di profilassi antitetanica praticatagli il 17/8/1987 presso l’Ospedale di Fondi. In particolare, il Tribunale riteneva maturata la prescrizione del diritto fatto valere in quanto l’attore aveva introdotto il giudizio il 30/12/2009, ossia cinque anni dopo la data in cui egli aveva avuto consapevolezza della ascrivibilità causale dell’affezione contratta alla profilassi antitetanica.

3. La sentenza di prime cure è stata confermata in sede di gravame. La Corte d’Appello di Roma, infatti, ha individuato il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione in un momento antecedente rispetto all’istanza ex lege n. 210 del 1992 presentata dal danneggiato il 21/6/2005. In specie, ha ritenuto che dalle risultanze ex actis emergeva che a partire dal 1993 fino al 2005 l’appellante era stato sottoposto a costante e qualificata cura da parte di nosocomi specializzati, in costanza di una letteratura scientifica che riconosceva la pericolosità del sangue e dei derivati riguardo alla possibilità di contrazione del virus, collocabile tra il 1993 e il 2004, data in cui il danneggiato ben poteva percepire la patologia come conseguenza della profilassi antitetanica, mentre è rimasto inerte sino al dicembre 2009, data di introduzione del presente giudizio.

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo si denuncia “Nullità della sentenza di appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver dichiarato la prescrizione del diritto al risarcimento del danno dell’odierno ricorrente. Erronea individuazione del dies a quo della prescrizione quinquennale. Falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1”. Si denuncia che la Corte d’Appello avrebbe dovuto individuare il dies a quo del termine di prescrizione dalla presentazione dell’istanza di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 in quanto, prima della domanda de qua, non vi sarebbero stati elementi idonei a provare la conoscenza o conoscibilità da parte del danneggiato della derivazione causale della malattia dalla profilassi antitetanica; tale prova, peraltro, potrebbe essere dedotta anche in via presuntiva, mentre il giudice di secondo grado avrebbe basato il proprio convincimento su mere congetture.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto già conosciuta la patologia contratta, e conoscibile la sua derivazione causale, in epoca anteriore all’istanza ex lege n. 210 del 1992, mediante un accertamento fattuale, non sindacabile in questa sede, sulla base di un iter argomentativo percepibile e adeguato, non inficiato dalle censure svolte nel motivo del ricorso che – in buona sostanza – si risolvono in una diversa lettura delle medesime circostanze fattuali già valutate nei precedenti gradi di merito, e ciononostante vengono erroneamente qualificate come errore di diritto o errata sussunzione del fatto nella fattispecie giuridica.

2.2. La Corte d’Appello, più precisamente, ha ritenuto di non poter fare riferimento, quale exordium praescriptionis, alla domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 in quanto dalle risultanze ex actis emergeva la conoscibilità della derivazione causale della patologia contratta dal trattamento sanitario eseguito già prima della presentazione dell’istanza in data 21/6/2005. In particolare, sulla scorta delle considerazioni del CTU, il giudice di secondo grado ha evidenziato che la profilassi antitetanica risultava somministrata nel 1987, mentre dal 1993 il paziente era venuto a conoscenza della patologia (positività all’HCV); a partire proprio dal 1993 sino al 2005, gli elementi documentali convergevano nel descrivere una impegnativa storia clinica, caratterizzata dalla costante e qualificata cura dell’appellante da parte di nosocomi specializzati, in costanza di una letteratura scientifica collocabile tra il 1993/2004 che già riconosceva ampiamente la pericolosità del sangue e derivati al fine della contrazione del virus HCV. Pertanto, la Corte del gravame ha ritenuto che al 2004 il danneggiato avrebbe potuto ben percepire che la patologia era conseguenza della profilassi e, invece, è rimasto inerte sino al dicembre 2009, data di introduzione del giudizio risarcitorio.

2.3. La sentenza impugnata, peraltro, nel suo argomentare sul punto si allinea ai principi più volte ribaditi da questa Corte che, peraltro, richiama ampiamente, secondo cui “la presentazione della domanda di indennizzo, di cui alla L. n. 210 del 1992, attesta l’esistenza, in capo al malato e ai familiari, della consapevolezza che queste siano da collegare causalmente con le trasfusioni e, pertanto, segna il limite ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, ma ciò non esclude che il giudice di merito individui in un momento precedente l’avvenuta consapevolezza del suddetto collegamento sulla base di un accertamento in fatto adeguatamente motivato” (così, Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27757 del 22/11/2017; in senso conforme, ex plurimis, Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16217 del 18/6/2019; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 23635 del 18/11/2015; Sez. 3, Sentenza n. 28464 del 19/12/2013).

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, da porsi a carico della parte ricorrente soccombente, come di seguito liquidate in base alle tariffe vigenti, oltre contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente N.S., alle spese, liquidate in Euro 2.400,00, oltre le spese prenotate a debito per il Ministero della Salute resistente;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 20 aprile 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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