Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27400 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8506-2020 proposto da:

D.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRANTONIO DE NUZZO, ANDREA CARPINELLI;

– ricorrente –

contro

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CARONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1073/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 7/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 29/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO che:

D.P.P. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1073/2019, che ha accolto il gravame proposto da D.F. e ha così rigettato la domanda del ricorrente di pagamento di Euro 5.000.

Resiste con controricorso D.F. che ha depositato memoria.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

I. Il ricorso è articolato in due motivi tra loro strettamente connessi.

a) Con il primo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento agli artt. 2700,2679 c.c., in quanto la Corte d’Appello ha erroneamente dichiarato l’efficacia probatoria dell’atto pubblico su un fatto di cui il notaio non ha attestato la verificazione in sua presenza; nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2700,2730,2732,2735,2697, e 2729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte distrettuale salentina erroneamente attribuito, nella fattispecie, il valore di avvenuto integrale pagamento del prezzo alla quietanza di pagamento contenuta nell’atto notarile di compravendita in contrasto con tutti gli elementi acquisiti in giudizio (prove documentali e orali) e negando valore confessorio alle dichiarazioni rese da controparte in sede di interrogatorio formale”.

b) Il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento agli artt. 1218,1460 e 2697 c.c., nonché omessa contraddittoria e insufficiente motivazione su fatto decisivo per la risoluzione della controversia, in quanto la Corte d’appello ha omesso di valutare correttamente il compendio probatorio ed ha finito per addossare al creditore anche la prova di un fatto negativo come l’inadempimento della controparte”.

Il Collegio ritiene che i motivi siano inammissibili.

E’ vero che – come deduce il ricorrente – il giudice d’appello ha erroneamente affermato che l’esplicita dichiarazione di quietanza contenuta nell’atto pubblico di compravendita, in quanto “consacrata in atto pubblico, riveste efficacia di piena prova fino a querela di falso, anche per quanto riguarda le dichiarazioni rese dalle parti innanzi all’ufficiale rogante”: l’indicazione del venditore, contenuta nell’atto notarile di compravendita, che il “pagamento del prezzo complessivo è avvenuto contestualmente alla firma del presente atto” non è infatti coperta da fede privilegiata ex art. 2700 c.c.” (così da ultimo Cass. n. 20520 del 2020).

Il ricorrente però non considera che la quietanza ha natura confessoria (v. Cass. n. 23971 del 2013). Invero la quietanza può essere superata dall’opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta nell’interrogatorio formale di non avere corrisposto la somma quietanzata (l’art. 2726 c.c., limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per confessione, cfr. la già richiamata Cass. n. 23971 del 2013). Le dichiarazioni rese da D. in sede di interrogatorio formale (“non è vero che al momento della stipula si concordò che la consegna… sarebbe avvenuta allo sgombero… né che lo ho trattenuto la somma di 5.000 Euro; preciso che detta somma era stata concordata al fine di provvedere allo spostamento del contatore dell’acqua e ove avvenuto avrei restituito detta somma”) sono però state valutate dal giudice, che ha escluso il loro valore confessorio “perché costituenti smentita esplicita dell’esistenza del credito”. Al riguardo, si precisa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisce o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità” (v. da ultimo Cass. n. 3698 del 2020).

II. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione sesta/seconda civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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