Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27430 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16399/2016 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliata in Roma Via F.

Confalonieri 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Andrea che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Piciocchi Pietro;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1529/2015 della COMM.TRIB.REG. LIGURIA, depositata il 23/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/09/2021 dal consigliere Dott. MONDINI ANTONIO.

PREMESSO che:

1. I.P. ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la CTR della Liguria ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione emesso l’8 febbraio 2012 con cui l’Agenzia delle Entrate ha liquidato maggiori imposte di registro e ipocatastali dichiarando essa ricorrente decaduta dalle agevolazioni c.d. prima casa previste dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, allegata tariffa, parte prima, art. 1 e relativa nota II bis (più volte riformulati), fruite il 9 febbraio 2005 in relazione all’acquisto di un immobile in comproprietà con il marito, per non avere la stessa adibito a propria abitazione principale l’appartamento acquistato in data *****, previa vendita, in pari data, al marito della quota di comproprietà del primo immobile;

2. l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso; la ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 1, comma 4, nota II bis, per avere la CTR affermato che, al fine di evitare la decadenza dalle agevolazioni de quibus correlata alla vendita infraquinquennale del primo immobile, sarebbe stato necessario che la casa oggetto del secondo contratto di acquisto fosse stata effettivamente utilizzata come abitazione principale.

Argomenta la contribuente che la norma prevede solo che il secondo acquisto deve avvenire entro l’anno dalla vendita dell’immobile in relazione al cui acquisto sono state fruite le agevolazioni e deve avere ad oggetto un immobile da utilizzare come abitazione principale e che, come reso evidente dalla mancata previsione di un termine entro il quale il secondo immobile deve essere effettivamente utilizzato per la destinazione programmata nel contratto di acquisto, la norma non impone l’effettivo utilizzo potendo l’amministrazione dichiarare la decadenza solo allegando e dimostrando l’impossibilità di attuazione del programmato utilizzo;

2. con il secondo motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 1, comma 4, nota II bis, per avere la CTR affermato che essa contribuente avrebbe potuto evitare la decadenza correlata alla mancata effettiva destinazione dell’immobile ad uso abitativo solo allegando e provando la riconducibilità di detta mancanza ad una situazione di forza maggiore laddove invece la CTR – che aveva negato in concreto potersi ravvisare gli estremi della forza maggiore nelle circostanze (inadempimenti della venditrice ad obblighi assunti nel contratto di compravendita dell’immobile di cui trattasi; questioni edilizie insorte nell’immobile a confine) addotte da essa contribuente – avrebbe dovuto ritenere bastevole la persistente attuabilità del dichiarato intento di destinazione dell’immobile ad abitazione principale;

3. con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR “illegittimamente posto in capo al contribuente l’onere di dimostrare le circostanze impeditive del trasferimento delle propria abitazione anziché pretendere che fosse l’amministrazione a dimostrare la mendacità o irrealizzabilità dell’intento dichiarato nell’atto”;

4. con il quarto motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sulla censura mossa al giudice di primo grado per non aver questi esaminato l’eccezione di difetto di motivazione dell’atto impositivo sollevata da parte di essa contribuente nel l’originario ricorso;

5. con il quinto motivo di ricorso, proposto in via logicamente subordinata al rigetto del precedente, la contribuente lamenta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 1, comma 4, nota II bis. Sostiene che la CTR ha errato nel ritenere l’avviso motivato malgrado lo stesso “si limiti a pronunciare la decadenza dalle agevolazioni per non avere stabilito l’abitazione principale nell’immobile acquistato senza tuttavia enunciare le ragioni di fatto sulle quali tale conclusione si fonda”;

6. con il sesto motivo di ricorso la contribuente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata in ordine alla eccezione secondo cui, non essendovi i presupposti per la dichiarazione di decadenza dalle agevolazioni, non vi erano i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni in concreto irrogate dall’ufficio come effetto della dichiarazione di decadenza;

7. la doglianza veicolata con il quarto motivo di ricorso è preliminare rispetto a quelle prospettate con gli altri motivi.

8. il motivo è infondato. La violazione da parte del giudice d’appello dell’art. 112 c.p.c., è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado. La violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la detta censura. L’atto privo di (sufficiente e congrua) motivazione è annullabile. Questa Corte, già prima che questo fosse desumibile dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, facente riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 3, aveva affermato che “Il giudizio tributario, ancorché avente ad oggetto l’accertamento del rapporto sostanziale, è formalmente costruito come giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, il quale costituisce il “veicolo di accesso” al giudizio di merito, cui si perviene solo per il tramite di tale impugnazione, con la conseguenza che quando ricorrano vizi formali dell’atto, tali da condurre alla sua invalidazione”, come nel caso di difetto di motivazione è “dovere del giudice tributario, davanti al quale l’atto sia impugnato, dichiararne l’invalidità, astenendosi dall’esame sul merito del rapporto” (Cass. SU 4 gennaio 1993, n. 8). In altri termini, la natura del giudizio tributario come giudizio non di “impugnazione-annullamento” in senso stretto ma di “impugnazione-merito”, in quanto finalizzato non esclusivamente alla eliminazione dell’atto impugnato ma ad una pronuncia di merito sul rapporto tributario, si manifesta allorché, non essendosi il contribuente limitato a dedurre il vizio di motivazione dell’atto, il giudice abbia ritenuto tale vizio inesistente.

Nel caso di specie, la CTR ha pronunciato sul merito del rapporto tributario in contestazione. Ha dunque, sia pure per implicito, pronunciato sulla questione preliminare del vizio di motivazione dell’atto;

8. ciò posto, è dato passare all’esame del quinto, del primo, del secondo e del terzo motivo di ricorso.

Essi prospettano sotto i profili del difetto di motivazione-discorso, del difetto di motivazione sostanziale e del difetto di prova, che la CTR abbia errato nel non dichiarare illegittimo l’avviso di liquidazione malgrado non vi fosse esternato, non sussistesse e comunque non fosse stato provato, il presupposto per la dichiarazione di decadenza dalle agevolazioni.

Questi motivi possono essere esaminati in modo congiunto dato che muovono dal medesimo assunto per cui, al fine di evitare la decadenza dalle agevolazioni c.d. prima casa che consegue alla vendita dell’immobile in relazione al cui acquisto dette agevolazioni sono state fruite, prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto, è sufficiente che entro l’anno dalla vendita sia effettuato l’acquisto di altro immobile abitativo, essendo invece non necessario che quest’ultimo immobile sia poi effettivamente utilizzato o sia non utilizzato per ragioni di forza maggiore.

L’assunto è infondato e conseguentemente lo sono i quattro motivi.

Valgono le seguenti osservazioni.

Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, allegata tariffa, parte prima, art. 1, e relativa nota II bis, prevedono, per l’acquisto di c.d. prima casa, l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro con aliquota inferiore a quella in via generale stabilita per i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso.

Il D.P.R. 31 gennaio 1990, n. 347, allegata tariffa, art. 1, stabilisce l’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa anziché proporzionale.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 1, comma 4, della nota II bis, prevede che “In caso di dichiarazione mendace, o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima. Sono dovuti gli interessi di mora di cui al presente testo unico, art. 55, comma 4. Le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”.

La controversia che occupa verte sulla applicazione di quest’ultima parte della norma.

Al riguardo l’orientamento consolidato di questa Corte è stato di recente richiamato e confermato dalla sentenza n. 34572 del 2019, relativa a fattispecie in fatto identica a quella che è all’origine della presente vicenda processuale.

Nella motivazione di tale sentenza viene, in primo luogo, ricordato che con la decisione n. 22944 del 2013 è stato affermato: “Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU. n. 1196 del 2000; n. 9149 del 2000; n. 3608 del 2003; n. 18300 del 2004; n. 20066 del 2005; nn. 20376 e 21718 del 2006; n. 13491 del 2008), alla quale si presta adesione, i benefici fiscali sono subordinati al raggiungimento dello scopo per il quale vengono concessi: in caso di vendita infraquinquennale di un immobile comprato con le agevolazioni c.d. prima casa, il mantenimento dell’agevolazione è accordato se il contribuente entro il successivo anno “proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. La dichiarazione di volontà, in tal senso espressa dell’acquirente, non è riferita ad una qualità astratta del bene, né costituisce una mera “dichiarazione di intenti” ma comporta l’assunzione di un vero e proprio obbligo verso il fisco e cioè quello di adibire la casa acquistata a propria abitazione principale. Deve, perciò, affermarsi che il beneficio fiscale, concesso al momento della registrazione dell’atto, in base alla sola dichiarazione di volontà predetta, possa esser conservato solo se il contribuente realizzi l’intento dichiarato entro il termine triennale di decadenza fissato (prima dal D.P.R. n. 634 del 1972, art. 74, e poi dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76) per l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio (cfr. Cass. SU n. 1196 del 2000). Ciò vale sia nel caso di vendita infraquinquennale seguita dall’acquisto di altra abitazione entro l’anno, sia nel caso disciplinato dalla norma in esame, comma 1, tenuto conto che l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” e’, comunque, volta ad incentivare l’acquisto di un’unità immobiliare da destinare ad abitazione del compratore in attuazione del precetto di cui all’art. 47 Cost…”.

Va incidentalmente sottolineato che nella sentenza 1196 del 2000 le sezioni unite avevano lasciato variabile il termine entro cui il contribuente avrebbe dovuto realizzare l’intento abitativo dichiarato al momento dell’acquisto. Sulla considerazione per cui detta realizzazione avrebbe potuto “essere immediatamente successiva al contratto ma… anche implicare un certo lasso di tempo, da quello minimo occorrente per il trasloco, a quello maggiore che sia richiesto da lavori di restauro o ristrutturazione, a quello ancora più lungo che sia imposto dalla momentanea indisponibilità del bene per effetto di temporanei diritti di godimento ad altri spettanti o di altre analoghe cause”, le sezioni unite avevano statuito che il termine in questione non avrebbe potuto essere dilazionato “oltre il limite di ragionevolezza” correlato al singolo caso. Nella sentenza n. 34572 del 2019, sul richiamo alla sentenza n. 22944 del 2013, il termine massimo per l’attuazione del proposito abitativo è invece fissato in tre anni.

Il termine decorre dalla data del contratto in forza dell’art. 2644 e ss. c.c..

Sebbene la decadenza di cui trattasi non sia inquadrabile secondo “una concezione tipicamente civilistica dell’istituto della decadenza, (come diretta) a regolare un conflitto d’interessi tra le parti sulla base di un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici” e stante l’afferenza “all’ambito del diritto pubblico, rispetto al quale il diritto tributario si pone in termini di species a genus” debba invece essere definita come istituto che “arresta l’espansione della posizione del privato, facendola rifluire nella posizione iniziale” (Cass. SU n. 8094 del 2020), i suddetti articoli sono nondimeno applicabili per analogia. Con la conseguenza che come ogni termine inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, il termine in questione è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso.

Ciò sottolineato, nella sentenza n. 34572 del 2019, la Corte, in secondo luogo, ha ricordato che, “in ordine alla decadenza dal beneficio, che qui rileva perché il contribuente è venuto meno all’obbligo di destinazione dell’immobile, è stato anche detto (Cass. n. 17148 del 2018) che “Al fine di consentire al contribuente di evitare la decadenza dalle suddette agevolazioni sono previste, con riferimento all’acquisto del secondo immobile, condizioni diverse rispetto a quelle stabilite, per la concessione delle agevolazioni medesime per l’acquisto del primo immobile. In particolare, mentre il riconoscimento del beneficio è subordinato -oltre al fatto di non essere titolare di diritti di proprietà (o di diritti a tal fine assimilati) su altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare e di non essere titolare di diritti di proprietà (o diritti, assimilati) su altra abitazione acquistata con agevolazioni fiscali cd. “prima casa” – al trasferimento della residenza del contribuente nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato, il mantenimento dello stesso in caso di alienazione dell’immobile acquistato è subordinato alla più restrittiva condizione dell’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale. Siffatta differenza di disciplina -ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale (cfr. ord. del 13 febbraio 2009, n. 46) – trova giustificazione nell’intenzione del legislatore di favorire l’acquisto della casa di proprietà, tutelato anche a livello costituzionale (vedi, art. 47 Cost., comma 2), anche a coloro i quali siano costretti a ripetuti trasferimenti di residenza, per le contingenti necessità della vita e, al contempo, di evitare che l’agevolazione possa assecondare intenti speculativi agevolati in virtù della semplice integrazione dei requisiti necessari a godere della agevolazione in riferimento al primo acquisto (cfr. Cass. 28 giugno 2016, n. 13343; Cass., ord., 30 aprile 2015, n. 8847)…””.

Il Collegio intende dare ulteriore seguito a questo consolidato orientamento.

Va dunque ribadito che: il contribuente che, in sede di registrazione del contratto di acquisto di un immobile, abbia goduto del trattamento agevolato per la c.d. prima casa, abbia rivenduto l’immobile prima di cinque anni dall’acquisto, abbia, entro l’anno dalla vendita, acquistato altro immobile da destinare ad abitazione principale, è tenuto, a pena di decadenza da tale trattamento, a destinare concretamente l’immobile ad abitazione principale.

L’ufficio può dichiarare la decadenza nel caso in cui il secondo immobile sia, già al momento del relativo acquisto, inidoneo a fini abitativi e non possa divenire idoneo a tali fini entro un termine ragionevole (SU n. 1196 del 2000) e comunque entro i tre anni successivi (Cass. n. 34572 del 2019 e Cass. n. 22944 del 2013) talché la dichiarazione resa dal contribuente di destinare l’immobile stesso a propria abitazione principale si appalesa mendace.

L’ufficio può inoltre dichiarare il contribuente decaduto dai benefici nel caso in cui insorgano “fatti (prevedibili o meno all’epoca del contratto) che evidenzino l’abbandono dell’iniziale proposito, quale lo stabile trasferimento dell’abitazione in un altro immobile o la mancata acquisizione del godimento diretto del bene comprato dopo averlo liberato da persone e cose” (SU n. 1196 del 2000).

E così ancora nel caso in cui il secondo immobile, prima di essere occupato dal contribuente quale sua abitazione principale, diventi inidoneo alla destinazione abitativa ovvero, nel caso in cui diventi non realizzabile entro il termine ragionevole e comunque triennale il proposito abitativo manifestato dal contribuente all’atto dell’acquisto riguardo ad un immobile a quel momento non immediatamente utilizzabile (ad esempio perché da restaurare o completare).

Sotto il profilo della motivazione del provvedimento di decadenza, l’Agenzia rispetta la disposizione della L. n. 212 del 2000, art. 7 (secondo cui, per quanto interessa, “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”) anche solo dando conto del fatto del mancato trasferimento. La ritenuta – da parte dell’Amministrazione – ragionevolezza del tempo trascorso è implicita nella stessa emissione del provvedimento.

Va poi aggiunto che in caso di eccessivo ritardo nella destinazione del bene ad abitazione principale la decadenza dalle agevolazioni è evitata laddove detto ritardo sia dovuto non ad un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile all’acquirente, bensì ad una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, tale da configurare la forza maggiore ovvero il “factum principis”, ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma nel termine previsto (v. Cass. SU. n. 8094 del 2021, in tema di agevolazione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, ma riferibile anche alle agevolazioni qui in discussione).

La causa di forza maggiore deve essere allegata e provata dal contribuente che voglia avvalersene (art. 2697 c.c.).

Posto quanto sopra, la decisione della CTR che ha avallato l’operato dell’ufficio evidenziando che la decadenza della agevolazioni c.d. prima casa era conseguita al fatto che la destinazione ad abitazione principale dell’appartamento acquistato il ***** non era intervenuta in tempo ragionevole, né sussisteva causa di forza maggiore che giustificasse il ritardo, si sottrae alle censure sollevate con i quattro motivi di ricorso ora in esame;

9. il sesto motivo di ricorso è infondato.

La CTR ritenuti sussistenti i presupposti della decadenza ha confermato l’atto escludendo per implicito vi fosse il dedotto presupposto per pronunciare sulla suddetta eccezione.

10. il ricorso va rigettato;

11. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4100,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenuta con modalità da remoto, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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