Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27755 del 12/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8283-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 893/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LIGURIA, depositata il 22/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CATALDI MICHELE.

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 893/04/2019, depositata il 22 luglio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Liguria ha respinto l’appello erariale contro la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Genova ha accolto il ricorso della contribuente A.E. avverso l’avviso d’accertamento, notificato il 24 dicembre 2014, relativo all’anno d’imposta 2007, in materia di Irpef, Irap ed Iva, nella cui motivazione veniva richiamata l’applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, vigenti ratione temporis, atteso che nel processo verbale di constatazione elevato dalla Guardia di finanza e posto ad origine dell’atto impositivo era contenuto espresso riferimento, per i fatti accertati, ad un procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Chiavari.

La contribuente è rimasta intimata.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo la ricorrente Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per la natura meramente apparente della sua motivazione, in ordine all’inapplicabilità, nel caso di specie, del raddoppio dei termini di decadenza dell’azione di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Il motivo è infondato, in quanto le argomentazioni svolte nella motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetiche, sono comunque sufficienti alla ricostruzione del ragionamento logico e giuridico sul quale si fonda la decisione.

2.Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nella versione vigente ratione temporis, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che, nel caso di specie, fosse necessario dare la prova dell’effettiva instaurazione di un procedimento penale, per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione ai rilievi di cui all’atto impositivo impugnato, mentre era sufficiente la constatazione dell’esistenza di una violazione per la quale sussistesse l’obbligo di denuncia dei predetti reati tributari.

Il motivo è fondato.

Infatti la CTR ha motivato il rigetto dell’appello erariale con la “circostanza che non sarebbe stata provata dall’Amministrazione l'”asserita instaurazione di un procedimento penale relativo all’ipotesi di reato affermata ma non documentata”, non essendo a tal fine sufficiente l'”unica indicazione di un numero di procedimento penale”, che “non dimostra alcunché perché non prova un collegamento né soggettivo né oggettivo, né temporale, di riferimento con la contestata evasione fiscale.”.

Tuttavia, premesso che nel caso di specie l’accertamento ha per oggetto l’anno d’imposta 2007 ed è stato notificato alla contribuente nel 2014, deve rammentarsi che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte della L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5 già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost..” (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019; cfr. altresì Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019, secondo cui ” In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011.”).

Infatti in tale arresto giurisprudenziale si leggono le seguenti argomentazioni (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33793 del 19/12/2019, cit., in motivazione):

“considerato che, secondo questa Corte, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass. 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11 disp. prel. al c.c., comma 1, (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27629);

considerato inoltre che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. 14 maggio 2018, n. 11620);

considerato infatti che, secondo il D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015;

ritenuto che dalla giurisprudenza citata si evince un favor del legislatore per il raddoppio dei termini in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa), in ossequio ai principio costituzionale di cui all’art. 53 Cost. (capacità contributiva) e art. 112 Cost. (obbligo di esercitare l’azione penale e interesse della collettività al perseguimento dei reati) tutte le volte in cui tale raddoppio del termine non incida su diritti fondamentali del contribuente, quali il diritto di difesa, diritto che nel caso di specie non appare compromesso;

considerato che il citato D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, va interpretato in maniera costituzionalmente orientata alla luce della suddetta ratio nonché alla luce di una interpretazione piana e lineare della norma, la quale consente – senza alcun distinguo quanto al momento in cui sia sorto l’obbligo della denuncia – il raddoppio del termine ove l’avviso di accertamento sia stato comunque notificato entro la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 128 del 2015 (ossia il 2 settembre 2015: nella specie la notifica è avvenuta il 4 settembre 2014);”.

In ordine all’accertamento dei presupposti dell’applicazione dei termini raddoppiati qui controversi, è stato altresì chiarito che ” questa Corte (Cass. civ. Sez. V, 13 settembre 2018, n. 22337; Cass. civ., sez. V., 30 maggio 2016, n. 11171), sulla questione dei limiti di applicabilità del raddoppio dei termini per l’adozione dell’atto di accertamento ha precisato che il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna;

infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga e dal suo adempimento, sicché “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”; (…) con riferimento alla fattispecie, il giudice del gravame ha ritenuto che, ai fini dell’applicabilità del raddoppio dei termini, è sufficiente che sussista la violazione tributaria che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.c., ponendosi, quindi, in linea con l’interpretazione normativa sopra illustrata;

non rileva, peraltro, la considerazione espressa dalla parte ricorrente in ordine alla mancata produzione in giudizio della documentazione su cui si è fondato il raddoppio dei termini;

il raddoppio attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione, sicché non vi è necessità di esternare le ragioni in base alle quali l’Ufficio ritiene operante il termine raddoppiato, in quanto l’applicazione dello stesso non dipende da una sua scelta discrezionale;

pertanto, l’atto impositivo non deve contenere una specifica motivazione sul punto, in quanto il suddetto onere, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, è finalizzato a mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria, per approntare idonea difesa, e a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa (cfr. Cass. 7 maggio 2014, n. 9810; Cass. 10 giugno 2009, n. 13335);” (Cass., Sez. 5, Ord. 17 maggio 2019, n. 13339, in motivazione).

E’ stato altresì specificato che “In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 13481 del 02/07/2020).

Nel caso qui controverso la CTR non si è conformata a tali principi, perché – premessa la ritenuta insufficienza istruttoria delle indicazioni, da parte dell’Ufficio, in ordine all’effettiva pendenza di un procedimento penale relativo ai rilievi oggetto dell’accertamento impugnato dalla contribuente- ha ritenuto non doversi raddoppiare i termini per la mancata prova dell’instaurazione di un procedimento penale e dell’oggetto di quest’ultimo, senza farsi carico di verificare se, come sostenuto dall’Ufficio, sussistesse l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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