LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38583/2019 R.G., proposto da:
l’Agenzia delle Entrate e del Territorio, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– ricorrente –
contro
L.V.;
– intimato –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia – Sezione Staccata di Siracusa il 14 maggio 2019 n. 3325/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 23 giugno 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle Entrate e del Territorio ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia – Sezione Staccata di Siracusa il 14 maggio 2019 n. 3325/04/2019 3, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di diniego di rimborso dell’IRPEF relativa agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di L.V. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa il 20 gennaio 2015 n. 91/03/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che il contribuente avesse diritto al rimborso in ragione dell’esercizio di un’attività di lavoro autonomo (professionista). L.V. è rimasto intimato. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata al difensore della parte costituita con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18,19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver rilevato che il ricorso del contribuente fosse inammissibile per l’omessa indicazione delle somme ripetibili.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. 27 dicembre 2002, n. 289, 9, comma 17, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, della Direttiva emanata dal Consiglio delle Comunità Europee il 17 maggio 1977 n. 77/388/CEE, come interpretata dalla sentenza depositata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il 17 luglio 2008, in causa C132/06, dell’ordinanza depositata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il 15 luglio 2015, in causa C-82/14, nonché del art. 10 Trattato istituivo della Comunità Europea, del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea, art. 107 e art. 108, par. 3, della decisione adottata dalla Commissione Europea il 14 agosto 2015 n. C (2015) 5549 final, nonché, per quanto possa occorrere, violazione e/o falsa applicazione dei regolamenti emanati dalla Commissione Europea il 18 dicembre 2013 n. 1407/2013/UE ed il 27 giugno 2014 n. 717/2014/UE, per il tramite degli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso in quanto titolare di redditi da lavoro autonomo.
3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, quale novellato dal D.L. 20 giugno 2017, n. 91, art. 16-octies, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2017, n. 123, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che lo ius superveniens consentisse il rimborso in misura integrale e non in misura ridotta nei limiti delle risorse stanziate.
Ritenuto che:
1. Il primo motivo è inammissibile.
1.1 Invero, il mezzo di cassazione, incentrato sull’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancanza nell’istanza di rimborso del quantum richiesto, e, quindi, proposto in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18,19 e 21, appare inammissibile, sia perché nuovo, non risultando che la questione – non rilevabile d’ufficio – sia stata posta nei gradi di merito, sia per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto nel ricorso il contenuto di quell’istanza, che neppure ha allegato, così impedendo di effettuare il necessario vaglio di fondatezza del motivo (da ultima: Cass., Sez. 6-5, 10 marzo 2021, n. 6729).
1.2 Nella specie, quindi, oltre a non aver dedotto la formulazione della censura nei giudizi di merito, la ricorrente nemmeno ha trascritto in ricorso il contenuto dell’istanza di rimborso per dimostrare l’indeterminatezza della pretesa restitutoria.
2. Il secondo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento del terzo motivo.
2.1 La questione di diritto sottoposta a questa Corte è se il beneficio fiscale previsto dalla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, per i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 in Sicilia, sia applicabile in favore dei titolari di reddito di lavoro autonomo, non essendo contestato che il contribuente sia un libero professionista.
2.2 Dopo alcune pronunce (ad esempio: Cass., Sez. 5, 21 aprile 2017, n. 10084), per le quali, ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, il diritto al rimborso del 90% delle imposte versate, con eccezione di quanto pagato a titolo di IVA, spetterebbe anche al contribuente libero professionista, si è progressivamente consolidato presso questa Corte un orientamento di segno contrario alla suddetta estensione (tra le tante: Cass., Sez. 6-5, 8 febbraio 2018, n. 3070; Cass., Sez. 6-5, 29 maggio 2018, n. 13499; Cass., Sez. 6-5, 5 giugno 2018, nn. 14324 e 14328; Cass., Sez. 65, 4 luglio 2018, n. 17563; Cass., Sez. 6-5, 11 luglio 2018, n. 18244; Cass. Sez. 6-5, 16 luglio 2018, nn. 18801 e 18803; Cass., Sez. 6-5, 18 dicembre 2018, n. 32757; Cass., Sez. 5, 21 febbraio 2019, n. 5113; Cass., Sez. 6-5, 21 febbraio 2019, n. 5227; Cass., Sez. 6-5, 12 aprile 2019, nn. 10404 e 10405; Cass., Sez. 6-5, 3 luglio 2019, n. 17774; Cass., Sez. 6-5, 10 luglio 2019, n. 18495; Cass., Sez. 6-5, 23 luglio 2019, n. 19905).
Secondo l’indirizzo ormai radicato, a cui si intende dare continuità in questa sede, il rimborso d’imposta di cui alla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, a seguito della decisione adottata dalla Commissione Europea il 14 agosto 2015 n. C (2015) 5549 final, non è applicabile ai soggetti che esplicano attività di “impresa comunitaria”, rispetto alla quale rileva esclusivamente lo svolgimento di attività economica volta a fornire beni o servizi, essendo invece irrilevante l’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. “protette”), sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo, soggetto di diritto privato o pubblico), rilevando esclusivamente lo svolgimento di una attività economica volta a fornire beni o servizi (tra le altre: Cass., Sez. 6-5, 13 dicembre 2017, n. 29905; Cass., Sez. 6-5, 2 maggio 2018, n. 10450; Cass., Sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30373; Cass., Sez. 5, 27 novembre 2019, n. 30927; Cass., Sez. 6-5, 20 maggio 2020, n. 9312; Cass., Sez. 6-5, 24 luglio 2020, n. 15919; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9959).
2.3 Lo svolgimento di un’attività di impresa costituisce limite all’applicabilità del beneficio in esame, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10% previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990”, è espressamente escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea”, anche perché la sentenza depositata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il 17 luglio 2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.
La decisione adottata dalla Commissione Europea il 14 agosto 2015 n. C (2015) 5549 final, indicata in ricorso, intervenuta nel corso del giudizio, ha stabilito (art. 1) che: “Le misure di aiuto di Stato” (introdotte da una serie di leggi italiane elencate nel provvedimento) “che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’art. 1 Reg. (CE) n. 994/98 (…) o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).
2.4 Sempre secondo la predetta decisione della Commissione Europea (punto 134), “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione”.
Le decisioni adottate dalla Commissione delle Comunità Europee, nell’ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato istitutivo della Comunità Europea sull’attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell’interesse comunitario, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, anche con specifico riguardo alla materia degli aiuti di Stato, e quindi vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla sua cognizione, obbligandolo a dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso. Recando una normativa che, all’evidenza, detta una nuova disciplina del rapporto controverso, la decisione della Commissione costituisce ius superveniens, che nella specie avrebbe già dovuto essere rilevato ex officio dalla Commissione Tributaria Regionale e che deve essere ovviamente esaminato in questa sede di legittimità.
A seguito della decisione in parola, diventa punto dirimente per l’individuazione della categoria degli esclusi dal beneficio, la nozione Euro- unitaria d’impresa, che, per giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 aprile 1991, in causa n. C-41/90; 16 novembre 1995, in causa C244/94; 11 dicembre 1997, in causa C-55/96; 1 luglio 2008, in cause riunite C-341/06 P e C-342/06 P; 26 marzo 2009, in causa C-326/07).
Ciò si raccorda sia con la normativa fiscale Europea, per la quale è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (artt. 9, 51, Dir. UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Dir. UE, n. 77/388/CE)”, sia con la normativa Europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi (art. 1, par. 8, Dir. UE, n. 2004/18/CE)”.
Tale peculiare nozione di “impresa” (che presenta caratteri comuni a quella di “attività economica”, perché questa ne rappresenta l’elemento costitutivo) è stata peraltro recepita dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 14 agosto 2015 n. C (2015) 5549 final, invocata dalla ricorrente, nella parte in cui si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese” (punto 134). Ciò, infatti, significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata da norme nazionali e soggette a precise autorizzazioni (attività professionali “protette”) e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (vedasi anche la decisione adottata dalla Commissione delle Comunità Europee il 30 gennaio 1995 n. 95/188/CE; in senso conforme: Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 aprile 1991, in causa n. C-41/90; 18 giugno 1998, in causa C-35/96).
Alla luce dei superiori principi, nel caso di specie lo svolgimento da parte della contribuente di un’attività d’impresa, nei termini Euro-unitari sopra specificati, è incontestabile, essendo egli un libero professionista.
Sempre secondo la predetta decisione della Commissione Europea, una volta accertato che il contribuente svolge un’attività economica (professionale), il giudice del merito dovrà di conseguenza verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3). A tal fine, egli dovrà: i) non arrestarsi all’importo del rimborso che si domanda, essendo indispensabile richiedere al contribuente l’ulteriore e necessaria autocertificazione (dichiarazione di responsabilità) di non avere usufruito di altri aiuti ed agevolazioni nell’anno cui si riferisce la richiesta di rimborso e nei due precedenti; ii) tenere presente che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2011, n. 11228; Cass., Sez. Lav., 26 settembre 2017, n. 22377; Cass., Sez. 5, 13 dicembre 2017, n. 29905); iii) tenere conto, infine, del fatto che, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto Euro-unitario, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass., Sez. Lav., 9 giugno 2017, n. 14465).
In difetto dei predetti presupposti di operatività della regola de minimis, il giudice del merito dovrà valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la richiamata decisione della Commissione Europea, fanno ritenere comunque compatibile gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b), Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (punto 150, lett. b), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (punto 136); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla “impresa”, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto)(punto 148). L’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione Europea (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello), e la sua diretta incidenza, sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle commissione regionale, consentono l’esibizione, in sede di rinvio, degli ulteriori documenti necessari per l’accertamento di quei fatti che, in precedenza, non erano indispensabili ai fini della decisione, ma che ora costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica dell’Unione Europea (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 26 settembre 2017, n. 22377; Cass., Sez. 5, 13 dicembre 2017, n. 29905; Cass., Sez. 5, 28 febbraio 2019, n. 5923; Cass., Sez. 6-5, 2 aprile 2019, nn. 9130, 9135, 9139 e 9140; Cass., Sez. 5, 7 agosto 2020, n. 16812).
2.5 Nella specie, il giudice di appello ha fatto malgoverno del principio enunciato, affermando in modo erroneo che “non viene neppure articolato un ragionamento che porti a ritenere che l’ordinamento interno interpretato alla luce del diritto dell’Unione Europea dovrebbe ricomprendere anche i professionisti”.
3. Valutandosi l’inammissibilità del primo motivo, la fondatezza del secondo motivo e l’assorbimento del terzo motivo, dunque, il ricorso può essere accolto entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame in osservanza della decisione adottata dalla Commissione Europea il 14 agosto 2015 n. C (2015) 5549 fina) – alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M La Corte dichiara l’inammissibilità del primo motivo, accoglie il secondo motivo e dichiara l’assorbimento del terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2021