LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 2789/2017 proposto da:
A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Calabria n. 56, presso lo studio dell’avvocato Cesaro Ernesto, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Rampone Francesco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.A., A.E., Ac.El., elettivamente domiciliati in Roma, Via L. Spallazani n. 22, presso lo studio dell’avvocato Proto Massimo, rappresentati e difesi dall’avvocato Bocchini Roberto, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
Legea S.r.l., in persona dell’amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Astalli n. 19 – Palazzo Altieri, presso lo studio dell’avvocato Cirelli Maurizio, rappresentata e difesa dall’avvocato Biancamano Gianluca, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e sul ricorso successivo:
Legea S.r.l., in persona dell’amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Astalli n. 19 – Palazzo Altieri, presso lo studio dell’avvocato Cirelli Maurizio, rappresentata e difesa dall’avvocato Biancamano Gianluca, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Calabria n. 56, presso lo studio dell’avvocato Cesaro Ernesto, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Rampone Francesco, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
A.A., A.E., Ac.El., elettivamente domiciliati in Roma, Via L. Spallazani n. 22, presso lo studio dell’avvocato Proto Massimo, rappresentati e difesi dall’avvocato Bocchini Roberto, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2466/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto del 16 novembre 2009 la Legea s.r.l. conveniva A.G. dinanzi al tribunale di Napoli onde ottenere, per quanto in effetti rileva, la declaratoria di nullità di alcuni marchi (nazionali, internazionali e comunitari) registrati dal convenuto e composti dalla denominazione “Legea”, ovvero (in subordine) la decadenza dei marchi medesimi per non uso e, di converso, il diritto di essa attrice alla registrazione, con domande accessorie di inibitoria e di danni (da liquidarsi in separata sede) e di pubblicazione della sentenza.
A. contestava le pretese e chiedeva invece, in riconvenzione, che fosse dichiarata la nullità dei suddetti marchi della Legea s.r.l., depositati qualche giorno prima della notifica della citazione, nonché pronunciata la declaratoria di contraffazione dei marchi medesimi per via dell’uso non autorizzato, anche in tal caso con le domande connesse di inibitoria, risarcimento del danno, fissazione di penali e pubblicazione della sentenza.
L’adito tribunale, integrato il contraddittorio con gli altri componenti della famiglia A. ( A. ed A.E. e Ac.El.), i cui paritari diritti di quota sui marchi erano stati già accertati con altra sentenza (la n. 1430 del 2011) del medesimo tribunale passata in giudicato, e posto che A.G. aveva rinunciato alla pretesa titolarità esclusiva dei ripetuti marchi e proseguito il giudizio nei limiti della legittimazione determinata dalla titolarità della quota in 1/4, rigettava tutte le domande principali e accoglieva parzialmente le riconvenzionali.
Specificamente il tribunale, sempre per quanto ancora interessa in questa sede, (i) accertava il diritto dei soli A. alla registrazione del marchio “Legea” in comunione e per quote eguali; (ii) dichiarava la nullità delle registrazioni del marchio medesimo ottenute dalla società attrice; (iii) dichiarava legittimo l’uso del marchio da parte della Legea s.r.l. in conformità della volontà dei titolari fino al 31 dicembre 2006 e illegittimo, invece, il susseguente utilizzo, stante il dissenso manifestato dal comunista A.G.; (iv) provvedeva in consecuzione alle pronunce inibitorie, alle statuizioni economiche e all’ordine di pubblicazione della sentenza.
In fase di gravame la corte d’appello di Napoli riformava per questa parte la sentenza di primo grado e, in particolare, accoglieva la tesi della società e degli altri comunisti A./ Ac. circa il legittimo l’utilizzo del marchio “Legea”, da parte della predetta società, anche nel periodo successivo al 31 dicembre 2006, attesa la volontà della maggioranza dei titolari del marchio in comunione.
Cosicché, accertata codesta condizione, rigettava tutte le pretese con essa in contrasto.
Contro la sentenza, depositata il 18 giugno 2016 e non notificata, A.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo otto motivi, illustrati da memoria.
Legea s.r.l., da un lato, e gli A./ Ac. dall’altro, hanno resistito con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – I motivi di ricorso.
I motivi ai quali è affidato il ricorso sono i seguenti.
Coi primi quattro mezzi il ricorrente deduce, nell’ordine, la violazione o falsa applicazione: (i) degli artt. 1105 e 1108 c.c., (ii) dell’art. 2697 c.c. e artt. 113,114 e 115 c.p.c., (iii) ancora degli artt. 1105 e 1108 c.c., (iv) degli artt. 1372 e 1373 c.c.
Nello specifico assume errata:
– la qualifica come atto di amministrazione ordinaria dell’atto di concessione in licenza gratuita e a tempo indeterminato del marchio in comunione, ai fini della conseguente sua validità ed efficacia;
– la qualifica come atto conservativo della concessione medesima in quanto concessione a terzi senza soluzione di continuità rispetto al precedente uso legittimo;
– la qualifica come atto di ordinaria amministrazione della concessione in licenza esclusiva del marchio in comunione;
– la non considerazione della validità del recesso ad nutum nel contratto a tempo indeterminato, ove il recesso sia esercitato (come nella specie) da un singolo comunista.
Dopodiché, coi quattro restanti motivi, il ricorrente censura la sentenza anche per:
– violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1105 c.c. in relazione alla supposta validità della licenza di fatto sul marchio comune senza delibera da parte della comunione;
– violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. e del principio che vieta l’abuso del diritto, in relazione alla supposta validità della licenza su marchio in comunione, concessa dalla maggioranza a titolo gratuito;
– violazione o falsa applicazione degli artt. 1102,1103 e 1108 c.c., in relazione alla supposta illegittimità d’uso e di sfruttamento del marchio in comunione da parte di un singolo comunista;
– violazione o falsa applicazione degli artt. 39 e 295 c.p.c., in relazione al mancato riconoscimento della litispendenza col processo pendente dinanzi a questa Corte relativo alla titolarità del diritto alla registrazione dei marchi esteri “Legea” in capo al ricorrente medesimo.
II. – L’ammissibilità del ricorso.
Il collegio preliminarmente osserva che, per quanto in effetti non esattamente conformato al protocollo di redazione dei ricorsi per cassazione, che vuole specificate le norme violate anche dopo la sintetica preliminare sintesi dei motivi, il ricorso proposto da A.G. è in apparenza ammissibile, stante il puntuale rinvio, a premessa di ciascuna conseguente successiva illustrazione, ai conformi motivi di ricorso all’inizio riportati. Il che rende intelligibile il senso delle censure secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c.
III. – La questione prospettata.
Lo scrutinio dei motivi di ricorso richiede di verificare la compatibilità o meno col diritto comunitario dell’alternativa interpretativa agli stessi sottesa, per la qual ragione il collegio ritiene di dover attivare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE ai sensi dell’art. 267 del TFUE.
La questione prospettata attiene alla comunione del diritto di privativa e alle conseguenti prerogative del singolo contitolare rispetto alla volontà della maggioranza.
IV. – Il contesto di fatto.
I fatti di causa, che gli accertamenti svolti dalla sentenza di merito inducono a considerare pacifici, sono i seguenti:
– la licenza d’uso del marchio (nazionale e comunitario) “Legea” era stata accordata alla società Legea nel 1993 col consenso unanime di tutti i contitolari, ciascuno per la spettante quota di 1/4;
– la licenza era stata accordata a tempo indeterminato e a titolo gratuito;
– in prossimità del mese di dicembre 2006 il contitolare A.G. aveva manifestato il proprio dissenso a che la concessione proseguisse ulteriormente.
La corte d’appello di Napoli ha affermato che, in caso di comunione sul marchio, non sussiste la necessità di una deliberazione unanime da parte dei comunisti per concedere a terzi l’uso del segno in via esclusiva. Per cui ha ritenuto che la comunità dei contitolari ben potesse assumere a maggioranza semplice o qualificata la decisione di consentire a Legea di proseguire nell’uso del marchio “anche dopo il 31.12.2006, essendo incontroverso che tale uso è stato consentito anche dopo tale data dalla maggioranza dei contitolari (3/4)”.
V. – Il profilo normativo.
Al momento della concessione di cui è causa (che risale, come detto, all’anno 1993) era in vigore, nel diritto interno, il R.D. 21 giugno 1942, n. 929, (cd. legge marchi) con le modifiche apportate dalla legge comunitaria per il 1991 in attuazione della Direttiva 89/104/CEE sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.
La legge marchi, anche nella versione susseguente al Regolamento (CE) n. 40 del 1994, costituente il logico sviluppo della citata Direttiva, sanciva che “i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del marchio” (art. 1).
Sanciva inoltre che i suddetti diritti “sono conferiti con la registrazione” (art. 4).
Non conteneva tuttavia specifiche previsioni in ordine alla fattispecie del marchio in comunione tra più titolari.
Ciò nondimeno la giurisprudenza di questa Corte, nel solco della più autorevole dottrina, non ha mai dubitato dell’ammissibilità della fattispecie di comunione sul marchio, in sintonia con quanto, del resto, stabilito in materia brevettuale (v. Cass. n. 5281-00, Cass. n. 344401).
Tale conclusione è stata codificata, alfine, nell’attuale art. 6 codice della proprietà industriale (c.p.i.), di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, poi modificato in ossequio alla Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.
L’art. 6 invero stabilisce che “se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili”.
Tra codeste disposizioni il codice civile contiene l’art. 1108, peraltro relativo alle “innovazioni e altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione” della cosa comune.
La citata norma, per la parte che interessa, prevede che: (1) “con deliberazione della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purché non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa”; (2) “nello stesso modo si possono compiere gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiudizievoli all’interesse di alcuno dei partecipanti”; (3) “e’ necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni”.
Pure il codice della proprietà industriale ancora, com’e’ ovvio, al marchio, i diritti di esclusiva (art. 15), a mezzo della previsione che “i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio” (art. 20), con conseguente diritto del titolare di vietare a terzi l’uso del marchio nella propria attività economica “salvo proprio consenso”.
Giustappunto in questa prospettiva l’art. 23 disciplina la potestà del titolare di trasferire il marchio “per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato”, permettendo che il marchio possa così formare oggetto anche di licenza esclusiva.
VI. – L’ambito comunitario.
In ambito comunitario si rinviene una disciplina analoga, ma non specificamente dedicata al profilo che interessa.
Nel caso concreto alcuni dei marchi in contestazione sono marchi UE, per cui il susseguirsi delle fonti comunitarie, benché avutosi nel corso del rapporto, non può non esser considerato alla stregua di essenziale elemento di interpretazione.
Sembra possibile far riferimento alla Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento Europeo e del Consiglio e al più recente Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul marchio dell’Unione Europea.
La Direttiva (UE) 2015/2436 ha modificato la Direttiva 2008/95/CE nel segno dell’armonizzazione delle disposizioni fondamentali del diritto sostanziale riguardante i marchi d’impresa, che, all’epoca della sua adozione, erano considerate tali da incidere nel modo più diretto sul funzionamento del mercato interno, ostacolando la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione.
In tal guisa ha tenuto conto della protezione del marchio d’impresa offerta negli Stati membri in coesistenza con quella disponibile tramite il marchio dell’Unione Europea (cd. “marchio UE”), di carattere unitario e valido in tutta l’Unione a norma del Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio.
Considerando che “la coesistenza e l’equilibrio dei sistemi dei marchi d’impresa a livello nazionale e dell’Unione costituiscono di fatto una pietra angolare dell’impostazione dell’Unione in materia di tutela della proprietà intellettuale”, la Direttiva (i) ha mantenuto il principio per cui “la registrazione di un marchio d’impresa conferisce al titolare diritti esclusivi” (art. 10) e (ii) ha confermato la possibilità che il marchio d’impresa sia fatto oggetto “di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o parte del territorio di uno Stato membro”, mediante “licenze (..) esclusive o non esclusive”.
Niente è stato disposto, invece, in merito alla comunione del marchio.
La comunione sul marchio entra nell’ottica del Regolamento (UE) 2017/1001.
Il Regolamento, per quanto interessa, (i) ha richiamato i criteri di fondo circa l’opportunità di “promuovere un armonioso sviluppo delle attività economiche nell’intera Unione e un’espansione continua ed equilibrata mediante il completamento e il buon funzionamento di un mercato interno che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato nazionale”; (ii) ha considerato che “la realizzazione di siffatto mercato e il rafforzamento della sua unità, dovrebbe implicare non solo l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione dei servizi, nonché l’istituzione di un regime atto a garantire che la concorrenza non venga falsata, ma dovrebbe prevedere parimenti l’instaurazione di condizioni giuridiche che consentano alle imprese di adattare prontamente alle dimensioni dell’Unione le loro attività di fabbricazione e di distribuzione di beni o di fornitura di servizi”, con particolare appropriatezza, a tal fine, dei “marchi che consentano loro di contraddistinguere i rispettivi prodotti o servizi in modo identico in tutta l’Unione, superando le barriere nazionali”; (iii) ha reputato necessario, per il perseguimento di codesti obiettivi, “prevedere un regime dell’Unione dei marchi che conferisca alle imprese il diritto di acquisire, secondo una procedura unica, marchi UE che godano di una protezione uniforme e producano i loro effetti sull’intero territorio dell’Unione”, per modo da indurre a un’applicazione conforme del principio del carattere unitario del marchio UE, così enunciato, “salvo disposizione contraria del presente regolamento”.
Ha nuovamente sancito che (iv) “la registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo” (art. 9) e che (v) “il marchio UE può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, e per la totalità o parte dell’Unione. Le licenze possono essere esclusive o non esclusive”.
Ha riconosciuto, infine, la possibilità della contitolarità del marchio, merce’ una triplice previsione:
– che “salvo disposizione contraria degli articoli da 20 a 28, il marchio UE in quanto oggetto di proprietà è assimilato, nella sua totalità e per l’intero territorio dell’Unione, a un marchio nazionale registrato nello Stato membro in cui, secondo il registro: a) il titolare ha la sede o il domicilio alla data considerata; b) se la lettera a) non è applicabile, il titolare ha una stabile organizzazione alla data considerata”;
– che “nei casi non contemplati al paragrafo 1, lo Stato membro ivi menzionato è quello della sede dell’Ufficio”;
– che “quando più persone sono iscritte nel registro dei marchi UE come contitolari, il paragrafo 1 si applica al primo iscritto; ove ciò non fosse possibile, esso si applica ai contitolari successivi in ordine di iscrizione. Quando il paragrafo 1 non è applicabile ad alcun contitolare, si applica il paragrafo 2”.
Per quanto nel contesto di una più organica e articolata disciplina, neppure il Regolamento contiene riferimenti idonei a regolare le modalità di esercizio dei diritti in comunione.
VII. – Il quadro di sintesi.
Il quadro di sintesi è dunque il seguente.
Il diritto comunitario, in parte implicitamente (nel sistema vigente al momento dei fatti che hanno dato origine alla odierna controversia), e poi esplicitamente (nel sistema armonizzato attuale), ha sancito la coesistenza: (a) del classico diritto di esclusiva attribuito al titolare del marchio, (b) della possibilità di concessione del marchio a terzi, anche in via esclusiva, (c) della ammissibilità della comunione sul marchio.
Quel che non si rinviene in ambito comunitario è la disciplina delle modalità di esercizio dei diritti di comunione, alle quali modalità invece l’art. 6 del codice della proprietà industriale italiano informa la conseguente applicazione delle norme civilistiche sulla ordinaria comunione di cose, seppur nei limiti della compatibilità.
La mancanza di esplicitazioni determina la necessità dell’intervento ermeneutico della Corte di giustizia della UE.
VIII. – I problemi posti nel giudizio.
Le valutazioni evocate dalla materia dei marchi d’impresa sottendono la paritetica rilevanza del requisito di incorporalità, che caratterizza il marchio unitamente alla sua funzione distintiva, e del conseguente diritto di esclusiva in capo a ciascuno dei titolari.
In ragione di tali caratteristiche la questione presupposta nell’attuale giudizio si dipana in una duplice direzione.
A). – Appare necessario stabilire, innanzi tutto, se l’incorporalità e la funzione distintiva del marchio, che ne implicano la caratterizzazione nel senso dell’esclusiva, ove si discuta di concessione di licenza a terzi, siano tali da legittimare o meno la piena equiparazione della concessione ad altri contratti, come per esempio la locazione (infranovennale o ultranovennale): cosa che traspare dalla lettura della sentenza impugnata.
Questo perché la natura di diritto personale di godimento del diritto del licenziatario consentirebbe in astratto la similitudine col diritto del conduttore, ma non consentirebbe di assumere in sé come essenziali e vincolanti anche (per esempio) le distinzioni associate, come quella relativa alla durata infranovennale o ultranovennale del diritto medesimo secondo l’ottica del diritto comune.
Da un lato una tale assimilazione – completa e totale – manca sia nella legge italiana sia nel diritto comunitario; dall’altro la licenza, pur costitutiva di un diritto personale di godimento di struttura analoga al diritto del conduttore, non appare in sé giustificativa di una estensione delle previsioni relative alla durata, ove codeste non siano previamente sottoposte – esse pure – a un vaglio di compatibilità rispetto al peculiare contenuto dei diritti di proprietà industriale.
In questi termini verrebbe in rilievo la considerazione – di matrice dottrinale ma in certo senso già presente nella giurisprudenza della Corte (per quanto in materia brevettuale) – che la concessione di licenze esclusive a terzi può essere ritenuta atto dispositivo del marchio, poiché di per sé incrina l’esclusività del diritto, che è tipica della privativa industriale. Essa altera difatti la destinazione della cosa e impedisce agli altri partecipanti alla comunione di farne uso.
Ne seguirebbe la necessità di ritenere la concessione di codesto tipo di licenze sul marchio sempre (in sé) potenzialmente lesiva dei diritti di esclusiva dei singoli partecipanti, atteso lo sfruttamento indiretto del bene immateriale da parte dei (soli) altri contitolari, e atteso che lo sfruttamento – diretto o indiretto – è idoneo a vulnerare di per sé, in modo identico, l’esclusiva che i titolari dissenzienti hanno diritto a mantenere integra.
Ne seguirebbe ancora che quale che fosse la durata (infra o ultranovennale) o la modalità (gratuita o meno) dell’attribuzione a terzi del diritto di utilizzazione del marchio, quell’attribuzione implicherebbe un atto di disposizione giuridica tale da sottostare a un medesimo unico trattamento.
B). – A fronte di tale prima questione, si pone poi anche l’altra: della possibilità o meno della manifestazione del dissenso da parte di uno dei contitolari, ove il contratto di licenza sia stato stipulato – come nella specie all’unanimità, ma a tempo indeterminato e a titolo gratuito.
La tesi della società Legea e degli altri contitolari A./ Ac. era (ed e’) che il dissenso, poi manifestato dal comunista A.G., in prossimità della scadenza del dicembre 2006, si sarebbe dovuto considerare privo di effetto.
Questa tesi implica che una deliberazione assunta all’unanimità in materia di marchi in comunione non possa essere modificata né dalla maggioranza, né tantomeno dal singolo comunista, in quanto richiede sempre l’unanimità dei consensi; cosicché il recesso esercitato unilateralmente dal singolo contitolare sarebbe privo di efficacia modificativa rispetto a una deliberazione in ogni caso assunta all’unanimità.
A codesta visuale l’impugnata sentenza ha replicato negando in radice la necessità della deliberazione unanime da parte dei comunisti; e dunque affermando – tale è la ratio decidendi – che la comunità dei contitolari aveva legittimamente assunto a maggioranza semplice o qualificata la decisione di consentire a Legea di proseguire nell’uso del marchio “anche dopo il 31.12.2006, essendo introverso che tale uso è stato consentito anche dopo tale data dalla maggioranza dei contitolari (3/4)”.
Sulla compatibilità comunitaria di codesta argomentazione incide il primo quesito fatto alla Corte di giustizia.
E’ peraltro da notare che, ove essa fosse considerata in contrasto con le specifiche caratteristiche del marchio comunitario, e in particolare con quelle implicate dai requisiti di incorporalità, rilevanza distintiva e attribuzione di diritti esclusivi a ciascuno dei contitolari, un problema rimarrebbe egualmente, per la necessità di stabilire poi, giustappunto, quale sia la sorte dei diritti del contitolare che reputi di manifestare un motivato dissenso rispetto alla prosecuzione di un rapporto di concessione a tempo indeterminato convenuto all’unanimità.
Rileverebbe in questo caso l’unanimità dei consensi avutasi nell’anno 1993, quando la licenza venne concessa. E in tal caso residuerebbe la necessità di stabilire se ciascuno dei titolari sia da considerare necessariamente e perpetuamente vincolato (oppure no) a tale scelta, sì da elidere (o meno) gli effetti di eventuali sopravvenute manifestazioni di una volontà contraria. Cosa che a maggior ragione determinerebbe di relegare la concessione nell’alveo degli atti a contenuto dispositivo dei diritti conferiti con la registrazione del marchio.
IX. – Conclusioni.
Il contesto di fatto accertato nel caso concreto, le previsioni nazionali e comunitarie citate e il fondamentale principio dell’unitarietà del marchio UE, nonché la conseguente necessità di individuare una protezione uniforme dei marchi con effetti equanimi sull’intero territorio dell’Unione, inducono al rinvio pregiudiziale secondo l’art. 267 del TFUE.
I quesiti direttamente rilevanti in causa, da formulare alla Corte di giustizia della UE, sono i seguenti:
1) “Se le succitate norme comunitarie, nel prevedere il diritto di esclusiva in capo al titolare di un marchio della UE e nel contempo anche la possibilità che la titolarità appartenga a più persone pro quota, implichino che la concessione in uso del marchio comune a terzi in via esclusiva, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, possa essere decisa a maggioranza dei contitolari ovvero se necessiti invece dell’unanimità dei consensi”.
2) “Se, in questa seconda prospettiva, in caso di marchi nazionali e comunitari in comunione tra più soggetti, sia conforme ai principi di diritto comunitario un’interpretazione che sancisca l’impossibilità di uno dei contitolari del marchio dato in concessione a terzi con decisione unanime, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, di esercitare unilateralmente il recesso dalla suddetta decisione; ovvero in alternativa se invece debba considerarsi conforme ai principi comunitari un’interpretazione opposta, che escluda cioè che il contitolare sia vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria, per modo da potersi svincolare da essa con effetto sull’atto di concessione”.
X. – Il giudizio è sospeso e gli atti sono rimessi alla Corte di giustizia.
P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 295 c.p.c., chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle questioni di interpretazione del diritto comunitario indicate al par. IX della motivazione.
Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di giustizia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021
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