LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11327/2020 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
– ricorrente –
contro
il fallimento della “***** S.r.l.”, con sede in *****, in persona del curatore pro tempore;
– intimato –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria il 3 ottobre 2019 n. 3470/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15 settembre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
RILEVATO
CHE:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria il 3 ottobre 2019 n. 3470/04/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relative all’anno d’imposta 2004, in dipendenza dell’indebita detrazione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti del fallimento della “***** S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza il 28 settembre 2017 n. 6130/04/2017, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure, sul presupposto che le risultanze istruttorie avessero provato l’effettività delle operazioni relative a prestazioni di pubblicità/sponsorizzazione. Il fallimento della “***** S.r.l.” è rimasto intimato. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata al difensore delle parte costituita con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
CHE:
Con unico motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 54 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che le operazioni documentate dalle fatture emesse dal terzo fornitore fossero reali e non fittizie.
Ritenuto che:
1. Il motivo è fondato.
1.1 Con specifica attinenza al thema decidendum, è pacifico che, in tema di IVA, l’amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (valorizzando, ad esempio, la circostanza che la prestazione non poteva essere effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione); ove l’amministrazione finanziaria assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. 5", 4 febbraio 2020, n. 2483; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. 5, 13 gennaio 2021, n. 336; Cass., Sez. 6-5, 1 aprile 2021, n. 9096).
1.2 Nella specie, il giudice di appello ha contravvenuto a tale principio, ritenendo che “l’appellata ha dimostrato in modo inequivocabile l’effettivo esborso dell’importo riportato nelle fatture e la registrazione delle operazioni in contabilità”, nonché “il versamento dell’IVA”, laddove, come si è detto, tali elementi non sono di per sé sufficienti ad escludere la natura fittizia e fraudolenta delle operazioni controverse. Per cui, non si può ritenere che la contribuente avesse assolto l’onere di provare l’effettività e l’inerenza dei costi sostenuti per l’esercizio dell’impresa al fine della detrazione dal reddito imponibile.
2. Dunque, alla stregua delle precedenti argomentazioni, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 15 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021