LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24628-2016 proposto da:
Ditta PUGLIA OXIGEN di M.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato CARMINE CUSANO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in FOGGIA, V.le XXIV MAGGIO 71;
– ricorrente –
contro
ARIA di FESTA s.r.l., in persona del legale rapresentante pro tempore, rapresentata e difesa dall’Avvocato LUIGI TRETOLA ed elettivamente domiciliata, presso lo studio Lombardo &
Associati, in ROMA, VIA TARO 56;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 744/2016 del TRIBUNALE di NOLA, pubblicata il 10/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato, la società ARIA di FESTA s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Nola la ditta PUGLIA OXYGEN di M.A., chiedendo di “accogliere, per tutte le causali, principali e subordinate ex art. 2041 c.c., di cui innanzi, la domanda e, per l’effetto, condannare la società convenuta, al pagamento in favore della “Aria di Festa s.r.l.” dell’importo di Euro 3.000,00 (tremila), ovvero quella somma maggiore o minore che l’adito Giudice riterrà in sua giustizia ed equità dovuta, sempre oltre interessi al tasso bancario corrente d’uso, dalla data del maturarsi del credito all’effettivo soddisfo, ed indennizzo per svalutazione monetaria e per perdita della redditività del denaro”, con riferimento alla fornitura alla M. di n. 25 contenitori di gas compresso, giusta fattura n. *****, emessa dall’attrice.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, la quale eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’azione di arricchimento avanzata “in via principale e in via subordinata” in quanto non proponibile quando il danneggiato possa esercitare un’altra azione; contestava sia di aver ricevuto detta fattura, sia di aver ricevuto la merce ivi indicata. Chiedeva il rigetto della domanda attorea.
Con sentenza n. 3271/2013 il Giudice di Pace di Nola rigettava la domanda condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite. Il Giudice riteneva che l’azione così come formulata avesse carattere generale e sussidiario, in quanto esercitabile solo quando al depauperato non spetti nessun’altra azione.
Avverso detta sentenza proponeva appello la “Aria di Festa” s.r.l., ritenendo di aver spiegato domanda principale di adempimento contrattuale e domanda subordinata di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.. Resisteva al gravame l’appellata chiedendone il rigetto.
Con sentenza n. 744/2016, depositata in data 10.3.2016, il Tribunale di Nola accoglieva l’appello, condannando l’appellata a pagare la somma di Euro 3.000,00, oltre interessi nella misura del saggio legale dal 13.1.2012 al saldo; e condannava l’appellata al pagamento delle spese di lite del doppio grado. In particolare, il Giudice d’appello riteneva che dal contenuto complessivo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si evinceva con sufficiente chiarezza che l’attrice avesse chiesto la condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 3.000,00, oltre accessori, in via principale a titolo di responsabilità contrattuale, e più precisamente a titolo di versamento del corrispettivo dovuto dall’appellata per la fornitura di n. 25 contenitori di gas compresso, in base alla fattura n. *****; solo in via subordinata, aveva chiesto il pagamento di detta somma a titolo di arricchimento senza causa.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la ditta Puglia Oxygen sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resiste la Aria di Festa s.r.l. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, la ricorrente Puglia Oxigen lamenta la “Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poiché la controricorrente, nell’atto di citazione e nel corso del giudizio, non ha mai dedotto di agire in via principale per inadempimento contrattuale, bensì di agire in via principale e in via subordinata ex art. 2041 c.c.. Sicché il potere interpretativo del Giudice d’appello, secondo la ricorrente avrebbe travalicato i limiti della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
1.1. – Il motivo non è fondato.
1.2. – Costituisce principio consolidato quello secondo cui, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formulazione letterale adottata dalla parte (Cass. n. 26159 del 2014; n. 21087 del 2015), dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte (Cass. n. 5442 del 2006; n. 27428 del 2005). L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce, dunque, operazione riservata al giudice del merito (Cass. sez. un. 4617 del 2011), il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale (Cass. n. 22893 del 2008).
Ne consegue che siffatto accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui la motivazione stessa (contrariamente a quanto risulta nel presente giudizio, congruo e coerentemente supportato) risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
1.3. – A sua volta, il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’evocato art. 112 c.p.c., implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto e comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda; ma non osta a che il Giudice renda la pronuncia richiesta in base a una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. sez. un. 9147 del 2009).
Questa Corte (Cass. n. 8645 del 2018) ha rilevato che il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato riguarda il petitum, che va determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (Cass. n. 6757 del 2011; conf. Cass. n. 19424 del 2013); nondimeno il limite che ne discende per il giudice, che non può perciò andare ultra petita et alligata partium, non è disgiungibile dal dovere che compete ad esso di decidere la domanda, in applicazione del principio Tura novit curia (Cass. n. 25410 del 2010). Di talché, fermo il vincolo della domanda come delle eccezioni, che gli preclude di mutare i fatti costitutivi della pretesa così come i fatti estintivi di essa, il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato “non osta a che il giudice (come nella specie) renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti” (Cass. n. 2209 del 2016; Cass. n. 12943 del 2018); né osta alla facoltà che il giudice pur sempre compete di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 12943 del 2012).
1.4. – Nel caso di specie, va escluso che il Giudice di appello abbia introdotto un tema di indagine autonomo e diverso rispetto a quello asseritamente richiesto nella domanda della ditta attrice, di accoglimento della medesima “per tutte le causali, principali e subordinate ex art. 2041 c.c.”. Ciò in quanto, il Tribunale in appello (puntualmente e correttamente rigettate con adeguata motivazione le eccezioni sollevate dalla ricorrente) affermava che “dal contenuto complessivo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si evince con sufficiente chiarezza che in realtà l’odierna appellante ha chiesto in via principale la condanna a titolo di responsabilità contrattuale e il pagamento a titolo di arricchimento senza causa solo in via subordinata”. Ciò attraverso una interpretazione della domanda diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dall’inequivoco scopo pratico perseguito dalla istante (in via principale a titolo di responsabilità contrattuale, e in via subordinata solo a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.) con il ricorso alla autorità giudiziaria. Laddove, peraltro, la sentenza impuganta risultava altresì conforme all’art. 112 c.p.c., in ordine alla interpretazione e applicazione della norma stessa; ed in assenza di elementi che potessero giustificare una interpretazione diversa (Cass., sez. un., n. 3041 del 2007) (v. sentenza impugnata, pag. 2).
2. – Con il secondo motivo la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonché insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su punti della controversia”, in quanto – a differenza di quanto sostenuto nella sentenza impugnata – i testi escussi avevano reso dichiarazioni in contrasto con quanto riportato in fattura; e riguardo alla prova documentale, i due unici documenti prodotti in giudizio dall’attrice erano la suddetta fattura e la pagina del libro contabile riportante l’indicazione della fattura. La ricorrente affermava che la fattura non potesse rappresentare prova idonea a dimostrare il fondamento della pretesa: ove contestata, anche se annotata nei libri obbligatori, proprio per la sua formazione a opera della parte che intende avvalersene, essa non può assurgere a prova del contratto (Cass. n. 8549 del 2008; Cass. n. 17050 del 2011). Inoltre, la merce era indicata in fattura in modo generico con la dicitura “bombole e/o vuoti”, senza riuscire a comprendere trattarsi delle une o degli altri; né era specificata la marca, né il modello, ecc. Si sottolinea che il Giudice d’appello riteneva che, con riferimento al quantum, fosse l’appellata a dover contestare la correttezza delle somme dovute: avendo il Giudice omesso ogni esame sul quantum e ritenendo erroneamente provata la somma di Euro 3.000,00, senza che l’appellante avesse provato alcunché.
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Questa Corte ha reiteratamente ribadito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura se il giudice del merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni), non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. n. 18092 del 2020; Cass. n. 4241 del 2018; Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 19064 del 2006). L’eventualità che la valutazione delle acquisizioni istruttorie sia stata incongrua e che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata avesse assolto l’onus probandi non integrerebbe violazione dell’art. 2697 c.c., ma soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente negli angusti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Peraltro anche una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può esser posta a cagione di una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 2019; Cass. n. 27000 del 2016).
2.3. – Dunque, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017).
Invero, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima (come dedotto dalla ricorrente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 19547 del 2017).
2.4. – Richiamato, infine, il pring.ipio secondo cui le scritture contabili rappresentano presunzioni semplici che non solo ammettono la prova contraria da parte dello stesso imprenditore che le ha redatte, ma possono essere liberamente valutabili dal Giudice di merito che, sulla base degli altri elementi probatori, può escluderne l’attendibilità (cfr. Cass. n. 6547 del 2013); va rilevato altresì che la ricorrente nei giudizi di merito non ha dimostrato (attraverso il deposito dei propri documenti contabili) la non veridicità delle scritture depositate dalla resistente, il cui contenuto doveva quindi ritenersi idoneo a provare il diritto di credito; correttamente gravando il giudice di appello sull’appellata/ricorrente l’onere di specifica contestazione sulla correttezza delle somme dovute, onere non soddisfatto nei precedenti gradi di giudizio.
3. – Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento in favore della ditta controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida 41, cul,200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021
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