Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31655 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 31-2021 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EZIO NARDI;

– ricorrente –

contro

G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P.S.

MANCINI, 2, presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO CAPUA, rappresentata e difesa dall’avvocato LILIANA TALARICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2065/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 2065/2020 depositata in data 10/11/2020, ha, in parziale riforma della decisione di primo grado, in accoglimento del reclamo proposto da G.F. nei confronti di M.F., determinato in Euro 500,00 mensili (in primo grado fossato in Euro 400,00) il contributo, a carico del M., per il mantenimento della figlia C., nata (con grave patologia cardiaca e neurologica) dalla relazione sentimentale e successiva convivenza di quest’ultimo con la G., collocata in prevalenza presso la madre ma in affidamento condiviso dei genitori, oltre il 100% delle spese straordinarie mediche (in primo grado determinato nel 50%).

In particolare, i giudici d’appello, accogliendo il gravame della G. (che chiedeva la riforma parziale del decreto del Tribunale in punto di quantum dell’assegno di mantenimento a carico del padre e di spese di lite) hanno sostenuto che era infondata l’eccezione di tardività del gravame, proposto con ricorso depositato il 13/1/2020, avverso provvedimento pubblicato il 13/6/2019, nel termine lungo semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., dovendo applicarsi ai provvedimenti in materia “di affidamento, domiciliazione e frequentazione di figli nati fuori del matrimonio, già di competenza del Tribunale per i minorenni, aventi natura sostanziale di sentenza”, il regime di impugnazione dettato dagli artt. 325 e 327 c.p.c., trattandosi quindi di appello e non di reclamo ex art. 739 c.p.c., con conseguente tempestività del gravame, considerata anche la sospensione dei termini processuali ai sensi della L. n. 742 del 1969;

nel merito, gli stessi giudici hanno ritenuto che, da un lato, la minore soggiornava maggiormente con la madre, gravata quindi dalle spese correnti per provvedere ai suoi bisogni, e, dall’altro lato, per il M., emergeva “un quadro reddituale e una capacità di spese…assai superiore” a quella della G., considerato “il parco macchine d’epoca”, per le quali egli aveva impegnato un importante patrimonio, avendo acquistato, da ultimo, un’autovettura corrispondendo interamente il prezzo di Euro 53.000,00, ed era titolare di un certo numero di rapporti bancari – per un valore – “che le parti concordemente indicano in Euro 50.000,00 circa”, non rilevando e comunque non essendo dimostrata la provenienza di dette somme dalla di lui madre; in punto di spese mediche straordinarie, si doveva tener conto della disponibilità manifestata dallo stesso M. di pagarle nella loro integrità, come sempre, peraltro, avvenuto.

Avverso la suddetta pronuncia, M.F. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di G.F. (che resiste con controricorso). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la nullità del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 342,345 e 348 bis c.p.c., nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto di qualificare il reclamo proposto come appello, così da ritenere tempestiva l’impugnazione, sia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 739 c.p.c., perché non adottata in forma di decreto, sia la contraddittorietà della motivazione, ex art. 132 c.p.c., sia la violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., in punto di pronuncia sulle spese straordinarie mediche, per non averne rilevato anche d’ufficio, la modifica della domanda in appello; b) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 116 e 132 c.p.c., per motivazione apparente e contraddittoria in punto di valutazione delle prove acquisite, in violazione degli artt. 2697,2702 e 2727 c.c., nonché la mancanza di motivazione in punto di valutazione delle prove ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento per la figlia ex art. 337 quater c.c.; c) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di documenti che dimostrerebbero che il M. non ha un secondo lavoro, che dispone di somme conseguenti ricavate dalla vendita di immobile da parte della di lui madre, ricevuto per successione dai genitori, girate al figlio, che la vettura Alfa Romeo era stata acquistata con il disinvestimento di polizze intestate sempre alla di lui madre, cosicché tali fatti non erano indicativi di una propria maggiore capacità reddituale.

2. La prima censura è infondata.

Con una prima doglianza, il ricorrente contesta error in procedendo compiuto dalla Corte di merito, per non avere ritenuto tardivo il reclamo proposto, ex art. 708 c.p.c., in data 13/01/2020, dalla G., oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 739 c.p.c., considerato che la controversia – rectius il reclamo – aveva ad oggetto esclusivamente l’assegno di mantenimento a carico dei genitori, materia da sempre di competenza del Tribunale ordinario, ma che, inoltre, l’impugnazione era stata proposta, peraltro con ricorso e non con citazione, oltre il termine semestrale dalla notifica, ad opera della cancelleria, del decreto del Tribunale (comunicazione PEC in forma integrale avvenuta il 14/6/2019).

La decisione impugnata risulta adottata, come emerge anche dal ricorso, nell’ambito di un giudizio instaurato dalla G., ex artt. 737,316 e 316 bis c.p.c., nei confronti del M., al fine di ottenere l’affidamento condiviso della figlia minore, con fissazione di un contributo mensile per il suo mantenimento e del “50%” delle spese straordinarie mediche, a carico del padre. In sede di reclamo della G., si chiedeva l’amento del contributo al mantenimento a carico del padre, oltre “al 100% delle spese straordinarie mediche, fermo restando il concorso al 50% per le restanti”, considerate le maggiori esigenze della minore, l’effettiva consistenza delle disponibilità economiche del padre e la disponibilità manifestata dal medesimo in punto di integrale esborso delle spese mediche.

Ora, in punto di rito applicabile anche al regime di impugnazione, la Corte di merito ha dichiaratamente espresso adesione al precedente orientamento di questa Corte (Cass. 3302/2017; Cass. 6319/2011) secondo il quale “il decreto emesso ai sensi dell’art. 317-bis c.c.- da notare nel testo vigente anteriormente alla Novella 2013 – ha natura sostanziale di sentenza, presentando i requisiti della decisorietà, risolvendo una controversia tra contrapposte posizioni di diritto soggettivo, e della definitività, con efficacia assimilabile, “rebus sic stantibus”, a quella del giudicato; pertanto, in relazione a tale decreto, debbono applicarsi i termini di impugnazione dettati dagli artt. 325 e 327 c.p.c., trattandosi di appello da proporsi mediante ricorso, e non di reclamo ex art. 739 c.p.c.”.

L’indirizzo risulta motivato essenzialmente sulla presenza, nella decisione adottata in primo grado, ex art. 316 c.c., vigente ratione temporis (avendo la Novella di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013, in vigore dal febbraio 2014, abrogato il vecchio art. 317 bis c.c., che disciplinava l’esercizio della “potestà genitoriale” in caso di figli naturali, trasfondendolo nel nuovo disposto degli artt. 316 e 316 bis c.c. e degli artt. 337 ter c.c. e ss., in punto di provvedimenti adottabili riguardo ai figli), ora dal Tribunale ordinario (che ha assorbito la competenza del Tribunale per i minorenni), dei requisiti della decisorietà (risolvendo una controversia in atto tra contrapposte posizioni di diritto soggettivo), e della definitività, con efficacia assimilabile, rebus sic stantibus, a quella del giudicato, essendo poi, in radice, i provvedimenti inerenti all’affidamento dei figli nati da genitori non coniugati, adottati dal competente Tribunale, per certi versi, accostabili ai provvedimenti sul medesimo tema pronunciati nei giudizi di separazione e divorzio, con figli minori, non rientrando nell’alveo della procedura dettata ex art. 330,333 e 336 c.c. (c.d. provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale).

Ora, l’oggetto del giudizio non è individuato dal contenuto del mezzo di impugnazione (nella specie, avendo il reclamo ad oggetto solo il quantum dell’assegno di mantenimento per la figlia) ma dal petitum e causa petendi della domanda formulata in primo grado e, nella specie, si chiedeva in primo grado una disciplina dell’affidamento della minore oltre che del suo mantenimento.

Il mezzo prescelto, ricorso, anziché citazione, era conseguenza del rito adottato nel primo grado del giudizio, in ossequio al principio della ultrattività del rito, che – quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice (Cass. 20705/2018; Cass. 15897/2014).

Ne consegue che correttamente qualificato il reclamo come appello era operante il termine di cui all’art. 327 c.p.c., decorrendo il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., secondo la regola generale dettata dall’art. 326 c.p.c., per le impugnazioni in genere, dalla notificazione del provvedimento eseguita ad istanza di parte, non essendo sufficiente che la notificazione sia stata effettuata a cura della cancelleria del giudice, nel qual caso l’impugnazione resta soggetta al termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., vigente ratione temporis (da ultimo, Cass. 12972/2018).

La pronuncia impugnata risulta quindi corretta, essendo intervenuta l’impugnazione nel termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione del decreto del Tribunale, non notificato ad istanza di parte.

Nella seconda parte del motivo, si denuncia poi la violazione dell’art. 345 c.p.c., nella parte in cui la Corte di merito non ha rilevato d’ufficio l’inammissibilità della domanda nuova relativa al rimborso, da parte del padre, del 100% delle spese mediche sostenute nell’interesse della figlia e si è pronunciata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre il limite della domanda originaria pronunciata in primo grado.

La censura anche in tale parte è infondata, anzitutto perché risulta (vedasi controricorso) che la G. in primo grado aveva concluso chiedendo fissarsi l’obbligo del padre di contribuire al 50% delle spese straordinarie mediche “o la diversa somma ritenuta equa e di giustizia alla luce delle risultanze istruttorie”; in sede di reclamo, essa aveva chiesto la rideterminazione dell’assegno di mantenimento della figlia nella misura di Euro 600,00 mensili, oltre all’apposizione ad integrale carico del padre delle spese straordinarie mediche, come peraltro dallo stesso riconosciuto e proposto in primo grado.

In definitiva risulta dagli atti che era stato proprio il M., in sede di costituzione nel grado di appello, a proporre l’accollo integrale delle suddette spese mediche straordinarie per la figlia, avendo sostenuto di averle sempre pagate senza chiedere il rimborso alla madre della piccola, cosicché, in sostanza, era stata accolta una sua richiesta.

Non vi è stata quindi proposizione di domanda nuova in appello e conseguente vizio di extrapetizione della decisione della Corte di merito.

3. Il secondo motivo e’, in parte, inammissibile ed in parte infondato.

La sentenza non risulta affetta da vizio di motivazione del tutto illogica ed incoerente.

Questa Corte, a Sezioni Unite, ha di recente chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).

Nella fattispecie de qua, invero, la Corte d’appello ha espresso, in modo sintetico ma comunque esaustivo, le ragioni giuridiche poste a fondamento della propria decisione, non potendo conseguentemente prospettarsi, sotto tale profilo, alcun vizio comportante la nullità della pronuncia medesima; la Corte ha parametrato l’importo del contributo al mantenimento della figlia minore alle accresciute esigenze di vita della stessa, ai diversi tempi di permanenza della medesima con ciascun genitore ed all’accertata maggiore disponibilità economica del M..

L’art. 116 c.p.c.. prescrive poi che il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti. La sua violazione è concepibile solo se il giudice di merito valuta una determinata prova, ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria, ovvero se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando detta norma (cfr. Cass. 8082/2017; Cass. 13960 /2014; Cass., 20119/ 2009).

La doglianza invece tende solo a sollecitare una rivalutazione dei documenti prodotti, esaminati dal giudice di merito.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

Occorre premettere, sui vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Cass. n. 23940/2017).

Ora, in ordine al vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno affermato che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, cosicché “il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (SSUU n. 8053/2014).

Nella specie, il ricorrente non specifica quale sia il fatto storico, distinto dalla questione di diritto, il cui esame sarebbe stato effettivamente omesso dalla Corte d’appello e denuncia, invece, una insufficiente/contraddittoria motivazione.

Invero, i fatti allegati nel motivo sono stati tutti esaminati dalla Corte d’appello.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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