Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31959 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24532/2017 R.G. proposto da:

S.A., nata a *****, il *****, residente in *****, elettivamente domiciliata in Roma, via Nizza 46, presso lo studio dell’avv. Stefano Sbardella, che la rappresenta e difende:

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f. *****) in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma via dei Portoghesi 12 è

domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1651/17 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 28/03/2017; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Cons. Rel. Dott. RITA RUSSO.

RILEVATO

che:

S.A.M. ha opposto la cartella di pagamento relativa alla iscrizione a ruolo a titolo definitivo, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, dell’avviso di rettifica e liquidazione n. *****, riguardante l’atto di compravendita di un terreno edificabile stipulato il *****. La contribuente aveva venduto un terreno il cui valore era stato rettificato, con l’avviso di accertamento cui si riferisce la cartella, dal dichiarato di Euro 55.000,00 al maggior valore di Euro 173.448,00, con conseguente liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale.

La contribuente ha chiesto l’estensione del giudicato (parzialmente) favorevole reso nei confronti del coobbligato acquirente, formatosi su una sentenza ove il valore di mercato del terreno era stato determinato nell’importo di Euro 67.500,00.

Il ricorso è stato respinto in primo grado.

La contribuente ha proposto appello che la CTR ha rigettato, rilevando (in conformità agli argomenti utilizzati dal giudice di grado) che anche la stessa S. aveva (speratamente) impugnato l’avviso di rettificazione e che la CTP di Roma aveva integralmente rigettato il suo ricorso, cristallizzando definitivamente la pretesa fiscale nei confronti di quest’ultima.

Il giudice d’appello ha rilevato che in tema di solidarietà tributaria la facoltà del coobbligato di avvalersi, ai sensi dell’art. 1306 c.c., della sentenza pronunciata nei confronti di altro condebitore in solido trova un limite nell’esistenza nei confronti del coobbligato di un diverso giudicato.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente affidandosi a due motivi. L’Agenzia si è costituita con controricorso.

La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 15 luglio 2021.

RITENUTO

che:

1. – Con il primo motivo del ricorso la parte lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1306 c.c..

Deduce che ha errato la CTR a non estendere il giudicato favorevole ottenuto dal coobbligato, posto che ella ha impugnato l’atto impositivo per allinearsi al debitore principale e considerata la pronuncia positiva emessa nei confronti di quest’ultimo non ha esercitato il suo diritto di impugnazione, in quanto l’annullamento dell’atto impositivo vale erga omnes, non essendo peraltro la sentenza ottenuta dal coobbligato fondata su ragioni personali. Osserva che lo stesso terreno non può valere una cifra per l’acquirente e un’altra cifra per il venditore e di avere diritto ad avvalersi della sentenza pronunciata nei confronti dell’acquirente.

Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3,53 e 97 Cost., e dei principi costituzionali del giusto processo e della capacità contributiva deducendo che non possono darsi due importi diversi allo stesso negozio giuridico, né che i due debitori di una medesima obbligazione tributaria possano vedersi imposto un accertamento di segno diverso.

1.2 – I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

Il giudice d’appello ha correttamente applicato il principio più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di solidarietà tributaria, la facoltà per il coobbligato, destinatario di un atto impositivo, di avvalersi del giudicato favorevole formatosi in un giudizio promosso da altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1306 c.c., non è preclusa per il solo fatto di avere autonomamente impugnato l’avviso di accertamento, essendo di ostacolo al suo esercizio solo la definitiva conclusione del giudizio da lui instaurato con sentenza sfavorevole passata in giudicato, atteso che il giudicato stacca il rapporto tra il contribuente ed il fisco dalla propria causa originaria, integrandone una nuova, riguardante esclusivamente la parte a cui la decisione definitiva si riferisce (Cass. n. 6411/2021; Cass. n. 4989/2020).

Nel caso di specie la contribuente non è semplicemente rimasta inerte avverso l’avviso di accertamento, come pure era sua facoltà, ma lo ha autonomamente impugnato ottenendo una sentenza negativa che è passata in giudicato; pertanto questa statuizione fa stato nei confronti suoi e dei suoi eredi e aventi causa ex art. 2909 c.c., effetto giuridico di cui non poteva non essere consapevole nel momento in cui ha esercitato la scelta di non impugnare la sentenza a lei sfavorevole.

Non è pertanto pertinente il richiamo ai principi di capacità contributiva e di uguaglianza, poiché, come sopra si è detto, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza il rapporto si stacca dalla sua causa originaria, acquirente e venditore non sono più condebitori di una medesima obbligazione tributaria, e, d’altra parte, deve essere garantito il fondamento stesso del giudicato sostanziale, che è quello di assicurare la certezza del diritto e la intangibilità di una decisione raggiunta dopo l’esperimento dei rimedi processuali.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio da remoto, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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