LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19464-2019 proposto da:
E.E., elettivamente domiciliato in RONL, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI CRUSCO;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ORSOMARSO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO SALERNO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 832/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 16/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO FRANCESCO MARIA.
FATTI DI CAUSA
1. E.E. convenne in giudizio il Comune di Orsomarso davanti al Tribunale di Paola, Sezione distaccata di Scalea, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui patiti a seguito di una caduta verificatasi in data 1 novembre 2003, alle ore 17,30, mentre stava camminando sul marciapiede posto tra la gradinata della tribuna, adiacente allo stadio, e la strada pubblica dove era parcheggiata la sua autovettura.
Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, espletata attività istruttoria, accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni, liquidati nella somma di Euro 45.987,55, oltre interessi, con il carico delle spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata appellata dal Comune soccombente e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 16 aprile 2019, ha accolto il gravame e, in totale riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda dell’ E., condannandolo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre E.E. con atto affidato a due motivi.
Resiste il Comune di Orsomarso con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c. e non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2697 e 1227 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito avrebbe fondato la decisione su di una circostanza che il Comune non aveva dedotto nei suoi atti difensivi.
La doglianza rileva che la Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito al ricorrente la responsabilità dell’accaduto; il Comune, infatti, non aveva addotto a propria difesa il fatto che vi fosse un’apposita uscita dallo stadio e che il danneggiato avesse scelto di uscire per una via non consentita e non destinata al transito degli spettatori.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2727 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., con argomentazioni sostanzialmente riconducibili a quelle del primo motivo.
3. I motivi, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistenti, sono entrambi inammissibili.
3.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno.
3.2. La sentenza impugnata, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha affermato che, se il danneggiato avesse utilizzato l’uscita dallo stadio che si trovava al di sotto della gradinata, avrebbe certamente evitato la caduta. La scelta di utilizzare, invece, il passaggio sopra il muretto di separazione tra le gradinate dello stadio e la strada pubblica era da ricondurre ad una decisione dell’ E. in nulla obbligata, della quale egli si era implicitamente assunto il rischio. L’utilizzo improprio della res da parte del danneggiato costituiva, quindi, un comportamento gravemente colposo che costituiva caso fortuito, tanto più che quel muretto non era destinato al transito dei pedoni.
3.3. A fronte di tale motivazione, le censure di cui ai motivi di ricorso si rivelano inammissibili.
Il ricorrente, infatti, da un lato insiste nell’affermare che da nessun elemento potrebbe dedursi la circostanza dell’uso improprio della res da parte sua. Tale profilo, però, è evidentemente di merito, nel senso che sollecita questa Corte ad una diversa valutazione delle prove, inammissibile in sede di legittimità.
Oltre a ciò, il ricorrente rileva che il Comune non avrebbe né allegato né dimostrato, a propria difesa, che vi fosse un’uscita pedonale riservata al pubblico e che egli non avesse seguito il percorso consentito; la circostanza che il passaggio da lui utilizzato non fosse destinato al transito pedonale, anzi, non sarebbe stata mai dedotta dal Comune in primo grado. Per cui, a suo dire, la Corte d’appello avrebbe posto a base della decisione “un fatto inesistente, non allegato dalle parti, né provato”.
Ora, anche senza considerare i rilievi del controricorso (v. pp. 8-9) in base ai quali la questione dell’utilizzo improprio del muretto era stata posta già dal Comune nella comparsa di risposta, il Collegio rileva che il ricorso è stato redatto, sul punto, con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., perché non specifica in modo adeguato quale fu, realmente, la linea difensiva del Comune in primo grado; ragione per cui la contestazione risulta priva del requisito dell’autosufficienza.
E’ poi il caso di osservare, conclusivamente, che la sentenza impugnata ha compiuto una ricostruzione complessiva dell’accaduto alla luce delle prove disponibili, non a caso richiamando anche le testimonianze e le fotografie sullo stato dei luoghi, che non potrebbe essere superata se non compiendo in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.900, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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