LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15793-2018 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FALVO D’URSO, rappresentato e difeso dall’avvocato LIBORIO CAMBINO;
– ricorrente –
contro
PALERMO ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIANNETTO VALLI 93 ED C1, presso lo studio dell’avvocato CARMELO FABRIZIO FERRARA, rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO SALVATORE INFANTINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 265/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 07/03/2018 R.G.N. 1149/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA.
RILEVATO IN FATTO
che la S.p.A. Palermo Energia ha proposto reclamo ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, avverso la sentenza n. 3025/2017, resa dal Tribunale di Palermo il 23.10.2017, con la quale era stato annullato il licenziamento disciplinare intimato al dipendente S.A., con condanna della società all’immediata reintegra di quest’ultimo ed alla corresponsione, in favore del medesimo, di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto ed altresì al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra;
che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 7.3.2018, accogliendo il reclamo, ha respinto “il ricorso per impugnativa di licenziamento proposto da S.A.”; che per la cassazione della sentenza il S. ha proposto ricorso articolando tre motivi;
che la S.p.A. Palermo Energia ha resistito con controricorso; che sono state depositate memorie nell’interesse di entrambe le parti;
che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il ricorso, si denunzia testualmente: 1) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,1455 e 2697 c.c. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 1 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, perché la Corte territoriale avrebbe “omesso di formulare il giudizio di sussunzione dei fatti contestati nell’ambito della clausola generale della giusta causa e quindi nella portata regolatrice della norma, nel rispetto dei principi sanciti dalla Suprema Corte”; 2) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1375,2104,2106 e 2119 c.c., anche in combinato disposto, L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, art. 3 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la Corte territoriale ha del tutto omesso di effettuare il necessario giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione all’illecito commesso, e ciò in violazione degli artt. 1176,1375 e 2104, nonché artt. 2106 e 2119 c.c.”; 3) “Violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 e art. 2395 c.c., nonché della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 149, D.P.C.M. del 26.3.2008 Decreto Interministeriale 26 febbraio 2010, la L. n. 183 del 2010, art. 25,D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 septies, comma 2, nonché degli artt. 1176 e 2104,2106 e 2119 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” per non avere la Corte di merito fatto corretta applicazione delle predette norme e non avere considerato che “la procedura prevede che sia il medico tenuto ad inviare la certificazione per via telematica all’INPS, secondo le specifiche tecniche e le modalità procedurali determinate dall’Istituto che a sua volta, mette a disposizione del datore di lavoro (o dei loro intermediari delegati L. n. 12 del 1979, art. 1, commi 1 e 4), attraverso i propri canali telematici, gli attestati di malattia ricevuti dai medici: in tal modo il lavoratore è esonerato dall’invio della documentazione in forma cartacea”;
che il ricorso va dichiarato inammissibile, dovendosi ritenere fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per superamento del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62, sollevata dalla società controricorrente nel controricorso e ribadita nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 del codice di rito; ed invero, alla stregua degli ormai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. n. 134/2019; ord. VI sez. n. 6059/2018; n. 26479/2017; n. 19177/2016; n. 16216/2016) -, il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, previsto dall’art. 1, comma 62, cit., decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di una norma speciale che, in via derogatoria, comporta la decorrenza del termine da tale incombente, sul quale non incide la modifica dell’art. 133, comma 2, del codice di rito, “nella parte in cui stabilisce che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.””, trattandosi di una disposizione che attiene al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria;
che, nelle pronunzie innanzi citate, si è sottolineato che la disposizione in oggetto “si pone come norma speciale rispetto alla disciplina generale del c.d. termine breve di impugnazione, dettata dagli artt. 325 e 326 c.p.c., poiché fa decorrere il termine perentorio dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione, ma solo se anteriore alla prima, e consente l’applicazione del termine stabilito dall’art. 327 c.p.c., unicamente nel caso in cui risultino omesse sia la notificazione che la comunicazione della decisione”; ed altresì che, “affinché possa decorrere il termine breve, non è sufficiente il mero avviso del deposito della sentenza, essendo, invece, necessario che la comunicazione si riferisca al contenuto integrale della decisione, di modo che la parte sia posta, dal momento della comunicazione, in grado di conoscere le ragioni sulle quali la pronuncia è fondata e di valutarne la correttezza”. E ciò, in quanto “a dette conclusioni conduce innanzitutto il tenore letterale del richiamato comma 62 che, diversamente da quanto disposto, ad esempio, dall’art. 420 bis c.p.c., comma 2, fa riferimento, appunto, alla comunicazione della sentenza e non dell’avviso di deposito della stessa. Inoltre, la disposizione, sebbene di carattere speciale, nulla specifica in merito alla forma della comunicazione, sicché vale al riguardo la disciplina dettata dal codice di rito che, all’art. 45 disp. att. c.p.c., comma 2, come modificato dal D.L. n. 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che “il biglietto contiene in ogni caso il testo integrale del provvedimento comunicato””;
che, con riguardo alla fattispecie, risulta per tabulas che la sentenza n. 265/2018 della Corte di Appello di Palermo, oggetto del presente giudizio, è stata comunicata, nel testo integrale, ai difensori del S., il 7.3.2018; pertanto, appurata la ritualità di tale comunicazione, la notifica del ricorso di legittimità, avvenuta il 17.5.2018, quindi oltre i sessanta giorni prescritti, determina la pronunzia di inammissibilità;
che per tutto quanto in precedenza osservato, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.450,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 1176 - Diligenza nell'adempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1375 - Esecuzione di buona fede | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1455 - Importanza dell'inadempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2020 - Leggi speciali | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2104 - Diligenza del prestatore di lavoro | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2106 - Sanzioni disciplinari | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2119 - Recesso per giusta causa | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2395 - Azione individuale del socio e del terzo | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 325 - Termini per le impugnazioni | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 326 - Decorrenza dei termini | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 327 - Decadenza dall'impugnazione | Codice Procedura Civile