Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32420 del 08/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27014-2019 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ESTER ADA VITA SCIPLINO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO DI SANT’AGATA 15, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA FERRIGNI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROCCO VINCENZO CARMELO GIOVINAZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 441/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata l’08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato non dovuti, da parte dell’avvocato M.P., i contributi alla Gestione separata per l’anno 2009;

per quanto qui rileva, la Corte territoriale, in base alla ragione più liquida, ha giudicato prescritto il credito dell’INPS in relazione all’anno 2009, dovendo il dies a quo fissarsi al 16.6.2010, data di scadenza del versamento dei contributi, ed avendo l’Inps comunicato la richiesta di pagamento in data 30.6.2015;

avverso tale decisione, ha proposto ricorso l’INPS, con due motivi, cui ha opposto difese M.P. con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2001, art. 18, commi 1 e 2, conv. con modificazioni dalla L. n. 111 del 2011, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, modificato dal D.Lgs. n. 344 del 2003, della L. n. 576 del 1980, artt. 10,11 e 22, della L. n. 247 del 2012, art. 21, comma 10, per non avere la Corte affermato, in base alla normativa di riferimento, l’obbligo del professionista che, pur non iscritto alla cassa di previdenza ed assistenza degli avvocati, abbia comunque conseguito un reddito derivante dall’esercizio della professione;

il motivo è inammissibile perché afferente ad una questione non valutata dalla sentenza impugnata, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, in relazione alla quale non è ravvisabile alcun rigetto implicito, potendo la stessa (id est: la questione assorbita), in caso di accoglimento del presente ricorso, essere riproposta davanti al giudice di rinvio (v., sia pure con riferimento alla diversa ipotesi del ricorso incidentale condizionato su questione assorbita, ex plurimis, Cass. n. 19503 del 2018, per l’affermazione di principi validi anche nel caso di specie);

con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., nonché della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, commi 26-31, per avere la Corte d’appello fissato il dies quo di decorrenza della prescrizione dalla data di scadenza del termine per il versamento e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi che il professionista aveva presentato il 28 settembre 2010; peraltro, poiché nella dichiarazione presentata dall’avv.to M. non risultava la compilazione del quadro “RR”, il diritto ai contributi e alla relative sanzioni non sarebbe prescritto, operando una causa di sospensione della prescrizione;

il motivo va accolto nei termini che seguono;

in ordine al dies a quo del termine di prescrizione, va anzitutto ribadito, in base all’orientamento consolidato di questa Corte, che la prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata decorre dal momento in cui scadono l’termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. n. 27950 del 2018, Cass. n. 19403 del 2019, Cass. n. 1557 del 2020); l’obbligazione contributiva nasce infatti in relazione ad un preciso fatto costitutivo, che è la produzione di un certo reddito da parte del soggetto obbligato, mentre la dichiarazione che costui è tenuto a presentare ai fini fiscali, che è mera dichiarazione di scienza, non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria. Del pari va ribadito che, pur sorgendo il debito contributivo sulla base della produzione di un certo reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dell’obbligazione dipende dall’ulteriore momento in cui scadono i termini previsti per il suo pagamento: lo si desume dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, secondo il quale i contributi obbligatori si prescrivono “dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati”. Viene quindi in rilievo il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, comma 4, che ha previsto che “i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”;

di recente, questa Corte, nel ribadire il principio appena esposto, e dunque che la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei contributi, ha ulteriormente precisato che assume rilievo, ai fini della decorrenza della prescrizione in questione, “anche il differimento dei termini stessi, quale quello previsto dalla disposizione di cui al D.P.C.M. 10 giugno del 2010, art. 1, comma 1, in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2009 dai titolari di posizione assicurativa che si trovino nelle condizioni da detta disposizione stabilite” (v. Cass. n. 10273 del 2021);

il citato D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, emanato giusta la previsione generale del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, ha previsto, per quanto qui rileva, che “i contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (…) entro il 16 giugno 2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze”, debbano effettuare i versamenti “entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione” (lett. a) e “dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo” (lett. b);

nel caso di specie, deve darsi atto che la questione attinente al dies a quo del termine di prescrizione del debito contributivo è tuttora sub iudice in quanto oggetto del motivo di ricorso che si scrutina; come chiarito da questa S.C., la individuazione del termine di prescrizione applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, costituisce quaestio iuris, su cui il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (v. Cass. n. 15631 del 2016; Cass. n. 21752 del 2010; Cass. n. 11843 del 2007; Cass. n. 16573 del 2004); i dati necessari ai fini del corretto calcolo del termine prescrizionale emergono tutti dalla sentenza impugnata; secondo l’orientamento consolidato, deve riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa ai D.P.C.M. se hanno funzione attuativa o integrativa della legge (v. Cass. n. 73 del 2014; Cass. n. 16586 del 2010; Cass. n. 20898 del 2007; Cass. n. 5360 del 2004; Cass. n. 23674 del 2004; Cass. n. 11949 del 2004; Cass. n. 14210 del 2002; Cass. n. 1972 del 2000), come nel caso specie (il D.P.C.M. 6 luglio 2010 è stato emanato in attuazione della delega di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 12, comma 5);

da tali premesse discende che erroneamente la sentenza impugnata ha fatto decorrere il termine di prescrizione dal 16.6.2010; tale termine, infatti, risultava differito al 6 luglio successivo in virtù della previsione del citato D.P.C.M., art. 1, comma 1, lett. a), e quindi è quest’ultima (il 6.7.2010) la data da considerare ai fini della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale;

a tali principi non si è uniformata la sentenza impugnata che va, pertanto, cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per l’esame delle ulteriori questioni assorbite, nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472