Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32451 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 984-2019 proposto da:

G.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio degli avvocati PIER LUIGI PANICI, e CARLO GUGLIELMI, che li rappresentano e difendono unitamente agli avvocati ANNALISA CIAFFI, GIUSEPPE SOTTILE;

– ricorrenti –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUE MACELLI 66, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4004/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/10/2018 R.G.N. 1954/2018 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta dai lavoratori epigrafati nei confronti di Almaviva Contact s.p.a. volta a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento collettivo intimato loro in data 22/12/2016.

Nel pervenire a tale convincimento la Corte di merito osservava, in via di premessa, che in ragione della grave crisi di mercato, del calo del fatturato e dell’incremento perdite, Almaviva Contact s.p.a. dopo aver avviato una prima procedura di riduzione del personale successivamente revocata, con comunicazione del 5/10/2016, in ragione del complessivo aggravamento della situazione di crisi aziendale, aveva promosso una ulteriore procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223 del 1991 che contemplava un rinnovato progetto di ristrutturazione con il quale si prevedeva la chiusura dal dicembre 2016, delle ***** (con conservazione della Business Unit “ricerche di mercato”) e dell’intera unità produttiva di *****, considerate le gravi perdite mensili fatte registrare in queste sedi.

Rimarcava la correttezza della comunicazione iniziale di licenziamento essendo stati chiaramente enunciati i motivi tecnici, organizzativi e produttivi sottesi alla procedura di licenziamento; avuto riguardo alla critica formulata con riferimento alla violazione dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5 comma 1 per avere l’azienda delimitato il bacino di comparazione dei dipendenti da licenziare alla sola sede di *****, pur sussistendo fungibilità di mansioni con i lavoratori addetti ad altre sedi, il giudice del gravame osservava che l’accertato raggiungimento dell’accordo sindacale aveva comportato, in coerenza coi dettami di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 la legittima determinazione dei criteri di scelta diversi da quelli stabiliti per legge.

La successiva trattativa sindacale aveva condotto ad un accordo in data 22/12/2016 che prevedeva un rinvio del licenziamento sino al 31/1/2017 per l’unità di *****, ed il recesso immediato per gli addetti alla sede *****. Si trattava di accordo sottoscritto da tutte le parti sociali, con ò esclusione soltanto delle RSU di *****, il cui atteggiamento contrario all’accordo non era tuttavia ostativo alla validità dello stesso, per la rappresentatività garantita dai firmatari di tutti i lavoratori interessati, considerata altresì la ratio della L. n. 223 del 1991, art. 5 volta a garantire l’unitarietà sostanziale della materia con preclusione della stipula di separati accordi.

In coerenza con la previsione normativa, nella opinione della Corte, era da reputarlegittimo il rilievo conferito dalla parte datoriale alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative per la concentrazione della scelta del personale in esubero presso le sedi indicate, secondo un criterio che, sotto altro versante, si sottraeva ugualmente alle critiche di parte attrice in base ai principi invalsi nella giurisprudenza di legittimità secondo cui, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad uno specifico settore aziendale, la comparazione fra i lavoratori non deve interessare l’intera azienda ma può avvenire anche nel solo settore interessato alla ristrutturazione, purché le ragioni siano enunciate nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3 così come verificatosi nella specie.

La Corte distrettuale rimarcava, poi, che la distanza fra le unità soppresse o ridotte e quelle non interessate dal processo di riorganizzazione (ubicazione ad almeno 500 km di distanza delle sedi non interessate: *****) assumeva rilievo, in base ai dicta della Suprema Corte alla stregua dei quali la rilevante distanza geografica fra le unità produttive – integrante un indice di infungibilità delle posizioni lavorative – era tale da legittimare la scelta di delimitare l’ambito di selezione alla sola unità produttiva soppressa.

Con riferimento alla comunicazione conclusiva, il giudice del gravame ne rilevava la incensurabilità, giacché l’ambito della platea del personale in esubero era stato circoscritto, in coerenza con la comunicazione di avvio della procedura, a tutti i dipendenti della sede di ***** che operavano in modalità inbound presso le *****; nell’ottica descritta nessuna comparazione doveva essere elaborata con gli altri collaboratori in servizio in modalità outbound presso la Business Unit “Ricerche di mercato” e presso la Direzione Centrale, i quali fra l’altro, espletavano mansioni obiettivamente infungibili con quelle del personale esodato.

Escludeva, da ultimo, la natura discriminatoria o ritorsiva dei licenziamenti.

Avverso tale decisione le parti soccombenti interpongono ricorso per cassazione sostenuto da cinque motivi.

Resiste con controricorso la società intimata.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole della interpretazione resa dalla Corte di merito in ordine alla comunicazione dei motivi tecnici organizzativi e produttivi L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3 della quale si prospetta la carenza, per non aver estrinsecato le ragioni per le quali non era possibile ridurre neanche in parte, il numero degli esuberi mediante trasferimenti.

Si deduce che il giudice di seconda istanza avrebbe al riguardo confuso i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee ad evitare in tutto o in parte il licenziamento collettivo, con le misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma, entrambe contemplate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3.

2. Con il secondo motivo, è dedotta dai ricorrenti violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, nonché degli artt. 1322,1362,1363,1366,1367,1369,2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si prospetta l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito la quale avrebbe ritenuto contestata l’esistenza di un valido accordo, laddove la censura proposta in sede di reclamo aveva ad oggetto esclusivamente l’accertamento della validità dell’accordo in relazione alla sede di *****.

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 5, comma 1, e dell’art. 101 c.p.c., comma 1, art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.

Si assume che la Corte d’appello avrebbe dovuto scrutinare la richiamata disposizione in tema di applicazione dei criteri di scelta del personale in esubero, con applicazione del ballottaggio sul “complesso aziendale”, e non già sulla sola sede di *****.

Si addebita alla Corte di non aver considerato che i lavoratori *****, se adibiti sino al 22/12/2016 alla commessa ENI, sarebbero stati idonei alla copertura della sede di *****, sguarnita proprio dallo spostamento su tale sede anche della porzione di commessa che veniva lavorata sino a tale data su *****, ed ugualmente per la commessa di Trenitalia su *****, ovvero per la Commessa VAR, senza necessità di complessa formazione.

Si adduce, poi, che vi fosse piena fungibilità tra i lavoratori e che ciò che la Corte distrettuale aveva trascurato di valutare era il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative che rendeva illegittima la scelta, ancorata al solo fatto che i lavoratori licenziati erano impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto.

4. Il quarto motivo prospetta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 e dell’art. 39 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica l’esclusione del personale della sede di ***** da ogni ballottaggio, per esso non essendo possibile invocare né l’argomento della eccessiva distanza né quello dell’infungibilità, “essendo ***** stata pressoché saturata con la commessa previdenziale venuta da *****”; si deduce che tale condotta sia in aperto contrasto con i dettami della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 nella interpretazione resa dalla Corte di legittimità secondo cui quando il progetto di ristrutturazione emergente dalla comunicazione di apertura della procedura faccia riferimento a più unità produttive non può poi unilateralmente tenersi conto nella scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, dell’esigenza aziendale collegata ad una sola di esse.

5. Il quinto motivo attiene alla violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42 e dell’art. 1345 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonché all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che il giudice del gravame abbia omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo tralasciato di evidenziare la natura “estorsiva dei licenziamenti” intimati all’esito dell’accordo in data 22/12/2016.

6. I motivi che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, non sono fondati.

Appare al riguardo opportuno per ragioni di economia processuale, l’utilizzazione di riflessioni già elaborate in relazione a casi sovrapponibili, caratterizzati dalla decisione di identiche questioni (vedi ex aliis, Cass. 6/5/2021 n. 12040, Cass. 26/5/2021 n. 14657);

nelle richiamate decisioni è stato sottolineato in via di premessa che la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, che costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 22/12/2008 n. 29936), sicché, la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 applicabili per effetto dell’art. 24 stessa legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. 22/3/2004, n. 5700; Cass. 6/9/2019 n. 22366).

La previsione degli artt. 4 e 5 L. cit. di una cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel controllo devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda.

I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6/10/2006, n. 21541; Cass. 3/3/2009, n. 5089; Cass. 26/11/2018 n. 30550).

Si è sottolineato che le questioni che si pongono all’esame di questa Corte attengono sostanzialmente ad alcuni essenziali profili: a) completezza informativa della comunicazione di apertura; b) legittimità di individuazione della platea degli esuberi limitatamente a singole unità produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni *****), anziché in riferimento all’intero complesso aziendale; c) individuazione e applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, anche in correlazione con la fungibilità o meno delle loro mansioni; d) natura ritorsiva e discriminatoria dei licenziamenti;

quanto al primo profilo è stato osservato che – così come verificatosi nella specie – la Corte territoriale ha accertato la completezza della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ritenendola esaustiva per la sua ampia articolazione nei punti specificamente enumerati, sulla scorta di argomentazione congrua, a sostegno di un’interpretazione, riservata esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile (Cass. 22/2/2007 n. 4178; Cass. 3/9/2010 n. 19044), neppure censurata con specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione dei canoni interpretativi (vedi Cass. 14/6/2006 n. 13717; Cass. 21/6/2017 n. 15350), così criticando il risultato interpretativo in sé (Cass. 10/2/2015, n. 2465; Cass. 26/5/2016 n. 10891), pertanto insindacabile in sede di legittimità.

Per il resto, si è avuto modo di rimarcare che legittima è la delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative, costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi – come nella specie – nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 3 citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9/3/2015, n. 4678; Cass. 12/9/2018, n. 22178; Cass. 11/12/2019, n. 32387).

Con riferimento ai criteri di scelta, è stato ritenuto che quelli applicati, espressi dall’accordo sindacale (che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentino, senza che occorra l’unanimità), rispettassero il principio di razionalità e di coerenza con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori (Cass. 20/3/2013, n. 6959; Cass. 5/2/2018, n. 2694), oltre che risultare conformi al principio di non discriminazione e ragionevolezza (Cass. 20/3/2013, n. 6959), così come nello specifico acclarato dalla Corte distrettuale;

infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, il criterio di scelta limitato al personale addetto a tale settore o unità, è legittimo, purché sia dotato di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle tre (Cass. 11/7/2013, n. 17177; Cass. 12/1/2015 n. 203; Cass. 1/8/2017 n. 19105; Cass. 11/12/2019, n. 32387), situazione questa, accertata nella specie dal giudice di seconda istanza.

In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, e di quelle ulteriori esplicate nei richiamati precedenti di questa Corte (cfr. Cass. cit. n. 12040/2021 e n. 14657/2021), il ricorso è respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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