LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7557-2015 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ N. 10, presso lo studio degli avvocati FRANCESCO CAPECCI, ENRICO PERRELLA, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
E.N. A.C. – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 208/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/09/2014 R.G.N. 142/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.
RITENUTO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il gravame proposto da F.G. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva a propria volta disatteso la domanda del medesimo volta ad ottenere il pagamento dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (di seguito, ENAC) della retribuzione di posizione quale dipendente facente parte del personale “professionista” dell’ente;
2. la Corte territoriale condivideva l’apprezzamento del giudice di primo grado secondo cui il ricorrente non aveva indicato, con il ricorso introduttivo, quanto necessario al fine di comprendere se gli incarichi vantati rientrassero o meno nell’Area di rispettiva appartenenza e integrassero quelle specifiche funzioni originanti il diritto alla retribuzione di posizione;
la Corte di merito rilevava, in particolare, la carente indicazione della qualifica di inquadramento, per la quale, in mancanza di una corrispondente specificazione assertiva nell’atto introduttivo del giudizio, non bastavano le produzioni documentali, determinandosi altrimenti una confusione tra l’onere di produzione documentale e quello di allegazione di fatti rilevanti;
la Corte d’Appello riteneva altresì carente la ricostruzione dell’attività ordinariamente svolta dal ricorrente, sicché non si poteva apprezzare se gli incarichi dal medesimo posti a fondamento della pretesa retributiva costituissero un’effettiva aggiunta alle normali mansioni di inquadramento e dovessero essere quindi remunerati come posizioni organizzative;
comunque, sotto il profilo probatorio, la Corte territoriale riteneva che non fosse sufficiente l’allegazione di documenti al ricorso introduttivo, ove non accompagnata dal recepimento in detto atto del relativo contenuto nella parte capace di attestarne la rilevanza ai fini decisori, rimarcando per altro verso l’inidoneità dei capitoli di prova, in quanto meramente ripetitivi delle descrizioni degli incarichi elencati e contenenti inammissibili giudizi di coerenza con le previsioni del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (di seguito, CCNL);
infine, la Corte territoriale aggiungeva che le esemplificazioni contenute nella tabella allegata al verbale sindacale del 19.11.2003 non erano sufficienti alla prova del diritto rivendicato, in quanto era a tal fine necessario che fossero “riscontrabili particolari posizioni nell’ambito organizzativo”;
3. F.G. ha proposto ricorso per cassazione con undici motivi, resistiti da controricorso di ENAC;
in vista dell’adunanza camerale il F. ha depositato memoria illustrativa ed istanza di riunione ad altro giudizio tra le medesime parti parimenti pendente presso questa S.C. con riferimento ad un diverso periodo.
CONSIDERATO
CHE:
1. deve preliminarmente respingersi l’istanza di riunione ad altro procedimento, non riguardante l’impugnazione della medesima sentenza, ma solo un caso analogo al presente, sicché ci si colloca al di fuori dell’ambito entro cui l’art. 335 c.p.c. impone di dare corso alla trattazione congiunta di più giudizi di cassazione;
2. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli artt. 83, 84 e 87 del CCNL nonché della dichiarazione congiunta allegato 9, dell’art. 7 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 2, in relazione agli artt. 1362,1363,1365 e 1367 c.c., sostenendo l’erroneità dell’assunto della Corte di merito in ordine ad una necessaria dimostrazione di un inquadramento particolare del lavoratore, in quanto la posizione organizzativa – si afferma nel motivo – non comporta alcun diverso posizionamento nell’organigramma, e consiste proprio e solo nell’incarico ricevuto;
il secondo motivo è formulato ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 ed aggiunge la denuncia della violazione dell’Accordo Sindacale del 19.11.2003 e della tabella allegata di tipizzazione degli incarichi di posizione organizzativa, anche in relazione all’art. 1218 c.c. e artt. 99 e 115 c.p.c., osservando come la Corte territoriale non avesse debitamente valorizzato la predisposizione in sede sindacale degli incarichi di responsabilità cui doveva destinarsi il trattamento rivendicato, così finendo per richiedere un confronto con le attività ordinarie, che era in realtà del tutto superfluo ed erroneo pretendere;
il terzo motivo si richiama all’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli artt. 115 e 2697 c.c. ed assume la sussistenza di un error in procedendo, per non essersi ritenuti provati, anche in ragione del principio di non contestazione, i fatti storici relativi allo svolgimento delle attività dedotte ed alla corrispondenza di detti incarichi con quelli di cui alla tabella allegata all’Accordo Sindacale del 19.11.2003;
il quarto motivo fa ancora riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli artt. 99,112 c.p.c. e art. 116 c.p.c., comma 1, e per violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., art. 85 CCNL, art. 7 CCNI e dell’Accordo Sindacale del 19.11.2003 escludendo che nel ricorso non fosse stato esposto il nucleo dei fatti della causa petendi, essendosi richiamate le norme sindacali invocate e le attività svolte ad integrazione dei presupposti da esse previsti;
il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 2697 c.c., con riferimento a quella parte della motivazione della sentenza impugnata con cui è imputato al ricorrente di avere individuato solo in secondo grado la tipizzazione corrispondente, secondo la Tabella citata, ad ogni singolo incarico svolto, sostenendosi nel motivo che la riorganizzazione delle difese operata in appello non escludeva che fin dal primo grado si fossero indicati i singoli incarichi svolti e si fosse fatto riferimento alla menzionata Tabella, sicché era sufficiente il raffronto di tali esaustivi dati per consentire di individuare l’oggetto del processo;
il sesto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, assume la violazione dell’art. 414 c.p.c. e art. 2697 c.c. ribadendosi come i fatti di cui quinto motivo non fossero stati contestati e che nessun altro onere probatorio poteva ritenersi gravare sul ricorrente;
il settimo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 l’error in procedendo consistente nell’omessa valutazione delle prove richieste in primo grado e, in subordine, per non averne integrato il contenuto o proceduto all’ammissione d’ufficio delle stesse;
l’ottavo motivo propone le medesime argomentazioni del settimo, sotto il profilo dell’omessa motivazione sulla rilevanza delle prove richieste in causa;
il nono motivo torna sulla violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2697 c.c. per essersi onerato il ricorrente della prova in ordine alla comparazione tra l’attività normalmente espletata dal ricorrente e gli incarichi di posizione organizzativa indicati, profilo in realtà irrilevante alla luce delle risultanze della Tabella allegata all’Accordo sindacale del novembre 2003;
il decimo motivo ripropone le censure di cui all’ottavo motivo sotto il diverso profilo della violazione di norme di diritto;
infine, con l’undicesimo motivo, il ricorrente sottolinea l’irrilevanza del profilo, ritenuto assorbito dalla Corte territoriale, riguardante la competenza del solo Direttore Generale a conferire gli incarichi di posizione organizzativa, avendo importanza, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 2126 c.c., per il riconoscimento degli emolumenti rivendicati, il solo svolgimento di fatto di prestazioni corrispondenti a quelle di cui agli incarichi individuati dalla più volte menzionata Tabella;
3. i motivi, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente con riferimento, dapprima, al regime sostanziale della fattispecie azionata e, quindi alle questioni processuali;
essi sono fondati, nei termini di cui in appresso;
4. questa S.C. (Cass. 12 dicembre 2016, n. 20545, Cass. 12 settembre 2018, n. 22181) ha già chiarito come la fattispecie fondativa del diritto rivendicato si individui sulla base dello svolgimento, da parte di chi appartenga al personale “professionista-dipendente” di ENAC, delle attività quali individuate dall’Accordo Sindacale del 19.11.2003; tale conclusione va qui condivisa e confermata;
4.1 l’art. 76, comma 7 c.c.n.l. normativo 1998-2001 prevede in effetti che gli incarichi di posizione organizzativa in questione devono essere conferiti “in aggiunta” rispetto alle mansioni proprie dell’area di appartenenza;
l’inciso, su cui fanno leva le difese di ENAC, va tuttavia inteso assicurando il mantenimento anche di tali posizioni organizzative nell’alveo proprio dell’istituto di riferimento;
in proposito questa S.C. ha già dato atto del fatto che “la disciplina contrattuale delle posizioni organizzative trova fondamento nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45, comma 3, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 396 del 1997, con il quale il legislatore aveva previsto che per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione…. sono stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto”, attraverso disposizione “integralmente trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 su cui il legislatore è intervenuto con il D.Lgs. n. 150 del 2009 che ha modificato il comma 3 del richiamato art. 40” prevedendo che “nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità” (Cass. 3 aprile 2018, n. 8141);
si è altresì ritenuto (sempre Cass. 8141/2018), in linea con plurimi precedenti, che “la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico”, trattandosi “in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione – nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva (Cass. S.U. 18.6.2008 n. 16540 e Cass. n. 20855/2015 in tema di posizioni organizzative per il comparto degli enti locali)”;
in sostanza, la posizione organizzativa si ritaglia sulle mansioni di pertinenza del dipendente, ma si caratterizza per il concentrarsi in capo all’incaricato, in funzione appunto organizzativa, di peculiari ed elevate responsabilità e specializzazioni;
e’ dunque in tale linea ricostruttiva che va inteso il significato dell’aggiungersi stabilito dall’art. 76, comma 7 c.c.n.l., di tali incarichi a quelli propri dell’area di appartenenza, nel senso appunto che, attraverso tali incarichi, si è venuta a individuare nei destinatari quella specifica ed elevata responsabilità propria della caratura quali-quantitativa dell’istituto;
4.2 la citata giurisprudenza (v. ancora Cass. 8141/2018 cit., anche per i rinvii ad altri precedenti) ha poi precisato come “condizione imprescindibile perché il diritto possa venire ad esistenza è l’istituzione delle posizioni stesse, da effettuare all’esito delle procedure previste dalle parti collettive”, ma, nel caso di specie, la regolazione è parzialmente diversa in quanto, come sostanzialmente rilevato da Cass. 20545/2016 cit., è la stessa contrattazione collettiva che, nel rimettere all’Ente la determinazione degli incarichi in questione, sottopone i criteri di conferimento e revoca alla concertazione sindacale, dal cui conseguente verbale (c.d. Accordo del 19.11.2003) la Corte di merito ha coerentemente tratto gli elementi identificativi, specificati in apposite tabelle o esemplificazioni di quell’accordo ed ivi ricondotte alle varie ipotesi previste dall’art. 83 del c.c.n.l. 1998/2001;
la soluzione si giustifica sulla base del concatenarsi dell’art. 83 cit., di individuazione in generale delle funzioni che potevano essere correlate a posizioni organizzative, con l’art. 7 del CCNI 7.2.2003 di delega ad apposita Commissione Paritetica della definizione dei criteri di attribuzione della corrispondente retribuzione di posizione ed infine con il predetto Accordo Sindacale, raggiunto presso quella Commissione e siglato il 19.11.2003, al quale era allegata tabella esemplificativa di categorizzazione delle attività di cui all’art. 83 cit., lett. a), b) e c);
in definitiva, l’indicato sistema contrattual-collettivo di ENAC, delinea integralmente già esso le posizioni organizzative e giustifica quindi la conduzione del giudizio attraverso un’operazione di c.d. sussunzione su cui si incentra la ratio decidendi dei precedenti specifici di questa S.C. più volte citati;
4.3 non è pertanto in sé corretto che la Corte di merito abbia ritenuto di dover procedere attraverso un raffronto tra attività “ordinarie” ed attività “aggiuntive” rispetto ad esse, in quanto il riscontro va svolto verificando il conferimento o meno di incarichi aventi le caratteristiche specifiche della posizione organizzativa, quali delineate nello specifico ordinamento lavoristico dell’ente di riferimento;
così come non ha rilievo decisivo la asserita mancanza di specifica indicazione della qualifica professionale (prima o seconda) di inquadramento valorizzata dalla Corte d’Appello, in quanto è pacifico che le posizioni organizzative predette possono esser conferite a professionisti-dipendenti di entrambi i livelli (v. comunque anche l’art. 1 punto 3 dell’Accordo 19.11.2003, da cui emerge come solo gli incarichi di direzione di struttura siano riservati ai livelli apicali della qualifica);
4.3 in tale quadro, da cui si evince come gli incarichi destinati alla qualificazione come posizioni organizzative fossero già delineati attraverso la contrattazione e concertazione collettiva, finisce per risultare altresì irrilevante l’accertamento in ordine alla regolarità formale di essi;
infatti, proprio per la predeterminazione collettiva delle posizioni organizzative, l’eventuale invalidità del loro conferimento non impedirebbe, ai sensi dell’art. 2126 c.c., comma 2, come ritenuto dai precedenti specifici in ambito ENAC di questa S.C. sopra citati, il riconoscimento delle corrispondenti retribuzioni oggetto di causa, il che esime da ogni altra considerazione;
5. analogamente non condivisibili sono le valutazioni svolte dalla Corte territoriale sotto il profilo processuale;
5.1 l’atto introduttivo del giudizio, per quanto trascritto nel ricorso per cassazione, conteneva il richiamo allo svolgimento degli incarichi di alta e specifica responsabilità di cui all’art. 83, l’elencazione puntuale di tutti quelli che si asserivano svolti dal F. dal 2005 al 2008, con scheda riepilogativi di raffronto rispetto alle tipologie di cui all’Accordo Sindacale del 19.11.2003 e conteggi rispetto all’inquadramento come professionista di 1 qualifica e 1 livello e quindi tutto quanto necessario alla valutazione di merito sulla fondatezza della pretesa;
e’ poi evidente che, se in ipotesi le retribuzioni riconnesse alle posizioni organizzative siano da differenziare in ragione di qualifica e livello, essendo certo che il ricorrente appartenesse alla categoria dei professionisti-dipendenti, semmai l’applicazione delle regole sull’onere della prova avrebbe imposto di applicare quello tra i compensi stabiliti per ciascun incarico corrispondente alla minor qualifica di cui vi fosse prova o al limite quello della qualifica e livello più bassi, ma non di certo di escludere a priori la validità della pretesa e la sufficienza delle allegazioni ai fini del decidere;
5.2 in altra parte della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha poi affermato che gli elementi di prova addotti dal ricorrente, oltre a denotare anch’essi difetti di allegazione, non sarebbero stati comunque di ausilio; tale conclusione è errata in ogni sua parte;
da un primo punto di vista, basta già la trascrizione del capitolo 7 di prova, contenente l’indicazione proprio di quegli incarichi ad individuare l’esatta allegazione, sia sotto il profilo espositivo, sia sotto il profilo della prova, della causa petendi, senza che in tale parte trascritta emergano profili valutativi;
neppure può infatti ipotizzarsi che il richiamo in quel capitolo ad una serie di documenti che riportavano i dati degli incarichi svolti (doc. da 149 a 174) e il loro riepilogo (doc. 175), possa costituire deduzione irrituale; questa S.C. infatti costantemente ammette che “in tema di domanda giudiziale, non è necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo (…), venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di costituzione del convenuto, potendo essere individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzioni documentali” (Cass. 9 luglio 2018, n. 17991; Cass. 29 gennaio 2015, n. 1681);
la deduzione di cui al citato capitolo è poi, per analoghe ragioni, del tutto idonea ad introdurre in causa la richiesta di prova sui corrispondenti fatti; in definitiva l’identificazione dei fatti, a fini di individuazione dell’oggetto del processo e della prova, del tutto legittimamente può avvenire attraverso un coordinamento tra atto e documenti, che è in effetti del tutto comune rispetto all’assolvimento degli oneri asseritivi e probatori gravanti su chi agisce;
pertanto, a parte il rilievo eventualmente da attribuire all’avvenuta contestazione o meno dei fatti storici inerenti quegli incarichi indicati ed elencati, il diniego di ammissione della prova testimoniale è in sé errato in quanto, a fronte di un capitolo di prova (il n. 7) su cui l’appellante aveva espressamente insistito anche in sede di gravame e destinato a dimostrare lo svolgimento proprio di quegli incarichi indicati come fatto costitutivo del diritto, non era consentito concludere a priori nel senso dell’inutilità di esso al convincimento, senza neppure avere escusso il mezzo;
6. in definitiva, tutto quanto sopra argomentato impone la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione della causa al giudice del rinvio il quale valuterà la pretesa dispiegata, sulla base della struttura della fattispecie come sopra ricostruita ai punti 4.2. e 4.3. previa valutazione di quanto già acquisito alla trattazione ed all’istruttoria o, nel caso, legalmente acquisibile in via istruttoria alla causa.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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