LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10179-2018 proposto da:
B.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FIRENZE N. 32, presso lo studio dell’avvocato IEMBO ELENA, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCI TOMMASO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANARO 17, presso lo studio dell’avvocato SERVILI OSCAR, rappresentato e difeso dall’avvocato BORDINO BERNARDO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
B.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 134/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con citazione del 7 marzo 2006 B.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro B.I. chiedendo accertarsi la nullità dei testamenti olografi di M.M. dell’8 giugno 2001, del 25 marzo 2003 e del 22 giugno 2004, in quanto redatti in condizioni di coercizione psicologica, chiedendo per l’effetto il rilascio dei beni ereditari illegittimamente detenuti.
Si costituiva la convenuta che chiedeva il rigetto della domanda, riconoscendo la debenza della quota di legittima in favore dell’attrice.
Nel corso del giudizio interveniva C.G. che produceva un testamento del 20 settembre 2005 con il quale era stato istituito erede universale, chiedendo accertarsi tale qualità, con il conseguente rilascio dei beni illegittimamente detenuti dalla convenuta.
Il Tribunale, con la sentenza n. 1425 del 28 giugno 2010 rigettava, la domanda dell’interventore nonché la domanda di invalidità dei testamenti olografi proposta dall’attrice, e riconosceva alla stessa attrice, nella qualità di legittimaria, la quota del 50 % dei beni caduti in successione, rigettando tuttavia le domande di rilascio dei beni stessi.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il C. e la Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 134 del 18 gennaio 2018, in accoglimento del gravame ha dichiarato valido il testamento in favore dell’interventore rigettando l’appello incidentale promosso da B.A., relativamente alla sua condanna alle spese di lite in favore della convenuta.
A fondamento dell’accoglimento del gravame principale, la sentenza d’appello rilevava che il Tribunale aveva erroneamente risolto la controversia facendo applicazione delle norme in tema di disconoscimento, ritenendo che a fronte del disconoscimento del testamento operato dal difensore di B.I., il C. non aveva avanzato istanza di verificazione.
I giudici di appello, dopo avere ricordato come un precedente orientamento giurisprudenziale, fatto proprio anche in sede di legittimità, riteneva applicabile il meccanismo del disconoscimento delle scritture private anche in caso di testamento olografo, evidenziavano che nelle more erano intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 12307/2015, le quali avevano affermato che per la contestazione dell’autenticità dell’olografo non è necessaria la querela di falso, ma occorre proporre una domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, il cui onere incombe sulla parte interessata a contestare l’autenticità della scheda testamentaria.
Nel caso di specie, a seguito della produzione del testamento in favore del C., l’erede legittima non aveva proposto domanda di accertamento negativo, sicché la successione restava regolata da tale ultimo testamento.
Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione B.I. sulla base di un motivo di ricorso, illustrato da memorie.
Resiste con controricorso C.G..
B.A. non ha svolto difese in questa fase.
Con ordinanza interlocutoria n. 17943 del 27/08/2020 la causa era rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte Costituzionale in merito alla legittimità delle previsioni circa la partecipazione di magistrati onorari ai collegi della Corte d’Appello.
Rileva il Collegio che, quanto alla deduzione di invalidità della sentenza sollevata da parte ricorrente nelle memorie depositate in prossimità della precedente adunanza camerale, per avere preso parte alla decisione un giudice ausiliario nominato ai sensi del D.L. n. 69 del 2013, artt. 62-72, conv. con modificazioni nella L. n. 98/2013, in relazione agli artt. 102 e 106 Cost, nelle more è intervenuta la sentenza n. 41 del 2021 della Corte costituzionale.
Questa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 106 Cost., commi 1 e 2, del D.L. n. 69 del 2013, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72, convertito, con modificazioni, nella L. n. 98 del 2013, nella parte in cui conferiscono ai giudici ausiliari di appello lo status di componenti dei collegi delle sezioni della corte d’appello come magistrati onorari, poiché, in base al precetto costituzionale violato, i magistrati onorari possono esercitare le funzioni di giudice singolo, ossia monocratico di primo grado, che solo in via eccezionale e transitoria può comporre i collegi di tribunale, stabilendosi al riguardo che dette norme sono illegittime laddove non prevedono che la loro applicazione sia limitata al periodo entro cui sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi indicati dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32 (rectius entro il 31 ottobre 2025), cosicché nelle more tale figura può continuare ad operare.
In motivazione ha sottolineato l’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione di illegittimità costituzionale sarebbe destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello.
Richiamate le ragioni che hanno spinto il legislatore alla introduzione di tale figura, nonché gli effetti favorevoli che la riforma ha prodotto sull’arretrato delle corti d’appello, è stato evidenziato che il venir meno di tale apporto recherebbe, nell’immediato, un grave pregiudizio all’amministrazione della giustizia, tanto più nella situazione attuale, che vede come urgente l’esigenza di riduzione dei tempi della giustizia, e quindi anche di quella civile, dove hanno operato e operano i giudici ausiliari presso le corti d’appello.
Si impone quindi un bilanciamento con altri valori costituzionali di pari – e finanche superiore – livello, i quali risulterebbero in sofferenza ove gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale risalissero (retroattivamente, come di regola) fin dalla data di efficacia della norma oggetto della pronuncia.
Quindi, richiamati i precedenti in cui la stessa Corte Costituzionale ha effettuato il bilanciamento tra i valori attinti dalla norma ritenuta incostituzionale ed altri di pari o superiore rango, e ciò anche quando ciò comporti che la dichiarazione di illegittimità costituzionale, risulti non essere utile, in concreto, alle parti nel processo principale (Corte Cost. n. 10 del 2015 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva un’imposizione tributaria a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica), la decisione della Consulta ha rimarcato che “l’interazione dei valori in gioco evidenzia, nell’immediato, il già richiamato pregiudizio all’amministrazione della giustizia e quindi alla tutela giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni diritto fondamentale, essendo alla Corte ben presente l’esigenza di “evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria” (sentenza n. 156 del 1963)”.
Si è quindi ritenuto che la declaratoria di illegittimità delle disposizioni censurate dovesse lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo onde assicurare la “necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale”, segnatamente dell’art. 106 Cost., comma 2. Lo strumento a tal fine individuato è stato quello del ricorso alla sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire, termine finale che, nella fattispecie, è stato ravvisato, nell’ambito dell’iter di riforma della magistratura onoraria (D.Lgs. n. 116 del 2017), nella data del 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo), alla quale è stata differita la sua completa entrata in vigore.
Per l’effetto l’illegittimità costituzionale della normativa censurata è stata dichiarata nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32, così riconoscendo ad essa – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2.
In tale periodo rimane quindi legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio.
Richiamate in tal modo le conclusioni alle quali è giunta la Corte Costituzionale, proprio in merito alla decisione della questione di legittimità costituzionale richiamata dalla ricorrente, si palesa l’infondatezza della deduzione di nullità, essendo stata la sentenza impugnata decisa con la partecipazione di un giudice ausiliario ma ben prima del termine del 31/10/2025.
Il motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 184-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, nonché dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e degli artt. 111 e 24 Cost..
Si deduce che la decisione della controversia è avvenuta facendo applicazione dei principi espressi dalle SS.UU. nella sentenza n. 12307/2015, la quale ha optato per una soluzione del tutto innovativa, disattendendo le tesi che in passato si contendevano il campo in ordine alla modalità con la quale far accertare la falsità del testamento olografo (giudizio di verificazione ovvero querela di falso).
La soluzione innovativa, a favore della proposizione di un’autonoma domanda di accertamento negativo, costituisce a ben veder un vero e proprio fenomeno di overruling, che avrebbe imposto al giudice di merito di rimettere in termini la parte, al fine di proporre tale domanda.
L’applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite ha quindi gravemente compromesso il diritto di difesa della ricorrente, alla quale è stato impedito di proporre la domanda di invalidità del testamento.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affrontare la questione dell’incidenza sui giudizi pendenti degli effetti delle conclusioni espresse dalle Sezioni Unite quanto all’individuazione del corretto regime di impugnativa del testamento olografo, ritenendo che l’affermazione circa la necessità di un’azione di accertamento negativo si imponga anche laddove le parti avessero nel merito dibattuto circa la necessità di dover ricorrere alla querela di falso o in alternativa alla verificazione, previo disconoscimento dell’atto mortis causa (cfr. in tal senso Cass. n. 4847/2017; Cass. n. 24336/2017; Cass. n. 2127/2018; Cass. n. 18363/2018).
Occorre altresì considerare che il contrasto giurisprudenziale, cui fanno cenno i ricorrenti nel primo motivo, è stato risolto appunto da Cass. Sez. U, 15/06/2015, n. 12307, affermandosi che la parte che contesti l’autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. Le Sezioni Unite di questa Corte, in particolare, hanno ritenuto inadeguato, al fine di superare l’efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso, prescegliendo, all’uopo, la terza via predicativa della necessità di proporre, appunto, un’azione di accertamento negativo della falsità della scheda testamentaria.
Come si legge nella motivazione della richiamata sentenza delle Sezioni Unite, la necessità di una siffatta azione per quaestio nullitatis consente di rispondere:
“- da un canto, all’esigenza di mantener il testamento olografo definitiva mente circoscritto nell’orbita delle scritture private;
– dall’altro, di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche” (…),
– dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa;
– dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa;
– infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all’oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata”” (conformi, di seguito, Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1995; Cass. Sez. 2, 04/01/2017, n. 109; Cass. Sez. 6-2, 12/07/2018, n. 18363).
E’ esplicito il richiamo da parte delle Sezioni Unite al remoto precedente di questa Corte costituito da Cass. 15 novembre 1951, n. 1545 che individua una sorta di impugnazione di autenticità del testamento, legittimato a sperimentare la quale è l’erede legittimo.
Appare però evidente come, nell’assetto derivante da Cass. Sez. U, 15/06/2015, n. 12307, “questione” della non provenienza del testamento olografo dal de cuius rimanga affidata all’onere probatorio dell’erede ab intestato, non spettando, viceversa, all’asserito erede testamentario di dar prova dell’esistenza di una valida vocazione testamentaria, e ciò analogamente, quanto meno sul piano del riparto dell’onere probatorio alla soluzione che sarebbe scaturita ove fosse stata reputata preferibile la tesi della necessità della querela di falso, che del pari faceva ricadere sull’erede legittimo l’onere di proporre detta querela, assoggettandosi al maggior rigore imposto da tale strumento processuale.
Tale considerazione appare al Collegio anche utile al fine di evidenziare le ragioni per le quali non possa addivenirsi alla soluzione che ammetta una rimessione in termini in favore della ricorrente.
Ad escludere la configurabilità, ai fini dell’invocata rimessione in termini, di un affidamento incolpevole degli originari convenuti stanno, però, i principi dettati dal precedente costituito da Cass. Sez. U, 11/07/2011, n. 15144. Questa pronuncia ha effettivamente chiarito come debba escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante da un mutamento della propria precedente interpretazione di una norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (cosiddetto overruling), nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità della decisione che abbia invertito la precedente ricostruzione) in una consolidata precedente interpretazione della regola di rito, di tal che l’overruling si connoti del fisionomico carattere dell’imprevedibilità, per aver agito in modo inopinato e repentino su di un pacifico orientamento pregresso. Di seguito, peraltro, Cass. Sez. U, 12/10/2012, n. 17402, ha ulteriormente spiegato come il mutamento di una precedente interpretazione giurisprudenziale, non preceduto da un orientamento univoco, non dà luogo ad una fattispecie di overruling, postulando essa un rivolgimento ermeneutico avente carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso, o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, quali possono essere quelli di un, sia pur larvato, dibattito dottrinale o di un qualche significativo intervento della giurisprudenza sul tema (si veda ancora Cass. Sez. U, 10/02/2014, n. 2907).
Cass. Sez. U, 15/06/2015, n. 12307, e la stessa ordinanza di rimessione n. 28696 del 20 dicembre 2013, davano, invece, espressamente atto di come esistesse un evidente contrasto di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di cassazione sulla questione dello strumento processuale utilizzabile per contestare l’autenticità di un testamento olografo, e proprio la rilevata difformità di decisioni aveva giustificato la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2. Tale contrasto fu poi composto dalle Sezioni Unite adottando la “terza via, già indicata dalla giurisprudenza di questa Corte con la risalente sentenza del 1951 (Cass. 15.6.1951 n. 1545, Pres. Mandrioli, est. Torrente), e cioè quella predicativa della necessità di proporre un’azione di accertamento negativo della falsità”. Pertanto, a rendere ingiustificata la richiesta formulata in ricorso è sufficiente qui ribadire l’orientamento di questa Corte, secondo il quale la stessa sussistenza di un intervento regolatore delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, induce ad escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell’esercizio del diritto alla rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c. o dell’abrogato art. 184-bis c.p.c., in capo alla parte che abbia confidato sull’orientamento che non sia poi prevalso (Cass. Sez. L, 05/06/2013, n. 14214; Cass. Sez. 1, 15/12/2011, n. 27086).
D’altronde, ove anche la Corte avesse optato per la soluzione della querela di falso, che era appunto una delle opzioni maggioritarie che allora si contendevano il campo, la scelta fatta dalla ricorrente di incanalare le contestazioni dell’olografo nel binario del giudizio di verificazione (senza quindi mai intendere avvalersi del diverso istituto della querela di falso), non avrebbe legittimato di certo il ricorso alla rimessione in termini, e ciò proprio alla luce di quanto appena evidenziato in tema di riconoscibilità del cd. overruling, dovendosi altresì rilevare che la soluzione delle Sezioni Unite, se da un lato svincola l’impugnativa testamentaria dal rigore della querela di falso, ha pur sempre accollato all’erede legittimo l’onere di provare la falsità del testamento, analogamente a quanto sarebbe accaduto ove il dilemma fosse stato risolto a favore della soluzione della querela di falso, il che conforta il convincimento che non ricorrono gli estremi per favorire la richiesta rimessione in termini (richiesta peraltro mai rivolta alla Corte d’Appello, sebbene l’arresto delle Sezioni Unite fosse già intervenuto in pendenza del giudizio di merito, non potendosi a siffatta istanza equipararsi la generica richiesta rivolta alla Corte di assumere i provvedimenti ritenuti più idonei, senza specificare quale attività intendeva effettivamente compiere la parte per adeguare la propria difesa alla soluzione fatta propria dalle Sezioni Unite).
Va pertanto confermato il principio già espresso da questa Corte, secondo cui (Cass. n. 6918/2019) l’intervento regolatore delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, induce a escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell’esercizio del diritto alla rimessione in termini in capo alla parte che abbia confidato sull’orientamento che non è prevalso (nella specie, in una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, la S.C. ha ritenuto non spettante la rimessione in termini alla parte che, confidando in uno dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di legittimità, in ordine allo strumento processuale utilizzabile per contrastare l’autenticità di un testamento olografo – poi superato da Cass., S.U., n. 12307 del 2015 -, si era limitata a disconoscere la conformità della copia prodotta all’originale).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla per le spese per l’intimata che non ha svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021