LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26176-2019 proposto da:
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO n. 168, presso lo studio dell’avvocato TANTALO LUCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SOLIGNANI TIZIANO;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 35/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 23/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’11.8.2005 C.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 77/2005, con il quale il Tribunale di Sassari gli aveva ingiunto di pagare la somma di Euro 24.906,10 alla ***** del geom. Ca.An., a saldo di alcune opere extra-contratto eseguite dalla stessa, in qualità di appaltatore, su un immobile di proprietà dell’opponente. L’attore esponeva, in particolare, di aver già saldato interamente quanto dovuto all’appaltatore in forza del contratto con esso intervenuto, inclusa la somma di Euro 2.084,43 per lavori in eccesso rispetto a quelli originariamente preventivati; di non aver commissionato alcuna ulteriore lavorazione, e che comunque ***** non aveva eseguito le opere per le quali pretendeva di aver diritto ad un ulteriore pagamento; eccepiva, infine, l’esistenza di vizi e difetti nelle opere eseguite dall’appaltatore.
Nella resistenza di quest’ultimo, il Tribunale di Sassari accoglieva solo in parte l’opposizione, condannando l’opponente al saldo dell’importo di Euro 16.882 a fronte delle opere aggiuntive eseguite dall’impresa rispetto a quanto originariamente preventivato.
Interponeva appello il Ca. e si costituiva, resistendo al gravame, la ditta appaltatrice. A seguito del fallimento di quest’ultima, il giudizio di seconda istanza veniva interrotto e riassunto nei confronti del fallimento *****. Infine, con la sentenza impugnata, n. 35/2019, la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, rigettava l’impugnazione.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.G., affidandosi a tre motivi.
Il Fallimento *****, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 43, della L. n. 5 del 2006, art. 41, artt. 300,304,101 e 75 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto -a seguito del deposito, eseguito in data 7.3.2017 da parte del curatore del Fallimento *****, della sentenza dichiarativa di fallimento, pronunciata in data 29.10.2014- dichiarare la nullità di tutti gli atti compiuti successivamente all’apertura della procedura concorsuale, poiché la dichiarazione di fallimento determina l’automatica interruzione del giudizio, a prescindere dalla dichiarazione dell’evento interruttivo e dalla sua conoscenza effettiva in capo alle altre parti.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 43 L. Fall., come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41, e dell’art. 300 c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe dovuto accogliere il motivo di appello con il quale l’odierno ricorrente aveva dedotto il vizio di cui al primo motivo.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della loro intima connessione, sono infondate.
Come diverse volte ribadito da questa Corte, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione, ai sensi dell’art. 305 c.p.c. è necessaria la conoscenza dell’evento che determina l’interruzione del processo, la quale dev’essere legale, cioè deve essere acquisita non in via di fatto ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento medesimo, assistita da fede privilegiata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12890 del 26/06/2020, Rv. 658021; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33157 del 16/12/2019, Rv. 656302; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27165 del 28/12/2016, Rv. 642345; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 3782 del 25/02/2015, Rv. 634500; Cass. Sez. L, Sentenza n. 5650 del 07/03/2013, Rv. 625604; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3085 del 11/02/2010, Rv. 611451) e deve investire, non già la parte personalmente, ma il suo difensore, quale soggetto tecnico in grado di valutare glì effetti giuridici dell’evento medesimo e di capire se e da quale momento decorre il termine per riassumere il giudizio.
La tesi è stata recentemente avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno affermato il principio secondo cui “In caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43 L. Fall., comma 3, ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 L. Fall., per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12154 del 07/05/2021, Rv. 661210).
Da quanto precede deriva che, sin tanto che l’evento interruttivo non è stato formalmente comunicato alle parti del giudizio, mediante il deposito -ad opera del curatore- della copia della sentenza dichiarativa del fallimento della *****, il processo è regolarmente proseguito; gli atti compiuti nell’intervallo temporale compreso tra il 29.10.2014 (data di apertura del fallimento) ed il 7.3.2017 (data di deposito della sentenza da parte del curatore) conservano dunque piena efficacia.
Con il terzo motivo, invece, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1659 c.c., perché la Corte distrettuale, a fronte delle deposizioni dei testimoni escussi in corso di causa -riprodotte, nelle parti salienti, nel motivo di doglianza- che avevano confermato il fatto che il committente si trovava all’estero e non seguiva i lavori, avrebbe dovuto escludere la consapevolezza del predetto circa la variante eseguita dall’appaltatore, sulla cui base questi aveva fondato l’ulteriore pretesa creditoria oggetto del contendere. Ad avviso del ricorrente, in particolare, la Corte isolana avrebbe dovuto ritenere insufficiente, ai fini della prova dell’autorizzazione del committente ai lavori in variante, il solo stato di avanzamento lavori, in difetto di specifica dichiarazione di consenso redatta in forma scritta.
La censura è inammissibile.
La Corte territoriale dà atto, nella sentenza impugnata, che se da un lato il Ca. non aveva seguito di persona le opere, perché impegnato per lavoro all’estero, tuttavia le stesse erano state supervisionate dalla moglie, all’epoca con lui convivente. Le varianti eseguite in corso d’opera, in particolare, erano state autorizzate dal direttore dei lavori – Ca.Da. -il quale aveva dichiarato che era stato il committente a richiederle, senza nulla osservare in relazione al S.A.L. che era stato predisposto all’esito del completamento delle predette variazioni. Inoltre, la Corte di Appello precisa che “Comparando il computo metrico originario e lo stato di avanzamento al 3012-02 emerge che non sono registrate nuove categorie di lavorazioni, ma quantità diverse dei lavori già previsti, nella misura riassunta dal c. t. u. nella tabella riepilogativa inserita nella relazione, ove sono evidenziati i correttivi applicati al conteggio a seguito dei rilevamenti effettuati”(cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Con tale articolato, e decisivo, passaggio della motivazione la Corte sassarese afferma, in sostanza, che la variante in discussione non aveva contenuto qualitativo -cioè non aveva comportato l’esecuzione di opere di tipologia diversa, o ulteriori, rispetto a quelle originariamente previste- ma solo quantitativo, essendo variate, appunto, soltanto le quantità dei lavori già previsti; e che la stessa era stata, in ogni caso, autorizzata o comunque approvata dal committente, ancorché non presente fisicamente in loco, perché impegnato all’estero per motivi di lavoro.
La censura proposta dal Ca. non si confronta in modo adeguato con tale statuizione: in particolare, il ricorrente non supera l’affermazione secondo cui la variante era stata da lui stesso richiesta, che di per sé è sufficiente ad escludere l’operatività dell’art. 1659 c.c., con conseguente inapplicabilità del rigoroso regime della prova previsto dal comma 2 di detta disposizione.
Inoltre, il ricorrente non soltanto non dimostra, ma neppure allega, che la variante avesse -diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale- un contenuto qualitativo, ed una estensione tale da implicare, tanto in termini assoluti, quanto in relazione all’economia complessiva dell’appalto, una notevole e sostanziale modificazione dei termini del sinallagma originario.
In proposito, è opportuno ribadire che, anche in relazione alle variazioni eseguite autonomamente dall’appaltatore, e fermo restando il principio per cui l’art. 1659 c.c. vieta all’appaltatore la possibilità di utilizzare materiali o forme diverse da quelle previste, ancorché di maggior pregio, non potendosi egli sostituire al committente nella scelta delle modalità esecutive idonee a caratterizzare l’opera commissionatagli secondo le preferenze dal predetto manifestate al momento della conclusione del contratto, ed essendo la norma in esame finalizzata ad assicurare la conformità del risultato alle aspettative del committente, può tuttavia escludersi l’illiceità della variazione, qualora essa, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, abbia scarsa rilevanza rispetto alla prestazione dedotta in contratto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4440 del 27/07/1984, Rv. 436344).
Analogo criterio vale, del resto, in relazione alle variazioni ordinate dal committente, in relazione alle quali l’art. 1661 c.c. ammette l’esercizio dello ius variandi a condizione che il loro valore sia contenuto nei limiti del sesto del corrispettivo originariamente convenuto – comma 1 – e qualora esse non implichino una notevole modificazione della natura dell’opera o dei quantitativi previsti per le singole categorie di lavori necessari per la sua esecuzione – comma 2 – (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10201 del 20/06/2012, Rv. 623125).
Inoltre, e per concludere, il ricorrente neppure allega di quale tipologia di appalto si trattasse, nel caso specifico; ovvero, ed in particolare, se il contratto fosse stato concluso a corpo, ovvero a misura. Circostanza, questa, suscettibile di spiegare effetti significativi sui diritti delle parti, in relazione alle opere aggiuntive o modificative, rispetto a quelle originariamente previste, realizzate dall’appaltatore.
La censura in esame difetta dunque del richiesto grado di specificità, e comunque non è idonea a confrontarsi in modo adeguato con la statuizione di merito della Corte distrettuale, secondo cui, nel caso di specie, la variante era stata richiesta dal Ca. ed aveva comportato soltanto una variazione quantitativa delle opere previste.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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