LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26715/2019 R.G. proposto da:
Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello stato, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
D.N.W.;
– intimato –
avverso la sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 541/2019, pubblicata in data 10 luglio 2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2021 dal Consigliere Iannello Emilio.
FATTI DI CAUSA
1. D.N.W. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Pescara, la Regione Abruzzo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati dall’autoveicolo di sua proprietà a seguito dell’impatto con un cinghiale, verificatosi sulla S.R. 487 al Km 13+400 con direzione da Caramanico Terme (PE) verso San Valentino in A.C. (PE) il 6 agosto 2014, intoro alle ore 5,30 circa.
Si costituì in giudizio la Regione convenuta, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo nel merito il rigetto della domanda. Ad avviso della convenuta la responsabilità dell’evento era da imputare alla Provincia territorialmente competente o all’ente proprietario della strada e, comunque, non sussistevano i presupposti per affermare la responsabilità aquiliana dell’Amministrazione regionale, mancando il nesso causale e un comportamento colpevole della Regione rispetto all’accaduto.
Il Giudice di pace adito, con sentenza n. 1502/2015, accolse la domanda e condannò la Regione al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 1.415,20, oltre accessori, nonché alle spese di lite.
2. Con sentenza pubblicata in data 10 luglio 2019 il Tribunale di L’Aquila ha rigettato il gravame interposto dalla Regione e l’ha condannata al pagamento delle spese del grado.
Richiamata l’applicabilità alla fauna selvatica dei principi di cui all’art. 2043 c.c. in luogo di quelli di cui all’art. 2052 c.c., il Tribunale ha osservato che: la Regione è l’ente preposto al controllo della fauna selvatica ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 19; tale responsabilità permane nonostante la delega conferita dalla Regione alle Province (L.R. Abruzzo 17 novembre 2004, n. 41, art. 48), perché la Regione non ha, in effetti, devoluto alle Province i mezzi necessari per tale obiettivo, avendo destinato ad altri scopi le somme stanziate a suo tempo.
Ciò premesso, il tribunale adito ha ritenuto dimostrati il fatto dannoso, la riconducibilità del medesimo all’incuria della Regione e la determinazione dei danni nella somma suindicata.
3. Avverso tale decisione la Regione Abruzzo propone ricorso per cassazione con unico mezzo.
L’intimato non ha svolto difese nella presente sede.
Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso.
Non si è infatti perfezionata la relativa notifica a mezzo posta, risultando il destinatario (Avv. C.M., domiciliatario nel giudizio d’appello) irreperibile all’indirizzo indicato.
1.1. Ciò posto in punto di fatto, è anzitutto da escludere che possa in questa sede ordinarsi la rinnovazione della notifica ai sensi e per gli effetti dell’art. 291 c.p.c., comma 1.
E’ evidente infatti che si è al cospetto non già di una mera nullità della notifica ma di una vera e propria inesistenza, ricorrendo uno dei pur ormai ristrettissimi casi in cui una tale ipotesi è configurabile secondo il dictum di Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916, quello cioè in cui – per usare gli stessi termini del citato arresto – “l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”, con conseguente impredicabilità di una rinnovazione iussu iudicis sanante con effetto ex tunc, ai sensi dell’art. 291 c.p.c..
1.2. Occorre poi prendere atto che non risulta perfezionato alcun successivo tentativo di notifica.
Essendo ad oggi il termine per impugnare ampiamente decorso, non è più neppure ipotizzabile una utile rinnovazione della stessa.
Ciò tanto nel caso che la mancata notifica a causa della irreperibilità del destinatario sia imputabile al notificante, quanto in quello che non lo sia.
Converrà rammentare al riguardo che, circa gli effetti del mancato perfezionamento della notifica dell’impugnazione, al fine di valutare la tempestività della sua rinnovazione rispetto al termine per impugnare, la giurisprudenza distingue a seconda che l’errore sul domicilio del difensore domiciliatario sia o meno imputabile al notificante.
1.2.1. L’errore si considera imputabile ove sia richiesta all’ufficiale giudiziario la notifica dell’impugnazione nel domicilio di un procuratore esercente l’attività nell’ambito della circoscrizione di assegnazione: in tal caso, ai fini dell’indicazione del luogo di consegna dell’atto, va indicato il “domicilio professionale” (cfr. R.D.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 17) oppure la “sede dell’ufficio” (R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 68) del procuratore e il previo accertamento dell’uno o dell’altra è a carico del notificante e va soddisfatto con il previo riscontro presso l’albo professionale.
1.2.2. Si considera altresì, il mancato esito della notifica, imputabile al notificante ove la stessa sia richiesta nel domicilio di un procuratore che, esercitando l’attività fuori della circoscrizione di assegnazione, abbia omesso di eleggere domicilio nell’ambito di quella ove ha sede l’ufficio giudiziario adito, dovendosi in tal caso ritenere eletto il domicilio ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 e art. 330 c.p.c. presso la cancelleria della Corte d’appello (salvo che il dìfensore, adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, nel qual caso, naturalmente, la notifica va effettuata telematicamente presso tale ultimo indirizzo: v. Cass. Sez. U. 20/06/2012, n. 10143).
1.2.3. Si considera, invece, non imputabile nel diverso caso in cui la notificazione dell’atto di impugnazione sia indirizzata a procuratore che, esercitando il proprio ufficio in un giudizio che si svolge in circoscrizione diversa da quella del tribunale al quale è assegnato, abbia eletto domicilio nell’ambito della detta circoscrizione: in tal caso la notifica è correttamente indirizzata, da parte del notificante, in questo luogo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 330 e 141 c.p.c., anche qualora il domiciliatario sia un avvocato iscritto al locale albo professionale, senza che sia necessario il previo riscontro presso questo albo a carico del notificante, essendo in tal caso infatti onere della parte che ha eletto domicilio indicare alla controparte eventuali mutamenti del domicilio eletto (v. ex aliis Cass. Sez. U. 18/02/2009, n. 3818; Cass. Sez. U. 24/07/2009, n. 17352; 13/02/2014, n. 3356; Cass. 18/11/2014, n. 24539; 19/10/2017, n. 24660). Si considera a fortiori non imputabile l’omessa notifica presso il domicilio effettivo conseguente: al mancato aggiornamento dell’albo professionale (Cass. 12/03/2008, n. 6547); alla morte del procuratore indicato in sentenza (Cass. 21/11/2006, n. 24702); all’erronea informazione del trasferimento del domicilio fornita da un terzo all’ufficiale giudiziario (Cass. 04/05/2006, n. 10216).
1.3. Diverse, come detto, sono nei vari casi, le conseguenze del mancato buon esito della notifica.
1.3.1. Nel primo e nel secondo dei casi descritti – errore nella indicazione dell’indirizzo del procuratore domiciliatario imputabile al notificante – l’impugnazione potrà ritenersi tempestivamente proposta solo se la rinnovata notifica intervenga entro il termine per impugnare, non potendosi farne retroagire gli effetti fino al momento della prima notifica (v. Cass. Sez. U. n. 3818 del 2009, cit.; Cass. 21/06/2007, n. 14487; 01/07/2005, n. 14033).
1.3.2. Nel terzo caso invece – errore non imputabile al notificante – si ammette che la ripresa del procedimento notificatorio abbia effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, restando pertanto irrilevante che essa abbia luogo dopo lo spirare del termine per impugnare.
Quanto alle modalità e ai termini da osservarsi perché tale ripresa produca detto effetto la giurisprudenza ha però fissato dei criteri stringenti e tassativi.
Anzitutto la ripresa del processo notificatorio è rimessa alla parte istante e deve escludersi la possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice, vuoi perché questa sub-procedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perché non sarebbe “neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata” (precisazione questa operata, modificando precedente indirizzo, da Cass. Sez. U. 24/07/2009 n. 17352, richiamata da Cass. Sez. U. 15/07/2016, n. 14594; v. anche Cass. 11/09/2013, n. 20830; 25/09/2015, n. 19060).
L’attività della parte interessata a completare la notificazione deve inoltre essere attivata con “immediatezza” appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione – restando a carico della stessa l’onere di indicare e provare il momento in cui ha appreso dell’esito negativo della notifica (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016, cit.; Cass. n. 19060 del 2015) – e deve svolgersi con “tempestività”.
Allo scopo di dare maggiore concretezza a tale ultimo requisito, le Sezioni Unite, come noto, hanno ritenuto di poter fissare il relativo termine in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c. (e dunque, per il ricorso per cassazione, in trenta giorni), osservando che “se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l’indirizzo del nuovo studio)” (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016, motivazione p. 30).
1.4. Alla luce di tali premesse, è agevole osservare che, nel caso di specie, ricorre la seconda della ipotesi sopra esaminate (errore imputabile al notificante), atteso che:
– il difensore dell’appellato, Avv. C.M., risultava domiciliato, anche per il giudizio di appello, presso il proprio studio in Pescara, circoscrizione diversa da quella ove ha sede la Corte d’appello di L’Aquila;
– doveva egli quindi considerarsi domiciliato ex lege presso la cancelleria della Corte d’appello di L’Aquila, alla quale andava diretta la notifica del ricorso;
– per tal motivo l’esito infruttuoso della notifica deve considerarsi imputabile al notificante, con quel che ne consegue circa la mancata rinnovazione della notifica entro il termine per impugnare;
– ma quand’anche l’errore non fosse stato imputabile al notificante, una eventuale rinnovazione non potrebbe ormai comunque sortire alcun effetto sanante ex tunc, essendo decorso oltre un anno e mezzo dall’esito infruttuoso della prima notifica e, dunque, ben più dei trenta giorni da osservarsi, per quanto detto, perché una tale rinnovazione possa considerarsi, agli effetti indicati, “tempestiva”.
2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Non avendo l’intimato svolto difese, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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