Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32882 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29120/2019 R.G. proposto da:

Comune di Castrovillari, rappresentato e difeso dall’Avv. Ferdinando Gioia;

– ricorrente –

contro

Fallimento della S.p.a. *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Vincenzo Rosa, con domicilio eletto in Roma, via Magnagrecia, n. 84, presso lo studio dell’Avv. Leonardo Rosa;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, n. 1164/2019, depositata il 3 giugno 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dal Comune di Castrovillari avverso il decreto n. 302/10 con il quale era stato ad esso ingiunto il pagamento della somma di Euro 159.395,89 in favore del Fallimento della S.p.a. “*****”, per il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti e dello spazzamento della città;

ha infatti ritenuto infondata l’eccezione di inadempimento opposta dall’ente;

ciò sul rilievo che nell’ordinanza n. 8601/2010 del Commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza nel settore dei rifiuti urbani nel territorio della Regione Calabria: si dava espressamente atto dell’espletamento del servizio e si commisurava il contributo dovuto alle effettive quantità conferite in discarica; si richiamava l’ordinanza del Commissario Delegato n. 2329 del 2003 (“modalità operative di erogazione finanziamenti di cui al punto 9 delle ordinanze commissariali n. 586/1999, n. 1214/2000, n. 1785/2002 e al punto 10 della ordinanza commissariale n. 2162/2003”); si dava atto che il contributo per incentivo della raccolta differenziata era stato da detto commissario liquidato in rapporto al verificato raggiungimento degli obiettivi;

ha soggiunto che tali dati non erano stati oggetto di specifica contestazione, neppure sotto il profilo della legittimazione del curatore fallimentare a riceverli;

ha infine rilevato che il Comune di Castrovillari non aveva riproposto alcuna delle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate in primo grado e pertanto le stesse andavano intese come rinunciate;

avverso tale decisione il Comune di Castrovillari propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resiste il fallimento intimato depositando controricorso;

essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte;

il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso, contraddittorio ed insufficiente esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (così nell’intestazione), per avere basato la propria decisione sulla mera “parte discorsiva” dell’ordinanza n. 8601/2010 del Commissario Delegato, non tenendo conto dei dati riportati nella tabella A) ad essa allegata dalla quale emergeva il mancato raggiungimento degli obiettivi e, di conseguenza, la non spettanza degli incentivi;

con il secondo motivo l’ente locale denuncia poi “omesso esame di elementi decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5”;

lamenta che la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi su tutte le eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate in primo grado, sull’errato convincimento che le stesse non fossero state riproposte con l’atto di costituzione nel giudizio di appello;

assume che il contrario doveva desumersi dal richiamo contenuto a pag. 5 della comparsa di costituzione in secondo grado, ove era scritto: “senza rinunciare alle precedenti eccezioni preliminari, che risultano totalmente risolutive nel caso di specie (…)”;

e’ pregiudiziale – in quanto attinente alla procedibilità del ricorso – il rilievo del mancato deposito, da parte del ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione (che si afferma essere stata effettuata, telematicamente, in data 8 luglio 2019), in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2;

manca invero qualsiasi documentazione relativa alla notifica della sentenza;

copia di tale relazione non è stata nemmeno aliunde acquisita;

la notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza (Cass. 10/07/2013, n. 17066), essendo stata effettuata in data 1/10/2019, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza (3/6/2019);

può comunque rilevarsi che, ove il ricorso non fosse stato improcedibile, sarebbe andato incontro a declaratoria di inammissibilità;

il primo motivo è infatti inammissibile;

pur prescindendo dal riferimento in rubrica ad un tipo di vizio non previsto tra quelli tassativamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (e peraltro anche intrinsecamente contraddittorio dal momento che, se l’esame è insufficiente o contraddittorio, vuol dire che comunque c’e’ stato e non può essere dunque anche omesso), rimane comunque palesemente inosservato l’onere di specifica indicazione degli atti e documenti richiamati (art. 366 c.p.c., n. 6);

si richiama, infatti, a fondamento, il contenuto di un documento (“Tabella A” allegata alla O. n. 8601 del 2010 del Commissario Delegato all’emergenza rifiuti in Calabria) senza indicare dove e quando esso sia stato prodotto nell’uno e nell’altro grado del giudizio di merito (si dice soltanto, del tutto genericamente, che detta tabella è “allegata alla O. n. 8601 del 2010 prodotta e depositata dall’odierna resistente (recte: ricorrente) tra gli atti di causa”) senza inoltre localizzarlo nel presente giudizio (in violazione dell’art. 369 c.p.c., n. 4);

e’ invece, come noto, necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701; Sez. U. 23/09/2019, n. 23553);

il secondo motivo è parimenti inammissibile e, comunque, infondato;

benché in rubrica si faccia riferimento alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con la successiva illustrazione del motivo si deduce in sostanza un error in procedendo, consistito nell’aver ritenuto non riproposte eccezioni che invece doveva ritenersi che lo fossero state attraverso il richiamo sopra trascritto (“senza rinunciare alle precedenti eccezioni preliminari, che risultano totalmente risolutive nel caso di specie…”);

la doglianza non indica, se non in parte, quali fossero tali eccezioni; le uniche cui si fa riferimento sono quelle con le quali (si dice) erano state dedotte: a) “l’illegittima duplicazione della pretesa di pagamento relativa all’anno 2006”; b) la “mancata notifica nelle forme di legge dell’ordinanza commissariale n. 008601 del 12 gennaio 2010”;

al riguardo occorre anzitutto rammentare che, secondo pacifico insegnamento, l’onere della riproposizione posto dall’art. 346 c.p.c., “di certo non opera per le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice in sede di gravame, ove non oggetto di esame e decisione in primo grado;

“ciò comporta che le questioni pregiudiziali di rito che non siano state fatte oggetto di alcuna soluzione nella motivazione della sentenza di primo grado rimarranno rilevabili anche ad opera del giudice di appello, pur in mancanza di un motivo di gravame o della riproposizione di esse” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. U. 21/03/2019, n. 7940);

ebbene quelle suindicate non possono considerarsi eccezioni in senso stretto, ma mere difese o, al più, eccezioni in senso lato (non trattandosi di eccezioni riservate all’iniziativa della parte per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva: v., per tale definizione delle eccezioni in senso stretto, Cass. Sez. U. 03/02/1998, n. 1099; Sez. U. 27/07/2005, n. 15661);

come tali esse erano bensì, dunque, sottratte all’onere di riproposizione e rilevabili d’ufficio, anche in appello, dal giudice, e da questo punto di vista il rilievo contenuto in sentenza, se anche ad esse riferibile, sarebbe da considerare erroneo (ancorché per ragioni diverse da quella dedotta);

la doglianza, però, con riferimento ad esse è mal posta e comunque si rivela aspecifica;

la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato non esaminate e rimaste assorbite in primo grado sconta pur sempre, infatti, il limite rappresentato dal necessario riferimento a fatti risultanti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (v. Cass. Sez. U. 07/05/2013, n. 10531; Cass. Sez. U. n. 15661 del 2005, cit.; Cass. Sez. U. 25/05/2001, n. 226/SU; v. anche Cass. 26/02/2014, n. 4548; Cass. 31/10/2018, n. 27998);

ne discende che, nella specie, il mancato esame di esse avrebbe dovuto dedursi quale vizio di omesso esame circa uno o più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

ma pur riconducendo, in astratto, a tale paradigma censorio la doglianza (recuperando quanto dedotto in rubrica, ancorché come detto incoerente rispetto alla successiva illustrazione del motivo), in concreto non può non rilevarsene l’aspecificità, in mancanza di alcuna indicazione degli atti di causa dai quali tali fatti avrebbero dovuto dedursi e del se, come e quando essi siano stati oggetto di discussione tra le parti, ed ancora circa la loro decisività;

mette conto comunque soggiungere che, ove con il motivo si intendesse far riferimento anche ad eccezioni in senso stretto, fermo il rilievo ostativo derivante proprio dalla genericità di tale prospettazione, la decisione impugnata si sottrarrebbe comunque al dedotto vizio di inosservanza dell’art. 346 c.p.c. dal momento che il generico richiamo menzionato in ricorso non potrebbe in effetti ritenersi satisfattivo dell’onere di riproposizione dettato da tale norma;

questa Corte ha invero più volte chiarito, e va qui ribadito che, in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (v. ex multis Cass. 13/11/2020, n. 25840; 15/10/2020, n. 22311; v. anche, in motivazione, Cass. Sez. U. 21/03/2019, n. 7940);

la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;

il ricorso deve essere, in definitiva, dichiarato improcedibile con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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