LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6133-2015 proposto da:
AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE A. CARDARELLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. G. BELLI 39, presso lo studio dell’avvocato FELICE LAUDADIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERTOLINI 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN BATTISTA SANTANGELO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIACOMO MIGLIACCIO, GIAN LUCA LEMMO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4779/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/07/2014 R.G.N. 8619/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. BELLE’ ROBERTO.
RITENUTO IN FATTO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza di primo grado accogliendo, sulla base di c.t.u., la domanda di V.S. volta al riconoscimento dell’indennità per rischio radiologico nell’attività di infermiere da lui svolta presso l’Ospedale Cardarelli, per superamento delle soglie limite di esposizione a radiazioni ionizzanti;
l’Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale A. Cardarelli ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti dal V. con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione (360 c.p.c., n. 3) degli artt. 61, 112, 115, 116, 437 e 441 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., affermando la mancanza di allegazioni e prove documentali idonee a contestare gli esiti della decisione della competente Commissione amministrativa, da ritenere di portata “costitutiva” e sostenendo che la Corte territoriale, attraverso l’ammissione di c.t.u., avrebbe indebitamente colmato, con un mezzo di indagine, le lacune nelle allegazioni e prove di cui era onerato il ricorrente;
il secondo motivo adduce anch’esso la violazione delle medesime norme e della regola sull’onere della prova, affermando il divieto di disporre c.t.u. con finalità meramente esplorative;
2. i due motivi sono da esaminare congiuntamente, data la loro stretta connessione e sono infondati;
2.1 deve premettersi che, discutendosi chiaramente di diritti soggettivi che dipendono dalla ricorrenza di esposizione a radiazioni oltre le soglie previste dalla normativa, non vi è luogo a discorrere di una qualsiasi portata “costitutiva” delle valutazioni svolte dalla Commissione preposta a valutare la ricorrenza o meno dei presupposti del diritto rivendicato;
non vi è quindi alcun dubbio che il ricorrente potesse agire al fine di dimostrare l’esistenza dell’esposizione idonea ad integrare i presupposti di esposizione, pur restando onerato della conseguente dimostrazione; questa Corte ha del resto già ritenuto che “l’indennità di rischio radiologico, presupponendo la condizione dell’effettiva esposizione al rischio connesso all’esercizio non occasionale, né temporaneo di determinate mansioni, può essere riconosciuta, indipendentemente dalla qualifica rivestita, in relazione alle peculiari posizioni di quei lavoratori che si trovano esposti, per intensità e continuità, a quello normalmente sostenuto dal personale di radiologia (cfr Corte Cost. n. 342 del 1992), restando il relativo accertamento rimesso al giudice del merito” (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4525; Cass. 7 agosto 2014, n. 17757) e ricadendo i tali casi l’onere della prova sui lavoratori richiedenti (Cass. 7 giugno 2018, n. 14836).
2.2 a quanto consta dall’ampio stralcio del ricorso introduttivo trascritto nel ricorso per cassazione, agendo in giudizio il ricorrente allegò lo svolgimento da parte sua di mansioni infermieristiche presso la camera operatoria di neurochirurgia di urgenza nell’Ospedale Cardarelli, di cui egli ha addotto la classificazione come “zona controllata”, affermando una sua esposizione abituale a radiazioni ionizzanti per effetto dell’uso in quella sede di strumentazioni non schermabili e tali da non consentire l’uso di guanti o altre protezioni, con particolare riferimento anche all’apparecchiatura di “brillanza” utilizzata per le indagini endoscopiche; il ricorrente, indicando le proprie mansioni ed il luogo (ospedale e, in specifico, sala operatoria di un dato reparto) ove egli era soggetto all’esposizione a radiazioni ionizzanti ha dunque pienamente assolto al proprio onere di identificazione dei fatti primari costitutivi del diritto rivendicato e quindi di esatta e sufficiente esposizione della causa petendi;
2.3 su tali premesse è stata disposta in appello c.t.u. la quale, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, ha acquisito le schede dosimetriche in possesso dell’azienda e relative al lavoratore, da cui ha desunto la “specifica localizzazione” delle attività svolte dal ricorrente;
il c.t.u. ha poi analizzato in dettaglio le mansioni proprie della posizione professionale del V., verificando come il ricorrente avesse svolto eminentemente le sue attività nella “zona controllata” della sala operatoria della neurochirurgia di urgenza e giungendo alla conclusione che vi era stata esposizione a radiazioni ionizzanti in misura superiore alla soglia utile al riconoscimento dell’indennità rivendicata;
e’ principio acquisito alla giurisprudenza di questa S.C., fin dalla ormai risalente pronuncia di Cass., S.U., 4 novembre 1996, n. 9522 quello per cui “il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente. In questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento” (in senso conforme, successivamente, v. Cass. 26 febbraio 2013, n. 4792);
2.4 per “fatto” posto a fondamento del diritto è da intendersi, in tale contesto, quella o quelle circostanze (c.d. fatti primari) che in sé siano tali da far sorgere il diritto stesso e che individuano quindi fatti costitutivi, rispetto al cui diretto accertamento possono direttamente operare le informazioni o i rilievi, anche mediante osservazione di luoghi, cose o persone, che l’art. 194 c.p.c., consente di demandare al c.t.u.;
il legale svolgimento delle attività peritali di cui all’art. 194 c.p.c., consente peraltro l’accertamento anche di altre circostanze, riportabili al novero dei fatti c.d. secondari (v. Cass. 14 luglio 2004, n. 13015), ovverosia utili nel loro insieme alla prova indiretta dei fatti primari;
fatti secondari il cui ingresso in causa, una volta individuati i fatti primari di riferimento, non soggiace ad oneri di previa allegazione o asserzione; mentre infatti l’identificazione dei fatti primari, come si desume dall’art. 164 c.p.c., comma 4, è necessaria per una valida instaurazione della causa, i fatti destinati alla prova soggiacciono al diverso principio di “acquisizione”;
tale principio consente di valorizzare sia quanto afferma chi agisce, ma anche quanto in punto di fatto deriva da chi resiste alla domanda altrui e perfino quanto proviene dal giudice, a condizione che le rispettive attività siano legalmente svolte secondo le regole che le riguardano e quindi, quanto alle parti, nel rispetto dei termini preclusivi propri dei diversi gradi per determinare l’ingresso di circostanze nel processo (Cass. 6 maggio 2020, n. 8525) o, quanto al giudice, nel rispetto delle regole che disciplinano le sue attività, a partire dal divieto di scienza privata e fino alle regole sui poteri istruttori (Cass. 14 agosto 2019, n. 21410) ed alle acquisizioni fattuali mediante attività del c.t.u. (Cass. 27 agosto 2012 n. 14652; Cass. 14 luglio 2004, n. 13015);
a quest’ultimo proposito, la previsione stessa di poteri ispettivi giudiziali, che consentono di visionare cose o persone (art. 118 c.p.c.), eventualmente, quando la caratura tecnica lo richieda o lo consigli, mediante attività del c.t.u., così come la possibilità per il c.t.u., espressamente prevista dal codice di rito, di reperire le informazioni necessarie (art. 194 c.p.c.) costituiscono in sé la legittimazione processuale all’ingresso dei fatti in tal modo individuati e ciò secondo i tempi ed i modi tipici dei mezzi in questione;
ciò che conta, a parte altre condizioni di dettaglio su cui non è la sede per attardarsi, è che i fatti che vengano acquisiti al giudizio attraverso un’attività “percipiente” del c.t.u., emergano in condizioni tali da assicurare la possibilità di contraddittorio tecnico delle parti e comunque che tali fatti siano sottoposti a tale contraddittorio, profilo su cui non vi è questione nel caso di specie;
2.5 in definitiva, l’attività percipiente del c.t.u. è in sé tale, a condizione del rispetto del contraddittorio, da apportare legalmente elementi fattuali ulteriori all’interno del processo;
tale ingresso fattuale si svolge pur sempre rispetto alla prova di fatti costitutivi allegati, nel senso di inequivocabilmente addotti in causa dalla parte a fondamento della propria domanda;
quindi non si può parlare di attività puramente esplorative, tali non essendo quelle indagini che mirano a verificare, in via diretta o attraverso quanto deducibile da fatti c.d. secondari, l’esistenza o meno e la connotazione di quei fatti primari;
2.6 nel caso di specie, l’analitica ricostruzione delle mansioni operata dal c.t.u. e la ricostruzione, attraverso l’acquisizione delle schede “dosimetriche”, delle specifiche localizzazioni, in ragione del rischio di esposizione, delle attività che venivano svolte dal ricorrente, ha quindi costituito una legittima attività “percipiente” di ulteriori e più analitici elementi di fatto, quali la prevalente localizzazione delle attività professionali, utili alla valutazione di merito;
il conseguente apprezzamento rispetto alla soglia di esposizione ha poi costituito, sulla base dei fatti così individuati e con coerenza rispetto al caso concreto, un’attività più spiccatamente “deduttiva”, sotto il profilo della ricostruzione logica, secondo i parametri tecnico-scientifici del settore, della più probabile esposizione giudicabile come effettivamente verificatasi;
2.7 neppure può dirsi violato l’art. 2697 c.c., il cui indebito superamento si ha soltanto quando, a fronte di un fatto rimasto ignoto, si facciano erroneamente ricadere le conseguenze di una tale mancata conoscenza su parte diversa da quella che era onerata della relativa dimostrazione, il tutto, però, solo dopo lo svolgimento delle attività istruttorie rilevanti ed esperibili, su iniziativa delle parti o del giudice;
l’essersi ottenuto, sulla base delle attività istruttorie legalmente svolte, un convincimento giudiziale positivo sulla ricorrenza dei fatti costitutivi del diritto, esclude dunque che si possa discutere in termini di violazione della norma sul riparto degli oneri probatori;
2.8 in definitiva l’istruttoria svolta e valorizzata dalla Corte territoriale non può quindi dirsi illegittima e quindi non ricorrono violazioni di norme del processo, o sugli oneri probatori, che permettano di invalidarne gli esiti; 3.
con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente afferma la violazione degli artt. 112,115 e 346 c.p.c., perché la Corte d’Appello irritualmente non avrebbe giudicato sull’eccezione di prescrizione, ritenendola non specificamente riproposta;
anche tale motivo è infondato;
e’ in sé pacifico che in secondo grado, dopo che la domanda del V. fu respinta dal Tribunale, l’Ospedale si limitò ad affermare che “si ripropongono tutte le difese già espletate in primo grado”;
ciò non è tuttavia sufficiente ad investire il giudice del gravame della corrispondente questione, in quanto vale il principio per cui “in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice” (Cass. 13 novembre 2020, n. 25840; Cass. 11 maggio 2009, n. 10796); peraltro l’accezione è cosa diversa dalla mera difesa.
4. alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controparte, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 2021 - Legittimazione del possessore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 61 - Consulente tecnico | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 194 - Attivita' del consulente | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 437 - Udienza di discussione | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 441 - Consulente tecnico in appello | Codice Procedura Civile
Codice Penale > Articolo 3 - Obbligatorietà della legge penale | Codice Penale