Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.33010 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17788/2019 proposto da:

M.L., M.F., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CARLESI;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA USL *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO, 32, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ALLIEGRO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO POLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2979/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

FATTI DI CAUSA

1. B.L. e i suoi figli Ma.Fr., L. e F. convennero in giudizio, ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., l’Azienda Sanitaria Locale ***** al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla donna e dai suoi figli in conseguenza delle prestazioni sanitarie erogatele presso il nosocomio che avevano condotto all’amputazione della gamba destra.

A fondamento della domanda gli attori dedussero che, in data *****, la B. si era sottoposta ad un intervento di sostituzione totale del ginocchio destro presso l’Ospedale ***** (oggi Azienda Sanitaria Locale *****); che, in seguito all’operazione, la donna venne ricoverata dapprima presso la Casa di Cura ***** e successivamente, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute, presso l’U.O. di Diabetologia e Malattie metaboliche dell’Ospedale di *****; che, dopo un vano tentativo di rivascolarizzazione, accertato un irreversibile processo di cancrena dell’arto inferiore destro, venne sottoposta ad un intervento di amputazione della gamba fino alla coscia.

Dedussero altresì di aver precedentemente convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Pisa l’Azienda USL ***** Empoli, la Casa di Cura ***** e l’Azienda Ospedaliera Universitaria pisana al fine di accertare, tramite una consulenza tecnica preventiva ex art. 969 bis c.p.c., il nesso causale tra i danni subiti dalla B. e la condotta dei sanitari che l’avevano avuta in cura;, e che la C.T.U. ritenne accertata la responsabilità della sola Azienda AUSL ***** di Empoli, per aver eseguito l’intervento in maniera imprudente e assistito inadeguatamente la paziente nella fase post-operatoria.

Chiesero, pertanto, la condanna Azienda AUSL 11 Empoli al risarcimento) del danno patrimoniale e non patrimoniale subito sia dalla donna che dai suoi figli per la lesione del rapporto parentale.

Si costituì in giudizio l’Azienda Sanitaria contestando nel merito la fondatezza della pretesa e chiedendo di essere autorizzata alla chiamata in causa della Casa di Cura *****.

Il Tribunale di Firenze, acquisito il fascicolo del procedimento di ATP ex art. 696 bis c.p.c. e rigettata la richiesta di chiamata in causa, con ordinanza del 18.03.2017 accolse integralmente le domande attoree, ritenendo accertato il nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento lesivo, e condannò l’Azienda Sanitaria al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore della B. procedendo alla massima quantificazione. Quanto ai figli, riconobbe il danno da lesione del rapporto parentale alla luce dell’alto grado di invalidità della congiunta, della convivenza o stretta vicinanza territoriale dei figli non conviventi, della loro alternanza nell’assistenza della madre e dell’assenza di prova contraria circa disarmonie familiari, liquidando il danno in misura maggiore in favore della figlia convivente Ma.Fr. e più ridotta nei confronti dei figli non conviventi M.L. e F..

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Azienda Sanitaria Locale *****, eccependo l’insussistenza della responsabilità dei sanitari ed in subordine la concorrente responsabilità della Casa di Cura *****.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 2979/2018 del 19.12.2018 ha accolto parzialmente l’appello, riducendo l’ammontare del risarcimento del danno dal lesione del rapporto parentale liquidato in favore della figlia convivente Ma.Fr. e ritenendo altresì che nulla fosse dovuto in favore dei figli non conviventi, M.L. e N.F., in assenza di prova circa il pregiudizio che gli stessi avrebbero subito a seguito delle infermità cui fu affetta la comune madre.

3. Avverso tale sentenza M.L. e M.F. propongono ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi illustrati da memoria.

L’Azienda USL ***** resiste con controricorso. Ha depositato anche memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c. nonché degli artt. 2,29 e 30 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Sostengono i ricorrenti che le circostanze allegate, quali il lungo periodo di convivenza con la madre, la prossimità della loro residenza, l’essersi alternati nell’assistenza della donna nonché la mancanza di prove contrarie circa disarmonie o disaccordi familiari, dimostravano l’esistenza di una consolidata relazione parentale anche per i figli non conviventi, con conseguente equiparazione alla figlia convivente circa l'”an” del risarcimento del danno. La Corte d’Appello, pertanto, avrebbe errato nel ritenere non provato il danno sofferto dai ricorrenti per la lesione subita dalla madre poiché avrebbe completamente omesso di considerare gli elementi di fatto allegati a dimostrazione dell’intensità del vincolo familiare e del conseguente pregiudizio sofferto, ritenendo al contrario determinante il solo aspetto della “convivenza anagrafica”.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 702 bis c.p.c., comma 4, art. 167 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di contestazione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte d’Appello avrebbe posto a carico dei ricorrenti un onere probatorio non dovuto in quanto le allegazioni da questi fornite sull’intensità del legame affettivo, la sofferenza morale patita ed i danni alla vita di relazione dovevano ritenersi “pacifiche” non essendo state contestate dall’Azienda USL *****.

La Corte d’Appello, pertanto, avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., omettendo di porre tali fatti a fondamento della propria decisione.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano “violazione dello schema legale delle presunzioni o falsa applicazione delle norme di diritto relativamente all’art. 2727 c.c.”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di contestazione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte d’Appello nel negare il diritto al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, sarebbe incorsa in una grave violazione dell’art. 2727 c.c., nonché delle regole sul riparto dell’onere della prova poiché i numerosi elementi presuntivi allegati dai figli non conviventi (quali il rapporto di filiazione, la vicinanza territoriale trai figli e la madre, l’amputazione della gamba dell’anziana con invalidità al 55% che ne aveva pregiudicato per sempre la deambulazione) in assenza di prove contrarie, eccezioni o fatti impeditivi, dovevano ritenersi sufficienti a provare presuntivamente l’esistenza del danno.

La Corte d’Appello avrebbe addossato agli attori l’onere di provare l’assenza di fatti impeditivi della pretesa ed avrebbe omesso di rilevare che i ricorrenti avevano dimostrato tutti i fatti costitutivi della loro pretesa al risarcimento ed avrebbe violato le norme in materia di presunzioni e di riparto di onere della prova.

4.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostengono che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in una insanabile contraddizione in quanto avrebbe valutato in maniera diversa la stessa circostanza di fatto e cioè l’assistenza prestata dai figli alla madre giungendo a conclusioni opposte senza fornire alcuna motivazione. In particolare, mentre, da un lato, avrebbe riconosciuto alla figlia convivente il risarcimento del danno dinamico relazionale per l’assistenza prestata alla madre nei giorni lavorativi, dall’altro avrebbe ritenuto irrilevante l’assistenza prestata dai figli non conviventi nei fine settimana e nei giorni festivi.

4.5. Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai seni dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte d’Appello sarebbe incorsa in errore in quanto non avrebbe considerato che entrambi i figli non conviventi avevano lasciato la casa materna solo in età molto matura, fissando poi la loro residenza nei pressi di quella materna; né avrebbe considerato il certificato medico-legale INPS che attestava la necessità di continua assistenza della madre.

4.6. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 342 e 346 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente omesso di dichiarare l’inammissibilità del quinto motivo di appello proposto dall’Azienda Sanitaria Locale ***** in quanto generico e privo dell’esposizione degli elementi di fatto.

4.7. Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte d’Appello avrebbe completamente omesso di accertare l’esistenza del danno morale sofferto dai figli non conviventi, inteso come dolore e sofferenza interiore patita.

Sostengono i ricorrenti che la Corte avrebbe confuso il danno morale con il danno alla vita di relazione poiché avrebbe concentrato la propria valutazione esclusivamente sulla sussistenza di quest’ultima voce di danno, quando invece sarebbe stato necessario procedere ad accertamenti distinti ed autonomi.

5. Occorre esaminare il primo, secondo, quarto e quinto motivo da trattarsi congiuntamente in quanto espongono, sia pur sotto vari profili, la medesima censura.

Le censure sono inammissibili.

I ricorrenti incentrano le loro contestazioni sull’erronea/omessa valutazione da parte della Corte d’Appello delle circostanze allegate, quali la strettissima vicinanza territoriale dei figli non conviventi, la lunga convivenza protrattasi nel passato e il bisogno di assistenza continua della madre, sostenendo che, in assenza di contestazioni di controparte, il giudice avrebbe dovuto ritenere tali circostanze “pacifiche” e dunque “sufficienti” a dimostrare e l’esistenza del danno.

Così formulate, tuttavia, le doglianze mirano a fornire una diversa valutazione delle prove operata dal giudice di merito, esclusa dal sindacato di legittimità.

Sotto questo profilo appare evidente che i ricorrenti non colgono la ratio della sentenza impugnata: il giudice di merito, infatti, non trascura gli elementi indiziari allegati ma ne contesta la loro idoneità ed adeguatezza a dimostrare l’esistenza di un danno in capo ai figli non conviventi.

5.1. Va accolto invece il terzo motivo, nella parte in cui lamenta che la Corte territoriale ha negato il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale nonostante che i numerosi elementi presuntivi, quali il rapporto di filiazione, la vicinanza territoriale tra i figli e la madre, l’amputazione della gamba dell’anziana madre che ne ha pregiudicato per sempre la deambulazione, fossero sufficienti a dimostrare l’esistenza del danno non patrimoniale da lesione del danno parentale.

Come costantemente affermato da questa Corte regolatrice, infatti, il danno non patrimoniale da perdita (o lesione) del rapporto parentale può essere legittimamente dimostrato anche attraverso la prova presuntiva, alla quale non va riconosciuta una minor dignità ed una minor efficacia dimostrativa rispetto alle forme di prova codificate dal legislatore (per tutte, Cass. S.U. 26742/2008).

Nel caso di specie, il danno conseguente all’evento (i.e. alle lesioni patite dal congiunto) nel suo aspetto non patrimoniale, può essere legittimamente provato attraverso presunzioni semplici, quanto alle sue conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale, allorché colpisca soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, restando normalmente irrilevante, per l’operare di detta presunzione, la sussistenza di una convivenza tra gli stessi congiunti e la vittima dell’illecito (Cass. n. 9196/2018; Cass. n. 23963/2017; Cass. n. 12146/2016).

Ha pertanto errato la Corte d’Appello, violando il disposto dell’art. 2727 c.c., là dove ha ritenuto che la parte danneggiata deve dare “compiuta” prova della presenza di tutte le circostanze dalle quali possa desumersi la sussistenza del vincolo affettivo esistente al momento del verificarsi dell’evento lesivo, compresa quella della convivenza, così violando il principio secondo cui “in caso di risarcimento del danno da perdita, o da lesione del rapporto parentale, ferma la possibilità per la parte interessata di fornire la prova di tale danno con ricorso alla prova presuntiva, spetterà al giudice il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell’eventuale esistenza di uno solo o di entrambi i profili di danno non patrimoniale” (Cass. Civ. sez. III n. 28989 dell’11 novembre 2019).

Prova presuntiva che, nella specie, alla luce delle allegazioni delle parti istanti, non risulta correttamente esaminata e valutata dalla Corte territoriale.

5.2. Il sesto motivo è infondato.

La doglianza è infondata poiché La Corte d’Appello ha espressamente affrontato una eccezione di inammissibilità, questa volta generica, avanzata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ed ha ritenuto il gravame “conforme ai requisiti essenziali di forma/contenuto richiesti dalla norma osservando come, dalla lettura dell’atto, fosse possibile evincere non solo le parti della sentenza impugnate ma anche in che termini venisse richiesta la modifica della sentenza del giudice di primo grado – che, aggiunge la Corte “viene contrastata in modo compiuto con l’indicazione delle parti di motivazione censurate”(pag. 9). Orbene, è evidente che, secondo un ovvio criterio di continenza logica, l’eccezione circa uno specifico motivo di ricorso è assorbita e ricompresa nella valutazione generale dell’atto di appello operata dal giudice di merito.

5.3. Il settimo motivo è fondato.

Come recentemente e ripetutamente affermato da questa Corte, all’esito della riforma dell’art. 138, ad opera del legislatore con la legge di stabilità dell’agosto 2017, la reale morfologia del danno non patrimoniale (conseguente tanto alla lesione della salute, quanto a quella di altri valori o interessi costituzionalmente tutelati: Corte Cost. 233/2003) è stata definitivamente riconosciuta nel suo duplice aspetto, morale e relazionale (Cass. 901/2018; 7153/2018; 2788/2019; 28989/2019, in motivazione; ma già prima, Corte Cost. 235/2014, punto 10.1.), da valutarsi autonomamente, sia pur al fine di una liquidazione unitaria, senza peraltro confondere, sovrapponendole, la qualificazione della fattispecie e la conseguente liquidazione del danno.

Colgono, pertanto, nel segno i ricorrenti nel lamentare l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nel considerare il solo aspetto dinamico relazionale del danno subito, e non anche la sofferenza interiore di un figlio che, d’improvviso, e inopinatamente, vede la propria madre privata di un arto (e della funzione di una corretta deambulazione) a causa del colpevole comportamento dei sanitari.

6. Pertanto la Corte accoglie il terzo motivo e il settimo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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