Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33019 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19740-2020 proposto da:

D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RADICOFANI n. 140 presso lo studio dell’avvocato ORNELLA LOVELLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO SANTILLI;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

A.M.C., M.C., AN.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4054/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. Con atto notificato in data 15-16/7/2020, D.P.G. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza n. 4054/2019 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 18/6/2019 e non notificata. Con controricorso notificato il 24/9/2020 resistono la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno. A.M.C., An.Ma. e M.C., intimati, non hanno svolto difese in questa sede.

2. Per quanto ancora rileva, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno convenivano in giudizio D.P.G. e G.G., suocera del primo, al fine di sentire dichiarare la simulazione assoluta o, in via subordinata, l’inefficacia ex art. 2901 c.c., del contratto di compravendita stipulato tra i convenuti in data ***** e avente a oggetto un immobile di proprietà del sig. D.P., debitore delle Amministrazioni secondo quanto risultante dalla sentenza emessa nel 2000 con la quale la Corte dei Conti aveva condannato il sig. D.P. al risarcimento dei danni in favore dello Stato per l’uso dei fondi riservati del SISDE. Si costituiva il sig. D.P., mentre rimaneva contumace la sig.ra G.. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea spiegata in via subordinata e, per l’effetto, dichiarava l’inefficacia dell’atto di compravendita nei confronti delle Amministrazioni attrici.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello principale il sig. D.P., nonché appello incidentale A.M.C., An.Ma. e M.C., in proprio e nella qualità di eredi di G.G.. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza in questa sede impugnata, ha rigettato l’appello principale e dichiarato inammissibile l’incidentale. In particolare, quanto all’appello principale, ha ritenuto infondati i motivi di gravame con i quali il D.P. reiterava le eccezioni svolte in rito dinanzi al Tribunale e, in specie, relative alla nullità dell’atto di citazione in riassunzione di parte attrice. Nel merito, ha ritenuto di non poter condividere la tesi dell’appellante per cui la vendita costituiva un atto necessitato dall’esigenza di pagare un debito contratto con l’avvocato S.A. in quanto circostanza dedotta tardivamente e, peraltro, priva di supporto probatorio. Inoltre, ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’actio pauliana sia in capo al debitore D.P. che all’acquirente G., posto che il credito delle Amministrazioni era anteriore all’atto dispositivo e, dunque, quandanche quest’ultimo fosse a titolo oneroso sarebbe stata sufficiente la sola prova della conoscenza in capo al terzo della diminuzione della garanzia patrimoniale del ceto creditorio e, nel caso concreto, la G., suocera dell’alienante, non poteva non aver avuto conoscenza degli eventi, fuori dall’ordinario, che avevano colpito il genero, il quale era stato addirittura ristretto in carcere in relazione all’indagine sui fondi SISDE; vieppiù, la convenuta non risultava mai avere utilizzato l’immobile oggetto di cessione, mentre il saldo dell’oneroso acquisto veniva concordato con modalità del tutto anomale.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla dedotta violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 7, e art. 125 disp. att. c.p.v., per omesso avvertimento delle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., relativamente al notificato atto di riassunzione con nullità dello stesso”.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione degli art. 163, n. 7, in relazione all’art. 125 disp. att. c.p.c., per omesso avvertimento in relazione alle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c.. Nullità dell’atto di riassunzione del giudizio rubricato al n. 82897/05, nonché art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione”.

2.1. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente. Invero, essi sono entrambi tesi a censurare la sentenza nella parte in cui ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’attuale ricorrente, allora appellante principale, reiterava l’eccezione svolta in prime cure e relativa alla nullità dell’atto di citazione in riassunzione notificato da parte della Banca per omessa indicazione degli avvisi di cui all’art. 167 c.p.c.. In particolare, prima il Tribunale e, poi, la Corte d’Appello avrebbero dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio incardinato con la prima citazione e, dunque, non avrebbero potuto procedere alla riunione di quel giudizio con il secondo, incardinato con la seconda citazione – del medesimo tenore notificata dalle Amministrazioni attrici.

2.2. I primi due motivi sono inammissibili per le ragioni che seguono.

Merita rilevare che nel ricorso, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, si deduce che in conseguenza del primo atto di citazione notificato al D.P. dalle Amministrazioni attrici, il convenuto si costituiva eccependo la tardività della costituzione dell’attore per omesso rispetto dei termini di cui all’art. 165 c.p.c., e, per tale ragione, instava per la cancellazione della causa dal ruolo. In accoglimento dell’eccezione preliminare del convenuto, il Tribunale accertava la tardività della costituzione dell’attore e disponeva la cancellazione della causa dal ruolo. Di seguito, con atto di citazione in riassunzione, la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno convenivano nuovamente il D.P. e la G.; inoltre, le medesime Amministrazioni notificavano un secondo atto di citazione, identico al primo, provvedendo a una nuova iscrizione a ruolo. Il convenuto d.P. si costituiva nel giudizio riassunto eccependo l’inammissibilità della riassunzione per violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 7, in relazione all’art. 125 c.p.c., per omesso avvertimento in relazione alle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., con conseguente nullità della citazione in riassunzione; parimenti, si costituiva nel nuovo giudizio instaurato con la seconda citazione eccependo l’improcedibilità della domanda per litispendenza insistendo per la cancellazione della causa dal ruolo. I due giudizi venivano riuniti. Con la sentenza di prime cure il giudice di primo grado rigettava l’eccezione spiegata in rito sul rilievo per cui l’avviso delle decadenze ex art. 167 c.p.c., era contenuto nell’atto di citazione integralmente riportato nell’atto di riassunzione nel quale, peraltro, pure venivano richiamati gli artt. 166 e 167 c.p.c.. Il rigetto dell’eccezione in parola costituiva oggetto di motivo di gravame. Invero, con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d’Appello ha ritenuto la censura infondata poiché, per quanto ancora rileva, ogni eccezione riguardante la nullità della citazione relativa al primo giudizio, e alla nullità dell’atto di riassunzione del medesimo dopo che la causa era stata cancellata dal ruolo per la tardiva costituzione degli attori, ove anche fondata, non avrebbe potuto comportare la nullità del giudizio di primo grado e della sentenza, giacché i convenuti risultavano comunque validamente citati in giudizio con il secondo atto di citazione, il quale aveva dato origine al secondo giudizio, successivamente riunito al precedente: atto di citazione non raggiunto da valida censura.

2.3. Tanto premesso, i primi due motivi risultano inammissibili sia sub specie art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto non si tratta di un “fatto storico”, per come inteso a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 8053/2014, ma di un’eccezione, per di più valutata dalla Corte d’Appello con la motivazione dianzi evidenziata; sia sub specie art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché il ricorrente si limita a reiterare le eccezioni svolte nelle fasi di merito senza, tuttavia, rilevare in che modo la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione delle norme in epigrafe e, peraltro, ricostruendo la vicenda processuale in maniera del tutto disancorata rispetto agli atti e ai documenti del giudizio talché, per ciò solo, il motivo sarebbe inammissibile – in via assorbente – in quanto non trascrive, né localizza alcun atto, in particolare, gli atti di citazione di parte attrice su cui i motivi si fondano, in ossequio al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (per tutte, Cass., Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).

3. Con il terzo motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, anche in relazione all’art. 2697 c.c., e all’art. 115 c.p.c.. Carenza dei presupposti dell’azione revocatoria. Vendita dell’unico bene per far fronte ad adempimento di debito scaduto. Onere probatorio su fatto pacifico e non contestato”. Il ricorrente censura la sentenza là dove ha condiviso le valutazioni del primo giudice in ordine alla sussistenza dei presupposti per la revocabilità della vendita immobiliare. Così facendo, il giudice di secondo grado avrebbe disatteso le istanze istruttorie che dimostravano la necessità della vendita dell’immobile per saldare un debito pregresso dell’alienante nei confronti del proprio avvocato. In altri termini, si sarebbero verificati i presupposti per l’applicabilità della previsione di cui all’art. 2901 c.c., comma 3.

3.1. Il motivo è inammissibile per difetto di indicazione specifica ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

3.2. Invero, in parte qua, la Corte d’Appello ha fondato il rigetto del relativo motivo di gravame sulla base di plurime rationes decidendi: in primo luogo, ha ritenuto che la ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 2901 c.p.c., comma 3, fosse stata dedotta tardivamente dal convenuto; in secondo luogo, l’appellante non aveva censurato la parte della sentenza di prime cure che aveva rilevato tale tardività; inoltre, mancava la prova dell’esigibilità dell’asserito credito vantato dall’avvocato, nonché che la vendita fosse l’unico modo per soddisfare il credito suddetto e l’effettivo versamento del prezzo della compravendita al preteso creditore.

3.3. In questa sede il ricorrente si limita a censurare tali argomentazioni senza alcuna indicazione del contenuto della eccezione svolta in sede di comparsa di costituzione, unico elemento idoneo a valutare la fondatezza della doglianza in ordine all’errata valutazione di tardività della relativa eccezione; non è riportata, quantomeno in parte qua, la sentenza di prime cure in punto di tardività; non trascrive, né indica il locus processuale della dichiarazione testimoniale a suo favore e, del tutto generico, risulta il riferimento alla “produzione della documentazione in atti” dalla quale dovrebbe emergere la prova del credito vantato nei suoi confronti dall’avvocato e dell’avvenuta dazione del prezzo ottenuto dalla vendita.

4. Con il quarto e ultimo motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c.. Erronea valutazione sull’elemento soggettivo della “partecipati fraudis” della terza acquirente G.G.. Erronea valutazione degli elementi presuntivi”. La sentenza viene censurata per aver ritenuto che l’acquirente dell’immobile fosse a conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto mette in discussione valutazioni di merito in questa sede insindacabili. In specie, la Corte del gravame ha ritenuto provato l’elemento soggettivo dell’actio pauliana sia in capo al debitore-alienante D.P. che all’acquirente G. in quanto quest’ultima, quale suocera dell’alienante, non poteva non aver avuto conoscenza degli eventi, fuori dall’ordinario, che avevano colpito il genero, pure ristretto in carcere in relazione all’indagine sui fondi SISDE e, dunque, della diminuzione della garanzia patrimoniale del ceto creditorio; vieppiù, la convenuta non risultava mai aver utilizzato l’immobile, mentre il saldo dell’oneroso acquisto veniva concordato in 35 rate con l’ultima avente scadenza nel marzo 2013 (mentre la G., molto anziana, risulta deceduta il *****) e con rilascio di 35 effetti cambiari, pertanto, ha rilevato come tale pagamento fosse del tutto anomalo avuto riguardo alla data della stipula della vendita avvenuta il *****.

4.2. Di contro, il ricorrente si limita a denunciare che tale consapevolezza in capo al terzo, nel caso concreto, mancava e, inoltre, che il giudice di merito abbia invertito l’onere probatorio. Invero, le censure sono del tutto disancorate dalla motivazione resa dalla Corte territoriale che – lungi dal distribuire gli oneri probatori in termini violativi dell’art. 2697 c.c., – ha ritenuto raggiunta la prova del presupposto soggettivo di cui all’art. 2901 c.c., in via presuntiva.

5. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese processuali e al Contributo Unificato, se dovuto, a carico di parte ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 7.500,00, oltre ulteriori oneri di legge e spese, pari a Euro 200,00, oltre 15% per spese forfetarie, prenotate a debito, in favore del controricorrente Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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