Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33020 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20102-2020 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA MONTICCHIO;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MICCOLIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 464/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 22/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. Con atto notificato il 24/7/2020, C.F. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza n. 464/2020 della Corte d’Appello di Lecce, notificata il 29/5/2020. Con controricorso e ricorso incidentale condizionato, notificato il 3/10/2020, resiste la Intesa Sanpaolo s.p.a..

2. Per quanto ancora rileva, C.F. conveniva in giudizio la banca Intesa Sanpaolo s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti a causa della illegittima segnalazione da parte della Banca del suo nominativo alla Centrale dei Rischi avvenuta nel 2000.

3. In particolare, l’attore deduceva che, in un precedente giudizio, il Tribunale di Lecce aveva accertato l’esistenza di un suo credito restitutorio verso la banca, ordinandole di provvedere alla revoca della segnalazione in CR.

4. In primo grado, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea ritenendo prescritta l’azione.

5. Avverso la sentenza, il sig. C. ha proposto gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce che, con la sentenza in questa sede impugnata, ha confermato la sentenza di prime cure.

6. In particolare, la Corte d’Appello ha rilevato che non poteva essere condiviso l’assunto dell’appellante secondo cui, prima dell’accertamento della illegittimità della segnalazione “a sofferenza” del suo nominativo, intervenuta con la sentenza n. 760/2010 (che aveva definito il precedente giudizio promosso dal C. contro l’istituto di credito), egli versasse in una chiara e univoca impossibilità giuridica di esercitare il proprio diritto al risarcimento. Al riguardo, il giudice di secondo grado ha ritenuto che l’appellante avrebbe potuto, già in quella sede, prima del passaggio in giudicato della sentenza, far valere il suo diritto al risarcimento del danno; e, inoltre, già nel 2002 l’appellante, negli scritti difensivi relativi a quel giudizio, aveva riferito di un decremento del proprio volume d’affari conseguente alla segnalazione in questione, talché egli aveva sicuramente avuto percezione del danno e, dunque, nel 2012 (introduzione del presente giudizio) il suo diritto era oramai prescritto.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto che regolano la prescrizione estintiva del risarcimento del danno, in relazione all’art. 2935 c.c. e segg., e art. 2947 c.c. e segg., anche in riferimento del momento iniziale della decorrenza del termine”. Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria – in tesi – avrebbe potuto iniziare a decorrere solo a partire dalla sentenza n. 760/2010 resa dal Tribunale di Lecce nel precedente giudizio di accertamento negativo del credito promosso dall’attuale ricorrente contro la Banca. Difatti, l’illegittimità della segnalazione alla C.R. – in tesi- avrebbe potuto essere fonte di danno solo dopo l’accertamento dell’inesistenza del credito della Banca avvenuto, per l’appunto, con la sentenza menzionata.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, nemmeno riportata nella sua formulazione.

1.2. Invero, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’attore potesse far valere il suo diritto ad essere risarcito dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’illegittima segnalazione del suo nominativo alla C.R. già nel corso del precedente procedimento; in particolare, a partire dal 2002, l’appellante aveva sicuramente avuto percezione e conoscenza del danno lamentato in quanto, proprio dai suoi scritti difensivi relativi al primo giudizio contro la Banca, riferiva di un decremento del proprio volume d’affari conseguente alla segnalazione in questione.

1.3. Le ragioni addotte dal giudice di secondo grado non solo non vengono specificamente contestate ma, in via del tutto assorbente, neppure riportate in ossequio al principio di specificità dei motivi ex art. 366 c.p., comma 1, n. 4.

2. Con il secondo motivo si denuncia “Omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio” per non avere la Corte d’Appello considerato la data di deposito della consulenza espletata nel precedente giudizio ai fini dell’exordium praescriptionis. Infatti, solo con la CTU veniva accertato l’anatocismo bancario, mentre in precedenza – in assenza di tale accertamento – non vi sarebbe stata alcuna illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi (C.R.) e, dunque, una percezione dei danni ad essa connessi.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto si scontra con la previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5. Invero, viene dedotto l’omesso esame di un fatto (id est: una data) che, ai sensi della citata disposizione, non può costituire oggetto di motivo di ricorso per cassazione in ipotesi, come quella di specie, di cd. “doppia conforme” trattandosi di giudizio instaurato il 25/9/2015 (dunque, ampiamente post 11/9/2012).

3. Con il terzo e ultimo motivo si denuncia “Omessa pronuncia, in relazione alle norme che regolano la decorrenza del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno da illecito permanente”. Il ricorrente rileva che il dies a quo del termine di prescrizione avrebbe dovuto coincidere con la cessazione della condotta illecita, trattandosi di danno derivante da fatto illecito permanente e, dunque, nel caso concreto, dalla revoca o cancellazione della segnalazione alla C.R. avvenuta dopo la sentenza del 2010.La banca resistente eccepisce la novità della censura.

3.1 La sentenza impugnata, invero, non fa alcun cenno alla quaestio iuris. Nel caso di specie, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere o, quanto meno, localizzare, i passaggi degli atti processuali dei precedenti gradi di giudizio da cui poter ricavare che i fatti storici a fondamento della controeccezione de qua erano stati allegati entro i termini di decadenza propri del procedimento ordinario, ex art. 366 c.p.c., n. 6.

3.2. Il motivo, infatti, non offre a questa Corte i riferimenti necessari per valutare la fondatezza della questione. Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione integra una controeccezione in senso lato, la cui rilevazione può avvenire anche d’ufficio, nel rispetto dei termini di operatività delle preclusioni relative al “thema decidendum” previsti nell’art. 183 c.p.c., qualora sia fondata su nuove allegazioni di fatto; invece, se è basata su fatti storici già allegati entro i termini di decadenza propri del procedimento ordinario a cognizione piena, la sua proposizione è ammissibile nell’ulteriore corso del giudizio di primo grado, in appello e, con il solo limite della non necessità di accertamenti di fatto, in cassazione, dove non costituisce questione nuova inammissibile (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 24260 del 3/11/2020; Sez. 1, Sentenza n. 9993 del 16/5/2016; Sez. 3, Ordinanza n. 4238 del 21/2/2011).

4. Dall’inammissibilità del ricorso principale deriva l’assorbimento del ricorso incidentale proposto dalla Banca controricorrente in quanto spiegato in via condizionata (in tema di carenza di legittimazione attiva o passiva delle parti e di infondatezza per mancanza di prova della domanda risarcitoria nel merito).

5. Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso, assorbito il ricorso incidentale, con ogni conseguenza in ordine alle spese, poste a carico del ricorrente e al raddoppio del Contributo Unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato; condanna i ricorrenti alle spese liquidate in Euro 8000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie e ulteriori oneri di legge, in favore della controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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