LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 18864/2019 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, viale Europa 190, presso Area Legale Territoriale Centro di Poste Italiane, rappresenta e difesa dagli avvocati Annamaria Agosto, ed Anna Maria Rosaria Ursino;
– ricorrente –
contro
S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, Via Corvisieri n. 17, presso lo studio dell’avvocato Francesco Fabbricatore, e rappresentata e difesa dall’avvocato Ottone Martelli;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 626/2019 del Tribunale di Cosenza, depositata il 21/3/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 1/7/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 626/2019, depositata in data 21/3/2019, ha dichiarato inammissibile l’appello di Poste Italiane spa avverso sentenza del Giudice di Pace di Acri che aveva rigettato l’opposizione dalla stessa proposta avverso il decreto ingiuntivo, con il quale si era ingiunto a Poste di pagare a S.A. la somma di Euro 975,50, dovuta, a titolo di differenza tra quanto indicato sul titolo (tabella apposta sul retro del titolo) e quanto corrisposto invece da Poste, in forza del buono postale fruttifero serie “*****” n. ***** di L. 100.000, emesso in data *****.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la sentenza del Giudice di Pace doveva ritenersi pronunciata secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., in causa avente valore inferiore ad Euro 1.100,00 ed in relazione a rapporto giuridico non relativo a contratti conclusi mediante moduli e formulari ex art. 1342 c.c., stante la mancata produzione nei fascicoli di parte, di primo e secondo grado, di modulo prestampato di sottoscrizione del buono, comprovante l’applicazione di una disciplina uniforme, cosicché la sentenza poteva essere impugnata solo per inosservanza dei principi superiori di diritto, nella specie non dedotti, tale non potendo ritenersi il vizio di violazione dell’art. 2697 c.c. (su eccezione di inammissibilità della domanda per avvenuta sottoscrizione, al momento del rimborso del titolo, di quietanza a saldo e di violazione dei decreti ministeriali relativi all’applicazione di un tasso di interesse diverso da quello indicato sul buono, nonché della L. n. 588 del 1974, in ordine alla possibilità di variazione dei tassi).
Avverso la suddetta pronuncia, Poste Italiane spa propone ricorso per cassazione, notificato il 7/6/2019, affidato ad un motivo, nei confronti di S.A. (che resiste con controricorso, notificato il 12/7/2019). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.M. Tesoro 16 giugno 1981, artt. 7-8-9-10, e del D.M. 13 giugno 1986, nonché dell’art. 1342 c.c., dell’art. 113c.p.c., comma 2, dell’art. 339, comma 3, c.p.c., in relazione alla statuizione secondo cui non sarebbe stata dimostrata la stipula del contratto secondo moduli, ai sensi dell’art. 1342 c.c., al fine di ritenere la sentenza impugnata del Giudice di Pace pronunciata secondo diritto ed impugnabile per violazione di norme di diritto, atteso che il buono fruttifero postale derivava da rapporto giuridico concluso a mezzo di modulo generalizzato prestampato da Poste Italiane, peraltro alle condizioni fissate dalla legge con Decreti ministeriali, operante per tutta la clientela, per disciplinare in modo uniforme i rapporti con i risparmiatori; in ogni caso, il vizio dedotto di impugnazione della decisione del Giudice di Pace, di violazione del principio relativo all’onere della prova (per essere dovuti nella specie, in virtù dell’entrata in vigore del D.M. 13 giugno 1986, implicante variazione, in senso meno favorevole per il risparmiatore, dei tassi di interesse, variazioni pubblicizzate in Gazzetta Ufficiale del 1986), rientrava tra quelli azionabili in relazione a sentenza pronunciate secondo equità.
2. La censura è fondata, nei limiti di cui in motivazione.
Il Tribunale ha anzitutto ritenuto che la decisione del Giudice di Pace – non espressamente qualificata come decisione assunta secondo equità – fosse stata resa secondo equità e non secondo diritto, atteso il valore della controversia ed in difetto di prova di una sottoscrizione dell’accordo contrattuale secondo modulo prestampato predisposto da Poste, e poi ha rilevato che il vizio dedotto dall’appellale Poste, di violazione dell’art. 2697 c.c., non rientrasse tra i limitati motivi di appello consentiti dall’art. 339 c.p.c..
Le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità, a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, possono, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., u.c., a seguito della modifica della disposizione per effetto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essere oggetto di appello solo per norme sul procedimento, violazione di norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia; l’appello a motivi limitati è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso (Cass. n. 19050/2017; Cass. n. 10063/2020).
Ora, questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 564/2009), componendo un contrasto giurisprudenziale, ha affermato che “le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, sono ricorribili in cassazione per violazione delle norme processuali, delle norme della Costituzione e di quelle comunitarie, nonché per violazione dei principi informatori della materia e per nullità attinente alla motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà; ne consegue che la violazione dell’art. 2697 c.c., sull’onere della prova, che pone una regola di diritto sostanziale, dà luogo ad un “error in iudicando” non deducibile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità” (conf. Cass. n. 22279/2009).
Quindi, la seconda parte della decisione impugnata risulta corretta, con infondatezza della relativa doglianza mossa dalla ricorrente Poste.
In relazione, invece, alla prima parte della motivazione della sentenza impugnata, deve osservarsi che l’art. 113 c.p.c., comma 2, stabilisce che il giudice di pace decide secondo equità nelle controversie di valore inferiore a 1.100,00 Euro, salvo quelle derivati da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c..
Ora questa Corte (cass. n. 10394/2007) ha stabilito che “a seguito della sostituzione dell’art. 113 c.p.c., comma 2, da parte del D.L. n. 18 del 2003, art. 1, convertito, con modificazioni, nella L. n. 63 del 2003, e, quindi, della conseguente introduzione (per i giudizi iniziati dal 10 febbraio 2003; detto D.L., art. 1-bis) della regola di decisione da parte del giudice di pace secondo diritto, per le controversie non eccedenti Euro millecento, derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c., cioè mediante moduli o formulari, deve ritenersi – una volta considerato che l’esigenza della decisione secondo diritto obbedisce nelle intenzioni del legislatore alla necessità che le dette controversie vengano decise in modo uniforme, in ragione della uniformità di disciplina dei rapporti che ne sono oggetto – che un’analoga regola trovi applicazione alle controversie comprese entro quel valore, le quali originino da rapporti contrattuali che siano sottoposti ad uniformità di disciplina, perché intervenuti tra un utente ed un monopolista legale di un pubblico servizio, atteso che l’esigenza di uniformità di decisione, garantita dalla regola – di natura processuale – della decisione secondo diritto non può che ricorrere a maggior ragione allorquando l’uniformità di disciplina del rapporto discenda dalla legge, che, nell’assicurare il monopolio del servizio, impone al monopolista di garantire all’utente parità di trattamento” (conf. Cass. n. 10559/2009).
Sempre questa Corte (Cass. n. 25060/2017) ha precisato che “la regola di esclusione dal giudizio secondo equità, prevista dall’art. 113, c.p.c., comma 2, per le controversie di valore non eccedente millecento Euro derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c., si estende anche a quelle che traggono origine da rapporti contrattuali intervenuti tra un utente e una società in posizione dominante che esercita un pubblico servizio, per la necessità di garantire l’uniformità della decisione per tutti i fruitori del servizio”.
Ora, i buoni postali, rientranti nei servizi bancoposta offerti da Poste, non sono titoli di credito e non posseggono perciò il carattere della letterarietà propria dei titoli medesimi, ma vengono qualificati alla stregua dei titoli di legittimazione, ai sensi dell’art. 2002 c.c., che servono, pertanto, ad indicare l’avente diritto della prestazione (Cass. n. 27809/2005).
Inoltre, questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 13979/2007, in motivazione) ha chiarito che si tratta di servizi postali, un tempo offerti da un’azienda dello Stato (la quale, con la L. n. 71 del 1994, fu poi trasformata nell’Ente Poste, avente natura di ente pubblico economico, e quindi in società per azioni), rientranti nell’ambito di rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato, seppure destinati a subire anche gli effetti di una normativa speciale, che risente della natura soggettiva pubblica dell’amministrazione postale, ormai priva di connotazione autoritativa, cosicché le successive determinazioni ministeriali in tema di interessi e di relative variazioni comportano un’integrazione extratestuale del rapporto ai sensi dell’art. 1339 c.c.; in sostanza, “il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli” è “destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti”.
Di recente le stesse Sezioni Unite (Cass. n. 3963/2019) hanno precisato che “nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e investitore si articola sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti. Resta ferma la possibilità che i buoni vengano integrati e/o modificati ai sensi dell’art. 1339 c.c., sotto il profilo della determinazione dei rendimenti, da provvedimenti della Pubblica Autorità, purché successivi alla sottoscrizione dei titoli”.
La possibilità di applicazione del disposto dell’art. 1342 c.c., è stata riconosciuta nella materia da questo giudice di legittimità (Cass. n. 4761/2018, in motivazione, non massimata).
In definitiva, deve ritenersi che, a prescindere dalla prova scritta offerta o meno dall’appellante Poste, la giurisprudenza sopra richiamata, come correttamente evidenziato dalla parte ricorrente, debba trovare applicazione anche nel caso in esame, poiché la sottoscrizione di buono postale fruttifero, nonostante l’intervenuta privatizzazione della s.p.a. Poste Italiane, viene a creare un rapporto che si caratterizza per la posizione dominante della società e per l’evidente necessità che le relative controversie siano trattate con regole uguali per tutti i fruitori del servizio, secondo modulistica prestampata predisposta da Poste, che richiama il regolamento negoziale e le condizioni generali di contratto definite per regolamentare la serie indefinita di rapporti con tutti i risparmiatori-utenti del servizio interessati.
Le relative controversie, ove rientranti nella competenza del giudice di pace, restano pertanto sottratte al potere di quest’ultimo di decidere secondo equità, anche se aventi valore non eccedente millecento Euro, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, nel testo sostituito dal D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 7 aprile 2003, n. 63, e sono appellabili al di fuori dei limiti segnati dalla disposizione di cui all’art. 339 c.p.c., u.c., per l’impugnazione delle pronunce secondo equità.
3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso nei sensi di cui in motivazione, va cassata la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Cosenza in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Cosenza, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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