Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33084 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16870-2020 proposto da:

D.S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO VENTURINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE di MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUGGERO SALOMONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 594/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. D.S.N. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Comune di Milano al fine si sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un sinistro stradale verificatosi in data 26 giugno 2012 allorquando mentre era alla guida del proprio ciclomotore cadde rovinosamente a terra a causa di una buca presente sul manto stradale.

Si costituì in giudizio il Comune di Milano chiedendo in via preliminare la chiamata in causa della Metropolitana Milanese S.p.A. in quanto azienda affidataria dei lavori lungo il tratto di strada interessato, nel merito il rigetto della domanda.

Istruita la causa il Tribunale di Milano, rilevata la carenza di prova del nesso causale tra il danno e l’evento, rigettò la domanda del D.S. condannandolo al pagamento delle spese di lite in favore della convenuta.

2. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 594/2020 del 20 febbraio 2020 a conferma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’appello proposto dal D.S. ritenendo che l’evento fosse interamente addebitabile alla condotta imprudente dell’attore, stante l’inoffensività in sé della cosa, peraltro visibile in quanto illuminata da un lampione, e condannandolo al pagamento delle spese.

3. Avverso tale decisione D.S.N. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Resiste il Comune di Milano con controricorso.

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,2043,2051 e 2697 c.c. degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello avrebbe violato le norme in materia di accertamento del nesso di causalità tra danno ed evento in quanto non avrebbe considerato che la relativa prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni. In particolare il ricorrente aveva osservato che: l’anomalia del terreno era priva di segnalazione e non era presente fino al giorno precedente il sinistro; il solco nel terreno era profondo più di 10 cm; il sinistro era avvenuto quando il sole stava tramontando; controparte non aveva allegato alcuna condotta colposa del D.S.. Lamenta, dunque, che il giudice non abbia adeguatamente valorizzato tali elementi attribuendo rilevanza all’asserito carattere non pericoloso dell’anomalia.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. nonché 2043, 2051 c.c. e 2721 e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La Corte d’Appello avrebbe violato i principi in materia di presunzioni in quanto una volta dimostrata la caduta, la presenza di una buca sull’asfalto, e l’impatto del ciclomotore sulla buca, avrebbe dovuto ritenere raggiunta presuntivamente il nesso causale tra il danno e l’evento.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2051 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte d’Appello avrebbe ritenuto determinante, ai fini del proprio convincimento, la circostanza che non vi fossero raffigurazioni della strada al momento del sinistro in tal modo gravando il ricorrente di una probatio diabolica, stante l’impossibilità di documentare detto luogo per essere stato, il ricorrente immediatamente traportato in ambulanza ed il manto stradale “rappezzato” il giorno seguente.

I primi tre motivi, congiuntamente esaminati per la loro intrinseca connessione, sono inammissibili poiché le doglianze si risolvono in una richiesta di valutazione dei fatti di causa, rientrante nel sovrano apprezzamento del giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.

La Corte d’Appello ha basato il proprio convincimento circa l’imputabilità del fatto alla condotta imprudente del ricorrente sulla base di una valutazione accurata e dettagliata del materiale probatorio. In particolare ha osservato che dalle rappresentazioni fotografiche dello stato dei luoghi non emergeva alcun taglio di grande profondità, ma solo un rappezzamento dell’asfalto per un breve tratto da un marciapiede all’altro. Inoltre le dichiarazioni del teste Gargiuolo non erano idonee chiarire la dinamica del fatto stante la sproporzione tra il taglio e le dimensioni della ruota del ciclomotore, che avrebbe dovuto imbucarsi in una fessura perpendicolare al senso di marcia fino a far cadere il ricorrente.

La Corte di cassazione, invero, non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo piuttosto controllare che la motivazione della sentenza oggetto di impugnazione sia lineare e scevra di vizi logico giuridici.

4.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato le norme in materia di spese del giudizio perché pur in presenza di gravi ed eccezionali motivi, consistenti nella condizione di indigenza del D.S., non avrebbe disposto la compensazione integrale delle spese.

Il motivo è infondato.

L’art. 91 c.p.c. disciplina il principio della soccombenza secondo il quale il carico finale delle spese grava sulla parte soccombente, che è tenuta a sopportare in via definitiva le spese anticipate e a rimborsare quelle che la controparte ha sostenuto nel corso del giudizio.

Detta regola generale può essere derogata in presenza delle ipotesi espressamente contemplate all’art. 92 c.p.c. nonché di “gravi ed eccezionali ragioni”.

Quanto a quest’ultime – da indicarsi esplicitamente nella motivazione della sentenza ed in presenza delle quali il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio – devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e comunque devono essere appunto indicate specificamente e non possono essere espresse con una formula generica, in quanto inidonea a consentire il necessario controllo.

Come più volte affermato da questa Corte, spetta esclusivamente al giudicante valutare la sussistenza dei presupposti per derogare al principio della soccombenza (Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 19-01-2021) 26-022021, n. 5457). Orbene, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei predetti principi non potendo considerarsi, del resto, quale “grave ed eccezionale ragion’ la mera condizione di indigenza del soccombente.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

5.1. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.300 oltre 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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