LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. BOGHETCH Elena – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11778-2020 proposto da:
P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 209, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA PANSARELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;
– ricorrente –
contro
SERCO ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE, 112, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAVAROTTI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3076/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. BOGHETICH ELENA.
RILEVATO
che:
1. con sentenza del 17.9.2019 la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto da P.F. volto a far dichiarare sia l’illegittimità del termine apposto al contratto di somministrazione e al contratto a tempo determinato, contratti svolti presso la Serco s.p.a. (rispettivamente in qualità di utilizzatrice da giugno a ottobre 2010 e, poi, di datore di lavoro da ottobre 2010 ad aprile 2012) sia la ricorrenza di una situazione di demansionamento e di mobbing;
2. la Corte territoriale, per quel che interessa, ha ritenuto non generiche le causali giustificative di tali contratti, relative – con riguardo al contratto di somministrazione – alla “gestione, mantenimento e completamento della commessa presso la State Street Bank” e – con riguardo al contrato a tempo determinato – “all’affidamento del contratto di servizio da parte di State Street Bank alla scrivente società con durata predeterminata sino al 30.4.2012 e prevede l’impegno di figure professionali che, allo stato attuale, la scrivente società con il normale organico aziendale non potrebbe fornire se non facendo ricorso ad una nuova assunzione a termine”, consentendo, tali ragioni giustificative, di verificare la loro effettività (che, nella specie, risultava essere stata rispettata);
in ordine al dedotto danno da demansionamento e da mobbing, la Corte territoriale ha rilevato – conformemente al Tribunale che nel ricorso introduttivo del giudizio non vi erano allegazioni circa la compromissione del bagaglio professionale e, anzi, si deduceva di aver sempre riportato le attività svolte ai superiori gerarchici O., manager tedesco, e, da agosto 2010, all’ing. C., con evidente esclusione di completa autonomia nel disimpegno delle mansioni; inoltre, nessuna comparazione poteva essere effettuata tra due diversi e distinti contratti di lavoro (uno, di somministrazione, il successivo, a tempo determinato, avente efficacia novativa rispetto al primo);
3. il soccombente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di cinque motivi, ai quali ha resistito la società con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato; entrambe le parti hanno depositato memorie;
4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.
CONSIDERATO
che:
1. i primi due motivi di ricorso (sviluppati contestualmente dallo stesso ricorrente) denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, degli artt. 112 e 116 c.p.c., dell’art. 2997 c.c., dell’art. 24 Cost., del del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21 e 27, eccependo che la ragione giustificativa dei due contratti non può ritenersi specifica se ha consentito vicende lavorative del tutto distinte, “tanto da racchiudere sia un ruolo manageriale, con attività svolta in piena autonomia, sviluppando della professionalità, riunione fra manager e utilizzo della lingua inglese, e sia la realizzazione di meri compiti esecutivi di carattere ausiliare e di bassissimo profilo come il facchinaggio”, posto che la prima commessa è stata svolta da una sola persona (il P.) e la seconda da un team; i giudici di appello non hanno attribuito al datore di lavoro l’onere, a suo carico, di provare la specificità delle ragioni addotte ai due contratti, a fronte – in ogni caso – della reiterata richiesta del lavoratore di ammissione delle prove istruttorie articolate;
2. con il terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 2103,2087 e 1344 c.c. emergendo chiaramente dalle modalità di svolgimento dei due contratti (durante il contratto di somministrazione, unico adibito alla commessa era il P., invece, nell’ambito del contratto a tempo determinato era stato costituito un team) il demansionamento e la situazione di mobbing, anche con riguardo al contratto in frode alla legge e alla simulazione, volte a tutelare situazioni di fatto lesive;
3. con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 2087 c.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare se, invece di una situazione di mobbing, si sia trattato di straining considerato l’accoglimento, da parte del Tribunale, della domanda relativa alla sanzione disciplinare conservativa (sanzione rideterminata in due giorni di sospensione dalla retribuzione);
4. con il quinto motivo si denunzia violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., essendo, ogni altra deduzione della Corte territoriale, sui fatti di causa, “viziata in via derivata dall’errata impostazione di valutazione, non conforme alle norme”;
5. con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 1 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22, comma 2 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ribadendo l’intervenuta decadenza dall’azione per decorrenza del termine di 60 giorni per l’impugnazione del contratto di somministrazione a termine.
6. il ricorso principale è inammissibile perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652);
6.1. nel caso di specie difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale ha esaminato singolarmente le causali apposte al contratto di somministrazione (stipulato tra l’agenzia del lavoro Start. People s.p.a. e Serco s.p.a.) e al contratto a tempo determinato (sottoscritto tra P. e Serco s.p.a.) ritenendole sufficientemente specifiche, ossia in grado di consentire la verifica della corrispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti (assegnazione ritenuta effettivamente aderente alla causale), e ha, inoltre, affermato l’irrilevanza – ai fini dell’invocato principio di immodificabilità delle mansioni – dei compiti svolti nell’uno e nell’altro contratto, considerata la novazione sopravvenuta con il secondo contratto;
6.2. le censure – che, con riguardo agli istituti della simulazione e della frode alla legge appaiono nuove e, perciò, inammissibili, non essendo state, dette questioni, specificamente trattate nella decisione impugnata né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della loro devoluzione al giudice del gravame – non colgono la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla mancata considerazione dello svolgimento di mansioni differenti nel primo contratto, di somministrazione, e nel secondo contratto, a tempo determinato, ma nulla deduce sulla efficacia novativa del contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra le parti nonché sulla rilevata carenza e genericità delle allegazioni in ordine al pregiudizio subito al bagaglio professionale (allegazioni sprovviste di “precisazioni di tempo e di luogo”, pag. 7 della sentenza impugnata) nonché contraddittorietà degli elementi di fatto contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio;
7. in ordine alla mancata ammissione delle istanze istruttorie, è privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (Cass. n. 6440 del 2007);
8. la violazione dell’art. 2697 c.c., peraltro censura del tutto generica, è proponibile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante – con riguardo al rispetto dell’indicazione delle causali – rispettivamente sull’utilizzatore o sul datore di lavoro che intendevano avvalersi, rispettivamente, dei contratti di somministrazione e a tempo determinato;
9. il ricorso appare, infine, inammissibile in quanto si sostanza, laddove denuncia la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame;
9.1. come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta. Al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest’ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;
9.2. nel caso di specie, le censure investono la valutazione degli elementi di fatto come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti (contratti di somministrazione e di lavoro a tempo determinato), in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alla corrispondenza tra causali e mansioni concretamente svolte) non consentita in questa sede di legittimità, non solo in virtù del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma a maggior ragione in considerazione del principio della pronuncia c.d. doppia conforme di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5;
10. il quinto motivo, infine, presenta palesi profili di inammissibilità, non corrispondendo agli archetipi normativi dettati dall’art. 360 c.p.c. e considerato che il giudizio di legittimità è un rimedio a critica vincolata (cfr. tra le tante, Cass. n. 4905 del 2020);
11. il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo; in considerazione dell’esito del ricorso principale, il ricorso incidentale condizionato è assorbito;
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021