Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33095 del 10/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30289-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GAETANO MANCUSO, VALENTINA FRANCESCHI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA *****, in persona de Ministro e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA – UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLA CALABRIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 473/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata l’08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE ALFONSINA.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro, ha accolto la domanda del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), diretta a sentir dichiarare non dovuto il rimborso delle spese legali affrontate dal dirigente scolastico S.G. nel giudizio penale per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di falso, truffa ed abuso d’ufficio, conclusosi con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione dei reati;

la Corte territoriale ha rilevato che, consistendo la condotta imputata nell’avere in concreto favorito l’assunzione di un lavoratore a discapito di altri, la valutazione circa il conflitto di interessi andava operata ex ante, né l’intervenuta assoluzione poteva avere qualche effetto ai fini del rimborso delle spese processuali sostenute dal dipendente;

la cassazione della sentenza è domandata da S.G. sulla base di quattro motivi;

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha depositato tempestivo controricorso, mentre l’Ufficio scolastico Regionale per la Calabria è rimasto intimato;

e’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il ricorrente deduce “Violazione di legge per vizio di ultrapetizione – Violazione dell’art. 2909 e 2697 c.c. – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”; contesta che la sentenza d’appello avrebbe sovrapposto due fattispecie diverse, oggetto di due sentenze penali, la prima di assoluzione con formula piena dall’imputazione di associazione a delinquere, la seconda di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato; su quest’ultima sentenza, la quale non era intervenuta nel merito della condotta presuntamente illecita, la sentenza d’appello si è basata al fine di escludere il diritto al rimborso delle spese di lite, operando una nuova lettura degli atti processuali, ed affermando apoditticamente che il conflitto di interesse tra ricorrente e amministrazione scolastica è in re ipsa;

sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare le conclusioni della sentenza di proscioglimento con formula piena dal reato associativo, e inoltre, in relazione all’altra sentenza penale, che ha dichiarato il non luogo a procedere per prescrizione dal reato di abuso di ufficio, non ha tenuto conto delle risultanze probatorie emerse nel processo, che avevano dimostrato insussistente il conflitto di interesse (in particolare il ritiro della denuncia da parte del dipendente che sarebbe stato penalizzato dall’assunzione di altro dipendente favorito dall’odierno ricorrente);

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 654 c.p.c.”;

lamenta che la Corte d’appello avrebbe dovuto tener conto del proscioglimento dal reato di abuso di ufficio, stante l’efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione nel giudizio civile sancito dalle norme indicate in epigrafe;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, art. 18, conv. in L. 23 maggio 1997, n. 135”; contesta la ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice dell’appello, segnatamente circa la sussistenza del conflitto d’interesse derivante dal fatto che le condotte imputate traevano origine da interessi di natura personale e non già da esigenze dell’ufficio ricoperto;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”; la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su tutte le domande formulate dal ricorrente nell’appello incidentale;

i primi tre motivi, che si esaminano congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati;

questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In materia di pubblico impiego privatizzato, l’amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente assolto in esito ad un processo penale solo quando i fatti oggetto dell’imputazione siano connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali, non quando il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti a lui imputati”(Cass. n. 28597 del 2018);

da ciò deriva in via generale che la connessione tra il comportamento imputato al dipendente pubblico e il servizio prestato non ricorre quando la condotta posta in essere, lungi dall’essere espressione di un dovere istituzionale, abbia costituito l’occasione per realizzare la violazione dei doveri d’ufficio;

il medesimo principio è declinato altresì in una successiva pronuncia (Cass. n. 34457 del 2019) con cui questa Corte ha stabilito, che l’assenza di conflitto di interessi, che costituisce il presupposto per l’assunzione dell’onere di pagamento da parte datoriale, va valutata “ex ante” nel momento in cui è stata posta in essere la condotta generatrice di responsabilità, e che non può considerarsi automaticamente esclusa in caso di assoluzione del dipendente;

in tal caso spetta al giudice del merito accertare, attraverso un’autonoma ricostruzione fattuale della vicenda, che il dipendente abbia agito unicamente per finalità di espletamento del servizio, in esecuzione dei compiti di ufficio e, quindi, non in conflitto con il suo datore di lavoro;

nell’ambito della ricostruzione finalizzata alla verifica della sussistenza o meno di una situazione di conflitto assumono rilievo gli elementi acquisiti (pur successivi), anche tratti dal provvedimento che ha definito il giudizio nel quale era coinvolto il lavoratore;

nel caso in esame, il provvedimento impugnato ha operato un’autonoma ricostruzione del fatto, e, applicando correttamente i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ha rilevato l’esistenza della situazione conflittuale dell’operato dello S. rispetto ai fini istituzionali dell’amministrazione scolastica da egli stesso rappresentati;

i presunti errori di interpretazione circa il contenuto del giudicato penale sono inammissibilmente prospettati in questa sede, non avendo il ricorrente neppure allegato la sentenza penale su cui fonda le sue doglianze, in spregio degli obblighi di specificazione e di allegazione sanciti dall’art. 366 c.p.c., n. 4 e dall’art. 369 c.p.c., n. 6;

il quarto e ultimo motivo è inammissibile perché generico;

esso palesa una violazione degli obblighi da ultimo richiamati, perché parte ricorrente non produce né trascrive la memoria di costituzione nel giudizio d’appello da cui ricavare gli esatti confini del thema decidendum delineati col ricorso incidentale;

in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il principio di specificazione e di allegazione impone alla parte che domandi la cassazione della sentenza di merito, di fornire tutti gli elementi necessari a costituirne le ragioni ed, altresì, a permettere la valutazione della loro fondatezza, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita; non si provvede sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del MIUR, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472