LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10406-2020 proposto da:
A.L.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO DELLA LUNA;
– ricorrente –
contro
FINEA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, PUNTO ENERGIA ESCO ENERGY SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato CLAUDIO BRANCATI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 254/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 30/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’08/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
che:
1. Previo ricorso al Tribunale di Potenza A.L.E. ne otteneva il decreto n. ***** con il quale veniva ingiunto alla società Esco Energy srl il pagamento della somma di Euro 145.280,20 a titolo di indennità risarcitoria per il licenziamento, adottato nei suoi confronti e dichiarato inefficace con pronuncia dello stesso Tribunale n. 54/2015.
2. Proposta opposizione avverso il provvedimento monitorio l’adito giudice, con sentenza n. 313/17, lo confermava precisando che gli opponenti non avevano contestato né l’an né il quantum debeatur e che tra l’opposizione al decreto ingiuntivo e quella al precetto intimato, in virtù dello stesso credito, non ci fosse un rapporto di litispendenza.
3. La Corte di appello di Potenza, sul gravame proposto da Finea srl e Punto Energia Esco Energy srl, in riforma della impugnata pronuncia revocava il decreto ingiuntivo n. *****.
4. I giudici di seconde cure rilevavano che A.L.E., in esecuzione della sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato, con condanna di parte datoriale al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegra, aveva già intimato il pagamento delle retribuzioni dall'***** al *****, per complessivi Euro 126.447,04, oltre accessori e il risarcimento del danno biologico, come liquidato in sentenza, per un totale di Euro 162.920,48; che il giudice dell’esecuzione aveva espressamente menzionato la sentenza n. 54/2015 come titolo esecutivo valido ai fini della espropriazione presso terzi subita dalle società appellanti;; che, pertanto, il credito derivante dall’illegittimo licenziamento era stato esattamente quantificato e aveva trovato integrale soddisfazione nella procedura esecutiva; che con la richiesta monitoria la lavoratrice aveva realizzato una illegittima duplicazione del credito risultante dalla sentenza n. 54/2015 che, pur prevedendo una condanna generica, poteva essere proficuamente utilizzata per intraprendere una esecuzione forzata.
5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione A.L.E. affidato a due motivi, cui hanno resistito con controricorso la Finea srl e la Energia Esco Energy srl.
6. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
7. La ricorrente ha depositato memoria chiedendo, altresì, la trattazione orale della causa.
CONSIDERATO
che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’errata e falsa applicazione degli artt. 278 e 474 c.p.c., in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la Corte di merito, contraddittoriamente, da un lato ritenuto che la sentenza n. 54/2015 presentasse una condanna generica e, dall’altro, reputato che la stessa contenesse gli elementi necessari per essere messa in esecuzione, quando, invece, non erano necessarie semplici operazioni aritmetiche per costituire valido titolo esecutivo senza alcuna integrazione.
3. Con il secondo motivo si censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, l’errata e/o non corretta applicazione dell’art. 474 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte territoriale, in modo contraddittorio, ritenuto che vi fosse stata duplicazione del titolo esecutivo non avendo considerato che l’intimazione di pagamento (precetto) non costituiva il titolo esecutivo (che era invece la sentenza n. 54/15) ma rappresentava solo il presupposto per l’avvio della procedura esecutiva e che i titoli esecutivi che avevano consentito l’assegnazione delle somme in sede esecutiva erano diversi.
4. I due motivi, che devono essere scrutinati congiuntamente per connessione, sono infondati.
5. Deve ribadirsi il principio di legittimità secondo il quale il titolo giudiziale esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c. comma 2 n. 1 c.p.c., non si identifica, né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo di eseguire, essendo consentita l’interpretazione extra-testuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato, sicché, ove in tal modo sia possibile pervenire alla quantificazione del dovuto, è inammissibile la procedura monitoria se l’esclusione della esecuzione diretta sia avvenuta sulla base del solo esame del dispositivo della sentenza che ne costituiva il titolo (Cass. n. 26567 del 2016).
6. Orbene, nella fattispecie in esame, i dati incontrovertibili sono i seguenti: a) sulla base del testo integrale della sentenza n. 54/2015 il giudice dell’esecuzione ha assegnato le somme intimate nella procedura espropriativa presso terzi; b) l’odierna ricorrente non ha specificato che altri crediti, in relazione a quel titolo, non fossero stati soddisfatti per cui era necessario ottenere un provvedimento monitorio; c) la sentenza n. 54/2015, pur essendo stata ritenuta dalla Corte territoriale contenente una condanna generica, comunque è stata reputata idonea (come lo è poi effettivamente stata in concreto) per intraprendere una esecuzione forzata: essa aveva, infatti, ad oggetto non solo l’accertamento della illegittimità della condotta, ma anche la verifica del danno nella sua determinazione quantitativa.
7. A prescindere, pertanto, dalla terminologia adoperata in modo non tecnico, correttamente la Corte territoriale ha rilevato che, nella sostanza, si fosse in presenza di una illegittima duplicazione del credito che comportava la revoca del decreto ingiuntivo che avrebbe costituito, invece, un altro titolo esecutivo per somme in relazione alle quali vi era stata già integrale soddisfazione nella procedura esecutiva.
8. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
9. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di lette. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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