LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17689-2015 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO COCCIOLI;
– ricorrente –
contro
D.N.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO CIPRIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO PANNARALE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1810/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 07/07/2014 R.G.N. 6985/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.
PREMESSO che D.N.P., dipendente della Regione Puglia con inquadramento nella cat. C) del c.c.n.l. Compatto Regioni e Autonomie Locali, ha agito in giudizio avanti al Tribunale di Bari per ottenere l’attribuzione della superiore cat. D) e il pagamento delle conseguenti differenze retributive, in relazione allo svolgimento, nell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, di mansioni di giornalista-pubblicista;
– che il giudice di primo grado ha respinto tutte le domande della ricorrente;
– che con sentenza n. 1810/2014, depositata il 7 luglio 2014, la Corte di appello di Bari ha invece accolto, in riforma di tale decisione, la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive, alla quale la ricorrente aveva limitato le proprie originarie richieste, disponendone la liquidazione in separato giudizio;
– che la Cotte territoriale ha ritenuto provata la domanda, attraverso prove testimoniali e documenti, rilevando come l’appellante avesse svolto in via continuativa ed esclusiva le mansioni che le erano state assegnate, di “comunicatore” e di “giornalista-pubblicista”, e come quest’ultima attività rientrasse nella categoria D);
– che avverso detta sentenza la Regione Puglia ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, cui ha resistito la D.N. con controricorso, assistito da memoria.
RILEVATO
che con il primo motivo di ricorso viene denunciato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (art. 360 c.p.c., n. 1), sul rilievo che l’esistenza della giurisdizione deve essere verificata al momento della proposizione della domanda, ex art. 5 c.p.c., e che, in tale momento, la lavoratrice aveva rivendicato il passaggio ad una categoria superiore e non il passaggio a diversa posizione economica;
– che con il secondo, deducendo la violazione dell’art. 100 c.p.c. e della L. n. 2248 del 1865, all. E, art. 5 la ricorrente si duole che la Corte di appello non avesse dichiarato l’inammissibilità dell’azione, posto che ogni pretesa di inquadramento in una qualifica superiore, essendo radicata su posizioni di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, deve essere fatta valere soltanto mediante tempestiva impugnazione del provvedimento che si assume illegittimo;
– che con il terzo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 52 e 63, della L. 7 giugno 2000, n. 150, artt. 1,4,6 e 9 e del D.P.R. 21 settembre 2001, n. 422, art. 2 nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. in relazione alle declaratorie sulle mansioni (All. A) del c.c.n.l. Comparto Regioni e Autonomie Locali del 31 marzo 1999: in particolare, la ricorrente lamenta che la Corte di appello non avesse colto la netta differenza di funzioni tra Ufficio Stampa e Ufficio Relazioni con il Pubblico e avesse trascurato sia di esaminare la L. n. 150 del 2000 (recante la “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”), con il relativo Regolamento di attuazione, sia di fare applicazione del procedimento costantemente richiesto dalla giurisprudenza di legittimità quando si tratti di determinare l’esatto inquadramento di un lavoratore;
– che con il quarto motivo, deducendo violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la ricorrente si duole di una motivazione gravemente carente riguardo alle mansioni effettivamente svolte nell’U.R.P. e di una erronea lettura e valutazione delle prove testimoniali sul punto;
osservato:
preliminarmente che va disattesa l’eccezione di difetto di jus postulandi del difensore della Regione Puglia, formulata dalla controricorrente, in memoria, per non essere stata richiamata nel ricorso, né mai prodotta, né comunque notificata alla controparte, la delibera della Giunta Regionale di autorizzazione della lite, come prevista dall’art. 44, comma 4, lett. c) dello Statuto regionale;
– che invero lo Statuto prevede, alla norma richiamata, che unicamente la deliberazione “sulla proposizione dei ricorsi alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia delle Comunità Europee” sia di competenza della Giunta regionale; d’altra parte, non è dedotto con la memoria che una delibera di giunta “in materia di liti attive e passive” mancasse fin dal principio, né risulta che l’eccezione sia mai stata sollevata in alcuna delle fasi di merito;
– che il primo e il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;
– che al riguardo deve ribadirsi il consolidato principio, per il quale, allorquando il giudice di primo grado abbia – come nella specie – pronunciato nel merito, affermando così, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (Sez. U n. 2067/2011; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 2605/2018);
– che sono invece fondati, e devono essere accolti, il terzo e il quarto motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente per connessione;
– che infatti la Corte territoriale non ha esaminato il quadro normativo di riferimento nella fattispecie concreta (in particolare, le disposizioni della L. n. 150 del 2000, peraltro anche oggetto di esplicito richiamo nell’atto introduttivo del giudizio, e principalmente quelle tra esse che definiscono gli ambiti rispettivi della comunicazione e della informazione negli enti pubblici);
– che inoltre la Corte non ha esaminato, nei rispettivi contenuti, e confrontato fra di loro le declaratorie delle categorie professionali in discussione, al fine di individuarne i tratti distintivi e qualificanti e stabilire di conseguenza, alla luce del materiale istruttorio, la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione del superiore inquadramento richiesto: ciò che si pone in chiaro contrasto con il consolidato, oltre che risalente, orientamento, per il quale, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda: Cass. n. 12325/2003 e successive numerose conformi;
ritenuto:
pertanto che, accolto il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, l’impugnata sentenza n. 1810/2014 della Corte di appello di Bari deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà al richiamato principio di diritto, esaminando il quadro normativo e compiendo gli accertamenti in fatto necessari.
PQM
La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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