Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33295 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 15496 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

New Service Center s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ex socia della DVP s.r.l. a socio unico, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv.to Nicoletta Cervia, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, alla Via Attilio Regolo, n. 19, avv. Lipera Giuseppe;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 2442/01/2014, depositata in data 16 dicembre 2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 2442/01/2014, depositata in data 16 dicembre 2014, la Commissione tributaria regionale della Toscana aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di New Service Center s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ex socia della cancellata DVP s.r.l. a socio unico avverso la sentenza n. 99/2/13 della Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara che aveva accolto il ricorso proposto dalla società DVP s.r.l., esercente attività nel comparto della saldatura e dei controlli non distruttivi su macchinari, avverso gli avvisi di accertamento n. ***** con i quali l’Ufficio aveva ripreso a tassazione nei confronti di quest’ultima costi indebitamente dedotti, ai fini Ires, Irap, e detratti ai fini Iva, per le annualità 2005-2007, in relazione a fatture passive “sospette” emesse dalla società EGS, con sede in Romania, afferenti a prestazioni ritenute oggettivamente inesistenti;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) l’Ufficio di Massa Carrara aveva emesso nei confronti della società DVP s.r.l., a socio unico, gli avvisi di accertamento n. *****, con i quali aveva contestato, per le annualità 2005-2007, l’indebita deduzione di costi, ai fini delle imposte dirette e detrazione ai fini Iva, in relazione a fatture emesse dalla EGS, con sede in Romania, aventi ad oggetto presunte operazioni di controllo non distruttivo di giranti, ritenute oggettivamente inesistenti, stante le anomalie riscontrate nelle fatture medesime (diciture in italiano, con cifre espresse in Euro, genericità delle prestazioni ivi descritte, alcun riferimento normativo per la mancata applicazione dell’Iva), l’emerso inizio dell’attività della società rumena successivamente alla data di fatturazione, il confronto del costo asseritamente sostenuto dalla contribuente nel 2005 (per un importo di Euro 140.760 per presunti servizi resi negli ultimi due mesi dell’anno) con quello “spesato” nel 2006 (pari, per tutto l’anno, a Euro 150.840,00); 2) avverso tali avvisi, la DVP s.r.l. aveva proposto separati ricorsi dinanzi alla CTP di Massa Carrara, che, previa riunione, con sentenza n. 99/2/13, li aveva accolti, ritenendo non sussistenti i presupposti dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.c. ai fini dell’applicabilità del termine raddoppiato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3; 3) avverso tale sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Ufficio deducendo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, e nel merito, dell’art. 2697 c.c., difettando, a fronte degli elementi indiziari della inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate forniti dall’Amministrazione, la prova da parte della società verificata della effettiva esecuzione delle dette operazioni (stante l’assenza di un contratto scritto, di documentazione attestante l’impiego dei lavoratori rumeni presso i cantieri, la modalità di pagamento solo in contanti); 4) aveva controdedotto la appellata New Service Center s.r.l., quale ex socia unica della cancellata società DVP s.r.l., in data 11.10.2013, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione e, nel merito, ribadendo l’inesistenza delle riscontrate anomalie nelle fatture (avendo il titolare della società rumena emesso le stesse in lingua italiana, in quanto domiciliato in Italia dal 2001, ed essendo sufficiente nel settore in cui operava la contribuente l’indicazione in esse delle diverse matricole) nonché l’avvenuto regolare pagamento delle prestazioni fatturate;

-la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse – premessa la ritenuta sussistenza, nella specie, dei presupposti per l’insorgere dell’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 c.p.c. e, dunque, del raddoppio dei termini per l’accertamento, nonché la legittimazione della New Service Center s.r.l., ex socia della cancellata DVP s.r.l., a socio unico, in qualità di successore dell’ente estinto ex art. 110 c.p.c. – ha osservato che: 1) a fronte degli attendibili riscontri indiziari circa l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’Ufficio “non aveva prodotto valide prove per avvalorare quanto accertato”; in particolare, benché alcuni rilievi dell’Ufficio avessero suscitato dubbi per la presenza di anomalie, “senza un riscontro probatorio” rimanevano “soltanto presunzioni”;2) dai molteplici documenti allegati dalla contribuente in primo grado, e dalla New Service in sede di appello, risultava sufficientemente dimostrata l’avvenuta esecuzione dei servizi da parte dalla ESG s.r.l.; in particolare, l’esecuzione dei servizi prestati al cliente principale (Nuovo Pignone) della società verificata era stata indicata dallo stesso Ufficio nella denuncia presentata alla Procura della Repubblica, evidenziando che, a richiesta dei verificatori, tale cliente aveva ribadito che “l’attività svolta dalla società era avvenuta totalmente nella sede legale e non presso l’impresa cliente”; con tale affermazione la Nuovo Pignone aveva confermato che la società DVP aveva effettuato realmente l’attività di controllo non distruttivo su giranti e il fatto poi che tale attività fosse stata effettuata non dalla DVP s.r.l. ma, come da accordi, tramite la ESG s.r.l., dimostrava l’oggettiva esistenza delle prestazioni indicate nelle fatture ritenute erroneamente false;

– avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, la contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21 e art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e artt. 2727 e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’Ufficio non potesse assolvere l’onere probatorio a proprio carico circa l’asserita inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate tramite “presunzioni” e che fosse, al tal fine, necessario “un riscontro probatorio”, ancorché le presunzioni semplici, costituissero, per giurisprudenza di legittimità, una prova completa idonea a dimostrare i fatti costitutivi della pretesa tributaria;

-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21 e art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) per avere la CTR, senza procedere ad alcuna disamina, né atomistica, né unitaria, dei molteplici elementi presuntivi offerti dall’Ufficio (anomalie nella fatturazione, inizio dell’attività da parte della società rumena successivamente alla data di fatturazione, confronto del presunto costo sostenuto dalla società nel 2005 con quello “spesato” nel 2006, mancanza di un contratto, presunti pagamenti solo in contanti), affermato apoditticamente che i rilievi effettuati difettavano di “riscontri probatori” e che, di contro, dai “molteplici documenti allegati risultava sufficientemente provata l’avvenuta esecuzione dei servizi prestati dalla ESG s.r.l.”, ancorché i mezzi di pagamento non potessero costituire, per giurisprudenza di legittimità, idonea prova a contrario della effettività delle prestazioni fatturate e la riportata affermazione del cliente principale Nuova Pignone – peraltro nella denuncia presentata dall’Ufficio alla Procura, resa dal legale rappresentante della società verificata e non dalla Nuova Pignone – circa lo svolgimento dell’attività da parte della DVP presso la sede legale di quest’ultima e non presso l’impresa cliente, non comprovasse che si trattasse delle medesime operazioni fatturate dalla ESG e che le stesse fossero state effettivamente eseguite dalla ESG;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatti decisivi e controversi per il giudizio, per non avere la CTR valutato una serie di elementi indiziari addotti dall’Ufficio – quali l’assenza di un contratto, la mancanza di riscontri della presenza e dell’operatività di lavoratori rumeni sui cantieri della società verificata, l’asserito pagamento esclusivamente in contanti, l’assenza di riscontri contabili del presunto pagamento – che avrebbero dovuto essere valutati unitamente a quelli menzionati (anomalie nella fatturazione, inizio dell’attività da parte della società rumena successivamente alla data di fatturazione, confronto del presunto costo sostenuto dalla società nel 2005 con quello “spesato” nel 2006) al fine di verificare la fondatezza della pretesa tributaria;

– i motivi – da trattare congiuntamente per connessione – sono fondati per le ragioni di seguito indicate;

– in via preliminare deve essere disattesa l’eccezione d’inammissibilità che la controricorrente prospetta con riferimento ai motivi di ricorso in esame in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere la rivalutazione del merito; in realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma la violazione delle norme in tema di formazione del giudizio sulla prova presuntiva, peraltro, omettendo l’esame di fatti decisi e controversi per il giudizio;

– in linea generale, ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., sent. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte, nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018);

-questa Corte ha poi affermato che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21 fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018). In tema di Iva, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. Senz’altro, ha aggiunto la Corte, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta (Cass., sez. 5, n. 30350 del 23/11/2018);

-quanto al denunciato vizio di “omesso esame circa fatti decisivi e controversi per il giudizio”, integra un vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., in L. n. 134 del 2012 (applicabile nella specie per essere stata la sentenza di appello depositata il 16.12.2014), l’omesso esame di un fatto storico, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16703 del 25/06/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23238 del 04/10/2017);

-nella specie, il giudice di appello, ha mal governato i suddetti principi, in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio della inesistenza (oggettiva) delle operazioni “di controllo non distruttivo su giranti” sottese a fatture emesse dalla società rumena EGS, negli anni 20052007, e risultate “anomale” (per dicitura in italiano e descrizione del tutto generica delle prestazioni) – il che rendeva le stesse, anche alla luce della giurisprudenza unionale sopra richiamata, già di per sé inidonee a costituire titolo per la deducibilità dei relativi costi e la detraibilità ai fini Iva, con conseguente onere a carico della società contribuente di dimostrare le condizioni per poterne fruire, fornendo elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture medesime – si è limitato ad affermare – menzionando solo alcuni elementi indiziari indicati dall’ufficio (quali le anomalie nella fatturazione, l’inizio dell’attività da parte della società rumena successivamente alla data di fatturazione, il confronto del presunto costo sostenuto dalla società nel 2005 con quello “spesato” nel 2006) – che quest’ultimo non avesse prodotto “valide prove per avvalorare quanto accertato”, e che la presenza di anomalie “senza un riscontro probatorio” rimanessero solo “presunzioni”; con ciò omettendo di considerare gli altri elementi indiziari posti a fondamento della pretesa tributaria quali l’assenza di un contratto, la mancanza di riscontri della presenza e dell’operatività di lavoratori rumeni sui cantieri della società verificata, l’asserito pagamento esclusivamente in contanti, l’assenza di riscontri contabili del presunto pagamento, concretanti circostanze di fatto, oggetto di contestazione (v. stralci dell’atto di appello riportati a pag. 14-17 del ricorso) e potenzialmente idonee a condurre a diversa decisione; nell’omettere l’esame di fatti decisivi e controversi, la CTR ha, peraltro, errato nel governare il materiale probatorio contravvenendo, peraltro, al principio di diritto secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 13/03/2014; sez. 5, n. 16825 del 7/8/2020; 12143 del 2021); al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria (Cass. n. 19352 del 2018); sotto questo profilo, la CTR – pur a fronte di un non ritenuto assolto onere probatorio a carico dell’Amministrazione, facendo comunque ricadere sulla contribuente l’onere della prova contraria – ha ugualmente errato nel governare il materiale probatorio, affermando, da un lato, apoditticamente che dai “molteplici documenti allegati risultava sufficientemente provata l’avvenuta esecuzione dei servizi prestati dalla ESG s.r.l.”, e, dall’altro, che la dichiarazione (contenuta nella denuncia presentata dall’Ufficio alla Procura) resa da Nuovo Pignone, quale cliente principale della società contribuente, secondo cui “l’attività svolta dalla società DVP avveniva totalmente nella sede legale e non presso l’impresa cliente” confermasse l’effettiva esecuzione da parte della detta società dell’attività di controllo non distruttivo su giranti e che “se poi tale attività fosse stata effettuata non dalla DVP s.r.l., ma, come da accordi, tramite la ESG s.r.l.” ciò dimostrava l’oggettiva esistenza delle prestazioni fatturate; con ciò, da un lato, attribuendo sostanzialmente rilievo, in contrasto con la sopra richiamata giurisprudenza di questa Corte, alla esibizione degli dedotti mezzi di pagamento e alle stesse fatture (nelle quali, come eccepito dalla contribuente, l’utilizzo della lingua italiana sarebbe stata giustificata dal domicilio in Italia del titolare della società rumena e l’indicazione delle diverse matricole sarebbe bastata come descrizione delle prestazioni, pag. 3 della sentenza impugnata), dall’altro, riconoscendo valenza probatoria alla dichiarazione del terzo Nuovo Pignone (che, peraltro, avuto riguardo allo stralcio della notizia di reato riportata in nota in ricorso a pag. 13 sarebbe stata resa dal legale rappresentante della stessa società contribuente) – circa lo svolgimento dell’attività di controllo non distruttivo su giranti da parte della società “totalmente nella sede legale e non presso l’impresa cliente” – che, in mancanza di altri elementi, poteva rilevare come elemento indiziario e non già come presunzione (semplice) della inesistenza delle operazioni in contestazione – tanto più desumendo da tale dichiarazione l’ulteriore non correlata e indimostrata conseguenza che lo svolgimento di tale attività “non dalla DVP ma, come da accordi, tramite la ESG s.r.l., dimostra(sse) l’oggettiva esistenza delle prestazioni indicate nelle fatture”; invero, tutto ciò in contrasto con quanto affermato da questa Corte circa la valenza delle dichiarazioni rese da un terzo e acquisite dagli organi verificatori nel corso della fase amministrativa, secondo cui, “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extra processuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Cass. civ., 16 maggio 2019, n. 13174; Cass. civ., 7 aprile 2017, n. 9080); in particolare, tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni (Cass. civ., 20 aprile 2007, n. 9402; per la valenza indiziaria delle dichiarazioni dei terzi anche in favore del contribuente Cass., sez. 5, n. 24531 del 20/10/2019; Sez. 5, Sentenza n. 9903 del 27/05/2020);

– in conclusione, va accolto il ricorso; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione che provvederà, altresì, a valutare, con riguardo alle imposte sui redditi, l’eventuale applica ione, quanto alle operazioni oggettivamente inesistenti, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8 convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, che ha portata retroattiva (v. Cass. Sez. 5, n. 27040 del 19/12/2014; Sez. 5, Sentenza n. 7896 del 20/04/2016; Cass., sez.5, 3 febbraio 2016, n. 2065).

P.Q.M.

la Corte:

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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