Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33497 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13696-2020 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato CARLO ROMEO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO CORUZZO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** SPA, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO CECCARELLI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 494/2020 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositato il 27/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

RILEVATO

– che viene proposto da G.A., affidato a due motivi, ricorso avverso il decreto del 27.2.2020 con cui il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** s.p.a. proposta dall’odierno ricorrente avverso il decreto con cui il G.D. aveva escluso il credito vantato a titolo di differenze retributive in relazione alla instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, ancorché formalmente stipulato dalle parti come contratto di collaborazione a progetto;

che, in particolare, il rigetto dell’opposizione si fonda sul rilievo che neppure dalle allegazioni e deduzioni del G. era emersa la ricorrenza degli indici più significativi della subordinazione, quali la sottoposizione al potere direttivo del datore di lavoro (seppur in forma attenuata) e l’obbligo del rispetto di un orario di lavoro;

– che il curatore del fallimento ***** s.p.a. ha resistito con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2094 e 2095 c.c., art. 2014, comma 2, nonché del D.Lgs. n. 81 del 2015, artt. 1 e 2, sul rilievo che il giudice fiorentino aveva illegittimamente ritenuto il ricorrente mero collaboratore esterno, emergendo, invece, dalla documentazione in atti e dalle circostanze allegate l’inserimento del medesimo nella compagine organizzativa della ***** s.p.a., come desumibile dall’organigramma societario e dall’elenco dei numeri telefonici aziendali da cui risultava che il G. era espressamente qualificato come direttore generale;

che, d’altra parte, il D.Lgs. n. 81 del 2015, aveva introdotto la figura delle collaborazioni organizzate dal committente cui si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, con disposizioni di favore per la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto titolari di partita IVA;

2. che il motivo è manifestamente infondato nonché, per taluni profili inammissibile;

– che va, preliminarmente, osservato che, anche recentemente, questa Corte (vedi Cass. n. 3640 del 13/02/2020) ha enunciato il principio di diritto secondo cui, ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale, il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante la prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurla ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell’ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata;

che, pertanto, nel caso sopra citato sottoposto al suo esame, questa Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la qualificazione come subordinato di un rapporto di lavoro dirigenziale, non ritenendo sufficiente il solo elemento indiziario dell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale, in mancanza di allegazione e prova circa l’esistenza di una – pur attenuata – eterodirezione da parte dei vertici della società;

– che, nel caso di specie, il ricorrente, pur affermando di condividere i principi affermati da questa Corte, si è limitato a dedurre il proprio inserimento nell’organizzazione aziendale della società poi fallita nonché lo svolgimento di funzioni di coordinamento, senza neppure allegare e richiedere di provare come evidenziato dal giudice di primo grado – il proprio assoggettamento ad un seppur attenuato potere direttivo del preteso datore di lavoro;

– che il motivo e’, altresì, inammissibile per non avere il ricorrente censurato la ratio decidendi e, comunque, per difetto di autosufficienza, non avendo neppure allegato di aver sottoposto la questione della violazione del D.Lgs. n. 81 del 2015, all’esame del giudice di merito, questione che quindi si appalesa nuova;

3. che il secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., in relazione alle conseguenze che il giudice di merito ha tratto dalla mancata produzione del CCNL applicabile al rapporto di lavoro, è inammissibile;

– che va preliminarmente osservato che la deduzione del ricorrente, secondo cui la produzione del contratto collettivo nazionale di lavoro sarebbe irrilevante perché la curatela non avrebbe mai contestato i conteggi dallo stesso prodotti è priva del requisito di autosufficienza;

– che non vi è dubbio, infatti, che il ricorso per cassazione con cui si deduca l’operatività del principio di non contestazione non possa prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base si alleghi come integrata la non contestazione che il giudice di merito non ha inteso riconoscere (vedi a contrariis Cass. n. 20637/2016);

– che caso di specie, il ricorrente si è limitato ad affermare genericamente che la controparte non avrebbe mai contestato le circostanze che ritiene ammesse a norma dell’art. 115 c.p.c., comma 2, senza fornire alcun dettaglio in ordine al contenuto delle allegazioni contenute negli atti processuali di primo grado del controricorrente, da cui scaturirebbe l’operatività della dedotta non contestazione;

4. che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, nella sussistenza dei presupposti del cd. raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese delle spese di lite, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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