Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33548 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19747-2018 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE AMATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE BACCHETTA;

– ricorrente –

contro

O.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRATTE DI TRASTEVERE, 44/A, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA CANEVARI, rappresentato e difeso dagli avvocati ENRICO GIANFRANCO BARILLI, GIUSEPPINA MARIA BORELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1182/2018 del TRIBUNALE di MONZA, depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/05/2021 dal Consigliere Dott. ROSSETTI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Il 30.9.2014 O.E. chiese ed ottenne dal Tribunale di Monza un decreto ingiuntivo (Decreto n. 4535, r.g. 6878/14) nei confronti di tre persone: G.S., G.S. e G.M., G.S. e G.M. proposero tempestiva opposizione al decreto, deducendo di avere già adempiuto la propria obbligazione sin dal 5 settembre 2014, e dunque prima ancora del deposito del ricorso monitorio, G.S. non si oppose al decreto.

2. Nel 2016 O.E. iniziò l’esecuzione nei confronti di G.S. notificandogli il precetto unitamente al decreto ingiuntivo non opposto.

Questi propose opposizione all’esecuzione, deducendo che il credito precettato era stato estinto dalla condebitrice solidale G.M. sin dal 5.9.2014, e dunque prima ancora che O.E. depositasse il ricorso per decreto ingiuntivo (come s’e’ detto, deposito avvenuto il 30 settembre 2014).

3. Il Giudice di pace di Monza con sentenza n. 269/17 rigettò l’opposizione. Ritenne il Giudice di pace che il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di G.S. era diventato inoppugnabile per mancata opposizione, e che di conseguenza non potevano essere fatte valere in sede di opposizione all’esecuzione questioni, come l’avvenuto adempimento dell’obbligazione, che si sarebbero dovute far valere in sede di opposizione al decreto.

La sentenza venne appellata dal soccombente.

4. Il Tribunale di Monza con sentenza 19 aprile 2018 n. 1182 dichiarò inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 339 c.p.c..

Ad abundantiam, aggiunse che l’appello era comunque infondato nel merito, in quanto il decreto ingiuntivo era diventato inoppugnabile nei confronti di G.S., e questi non poteva far valere in sede di opposizione all’esecuzione cause estintive anteriori alla formazione del titolo esecutivo, né poteva invocare l’art. 1306 c.c., norma inapplicabile quando il titolo esecutivo si sia formato nei confronti di tutti i condebitori solidali.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.S. con ricorso fondato su due motivi.

O.E. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 339 c.p.c.. Deduce che il motivo d’appello con cui si sostenga che il creditore non possa agire in executivis sulla base di un decreto ingiuntivo inoppugnabile, richiesto dopo l’estinzione dell’obbligazione, costituisce deduzione della violazione di un principio regolatore della materia; e che la violazione, da parte del giudice di pace, dei principi regolatori della materia nelle controversie decise secondo equità consente la proposizione dell’appello.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6. Il ricorrente, infatti, in sostanza lamenta col motivo in esame che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso che l’appello da lui proposto denunciasse una violazione, da parte del primo giudice, dei principi regolatori della materia. Denuncia, quindi, una erronea interpretazione o qualificazione dell’atto d’appello.

Denunciare in sede di legittimità che il giudice d’appello avrebbe malamente interpretato o qualificato il gravame a lui sottoposto è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sull’atto della cui erronea interpretazione il ricorrente si duole, e cioè l’atto d’appello.

Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

1.2. Di questi tre oneri, il ricorrente nel caso di specie non ha assolto in modo esaustivo il primo.

Il ricorso, infatti, non riferisce, in violazione dell’onere imposto a pena di inammissibilità dalle norme appena ricordate, quale fosse il contenuto dell’appello da lui proposto, e con quali argomenti giuridici o di fatto venne sostenuto.

Non è sufficiente, in tal senso, il generico accenno a p. 9 del ricorso, ove si legge che “la censura riguardante l’estinzione del debito oggetto di decreto ingiuntivo attiene (…) un principio regolatore della materia”.

Tanto meno lo “specifico” (come richiesto dall’art. 366 c.p.c.) contenuto dell’atto d’appello può desumersi dal contenuto della sentenza impugnata, per come trascritto a p. 9 del ricorso per cassazione.

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché censura le deduzioni svolte dal Tribunale per rilevare la infondatezza nel merito dell’opposizione. Tuttavia, secondo il costante orientamento di questa Corte, il giudice, una volta ritenuto inammissibile l’appello, si spoglia della potestas iudicandi, e tutte le eventuali ulteriori considerazioni sul merito della lite, contenute nella sentenza che ha dichiarato inammissibile il gravame, devono ritenersi tamquam non essent, e non vi è necessità di impugnarle.

3. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate interamente tra le parti, in considerazione della peculiarità della fattispecie, dei rapporti tra le parti, e della opportunità di non alimentare ulteriore contenzioso tra esse.

PQM

La Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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