Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.33629 del 11/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3670-2020 proposto da:

N.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO PAGELLA, GABRIELLA BANDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di Torino indicato in atti;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. GARRI Fabrizia.

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di protezione internazionale avanzata da N.J., cittadino ***** proveniente da ***** e poi trasferitosi ad *****, sposato con due figli, espatriato per timore di essere ucciso dai parenti di un amico rimasto coinvolto in un litigio con altre persone del cui omicidio era stato accusato. Deduceva che il consiglio degli anziani del suo paese, non avendo trovato una soluzione alla controversia, ne aveva rimesso l’esame all’Obi e perciò, temendo una decisione a lui negativa, si era allontanato nell’agosto 2016 giungendo in Italia in settembre attraverso la Libia.

2. Il Tribunale ha ritenuto non verosimili e incoerenti le dichiarazioni del ricorrente osservando che non era credibile che fosse stato destinatario di un’accusa ingiustificata, proveniente dalla famiglia di un amico alla quale il ricorrente era profondamente legato, senza che si fosse proceduto ad accertamenti con i testimoni presenti al fatto; che era incomprensibile la fuga intervenuta prima del giudizio dell’OBI; che non sussistevano motivi per ritenere fondato il rischio di uccisione da parte della famiglia dell’amico non essendo mai emersa concretamente tale volontà posto che nessuna minaccia era stata rivolta alla sua famiglia dopo la sua partenza; che risultava irragionevole il non aver chiesto protezione dalla falsa accusa agli organi di polizia e non era persuasiva la spiegazione data del non essersi rivolto all’autorità pubblica in quanto già in precedenza era stato falsamente accusato di un fatto per il quale era stato messo in carcere, circostanza peraltro riferita solo in sede di audizione davanti al Tribunale e mai prima esposta nella fase amministrativa e nel ricorso introduttivo. Inoltre il giudice di primo grado ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) e, con riguardo alla fattispecie prevista dalla lett. c) citata disposizione ha ritenuto accertato, sulla base di informazioni aggiornate che nell'***** e nel ***** (quest’ultimo stato di residenza al momento dell’allontanamento) vi fosse una situazione di violenza indiscriminata che giustificasse la protezione chiesta. Con riguardo alla protezione umanitaria, infine, il Tribunale ha ritenuto non provate le ragioni di tutela di beni primari incomprimibili quali la salute evidenziando che era documentata una situazione sanitaria che non richiedeva cure ma solo controlli. Con riguardo da ultimo all’integrazione del richiedente in Italia ha ritenuto che l’attività di bracciante agricolo a tempo determinato, sulla base di contratti prorogati e con compensi variabili, le attestazioni linguistiche, l’appartenenza alla comunità del *****, non erano da sole sufficienti per riconoscere il permesso di soggiorno chiesto. Quanto infine alle modalità del viaggio che lo aveva portato in Italia, attraverso il deserto e poi in mare, il giudice di primo grado ha ritenuto che, in mancanza di una prova di esperienze traumatiche sul piano psico fisico, si trattava di argomenti non rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione chiesta.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.J. affidato ad un unico articolato motivo. Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria tardiva di costituzione al solo fine di partecipare all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

CHE:

4. Con l’unico articolato motivo di ricorso è denunciata la nullità della decisione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed all’art. 115 c.p.c., comma 2, all’art. 2727 c.c., al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, all’art. 2 Cost. e art. 10 Cost., commi 1 e 3, alla L. 24 luglio 1954, n. 722 di ratifica della convenzione di Ginevra, al D.P.R. n. 303 del 2004 ed all’art. 738 c.p.c., comma 3. Sostiene il ricorrente che il Tribunale abbia trascurato le sue deduzioni e quanto esposto davanti alla commissione. Deduce che immotivatamente non sarebbe stata disposta l’audizione del richiedente e che comunque, alla luce della giurisprudenza della Cassazione, la prova del pericolo per il caso di rientro in patria può essere anche solo indiziaria e desumibile dal notorio ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2. Eccepisce il ricorrente che la carenza della motivazione sarebbe ravvisabile nel fatto che non sono state approfondite le particolari circostanze in cui è avvenuto l’espatrio e non sarebbero stati esercitati, ex art. 35 bis citato, i poteri istruttori e non sarebbe stata doverosamente utilizzata la prova per presunzioni.

5. Il ricorso non può essere accolto.

5.1. Rileva il Collegio che il Tribunale ha dato corretta applicazione ai principi dettati dalla Cassazione in tema di prova nel contesto della protezione internazionale e umanitaria, esercitando i poteri officiosi demandatigli e verificando l’attendibilità del racconto del richiedente sulla base dei criteri di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5.

5.2. Va qui ribadito che in materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 19/06/2020 n. 11925). Il giudice di primo grado non ha trascurato le deduzioni del ricorrente; lo ha ascoltato; ha valutato la coerenza delle sue dichiarazioni; ha utilizzato tutti gli strumenti a sua disposizione pervenendo al convincimento, in questa sede insindacabile perché appartenente alla valutazione rimessa al giudice del merito, di ritenere insussistente il pericolo in caso di rientro. Nella sua ricostruzione il Tribunale si è avvalso dei poteri istruttori esaminando d’ufficio fonti internazionali di informazione accreditate, pertinenti e aggiornate dandone conto nel corpo della motivazione così da mettere il richiedente nella condizione di apprezzare le ragioni della decisione verificandone anche le fonti.

5.3. Per tali ragioni non solo il provvedimento non incorre nelle violazioni denunciate ma, ancor prima, le stesse si risolvono nella pretesa di un riesame del merito della controversia che in questa sede non è ammissibile.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità stante la tardiva costituzione dell’amministrazione che non ha sostanzialmente svolto alcuna attività processuale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

P.Q. M.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472