LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10517-2019 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 252, presso lo studio dell’avvocato BARBARA SILVAGNI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G. proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente successivo –
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 252, presso lo studio dell’avvocato BARBARA SILVAGNI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 496/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/02/2019 R.G.N. 3447/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato estinto il rapporto di lavoro tra C.F. e Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (da ora RFI) e condannato la società datrice di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a trentasei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;
2. la Corte di merito ha premesso che: il lavoratore aveva ottenuto sentenza definitiva di accertamento del suo diritto a lavorare alle dipendenze della società RFI e a percepire le relative competenze retributive a partire dall’anno 1995; nel corso del giudizio per la quantificazione delle spettanze retributive maturate le parti avevano raggiunto accordo conciliativo nel quale a fronte della rinunzia del lavoratore ad azionare le pretese economiche la società si impegnava a procedere alla relativa assunzione; dopo la sottoscrizione dell’accordo la società aveva consegnato al dipendente una lettera con la quale gli era chiesta la produzione di una serie di documenti tra i quali quelli relativi al casellario giudiziario ed ai carichi pendenti; dopo la consegna di tale documentazione RFI aveva contestato al dipendente sia la esistenza di carichi pendenti che di un giudicato penale sia la reticenza nell’esibire tale documentazione;
3. il giudice di appello, esclusa la natura discriminatoria del recesso datoriale, ha osservato che le condotte contestate non integravano gli estremi della giusta causa ex art. 2119 c.c. intesa come lesione irreparabile del vincolo fiduciario; l’art. 64 c.c.n.l., che individuava tra le mancanze punibili con il licenziamento senza preavviso la condanna definitiva per una serie di reati, tra i quali quelli per i quali il C. era stato condannato in via definitiva, non era riferibile a condotte che, come nel caso di specie, erano state commesse e punite prima dell’insorgenza del rapporto lavorativo; l’interpretazione adottata trovava conferma nella previsione dell’art. 17 c.c.n.l. il quale non contemplava tra i documenti richiesti al fine dell’assunzione anche il certificato penale e quello dei carichi pendenti; dall’interpretazione sistematica delle disposizioni collettive si evinceva, quindi, che la norma collettiva aveva inteso sanzionare solo condotte extralavorative accertate dopo l’inizio del rapporto lavorativo e che la mera pendenza di un procedimento penale, in assenza di condanna definitiva, non giustificava il licenziamento in tronco; in relazione al residuo addebito rappresentato dalla tardiva produzione della documentazione richiesta dalla società, trattenuta dal lavoratore per oltre due mesi, il giudice di appello ha osservato che la condotta del lavoratore non era da sola sufficiente a suffragare il recesso datoriale posto che da un lato l’atteggiamento del C. era comprensibile in ragione del timore di mettere a repentaglio il posto di lavoro per il quale aveva rinunziato alle retribuzioni spettanti dall’anno 1995 e d’all’altro che la richiesta di produzione di tale documentazione, formulata già prima dell’assunzione, non trovava fondamento nelle previsioni del contratto collettivo ed in particolare nei documenti che dovevano essere esibiti ex art. 17 c.c.n.l.; la società si era impegnata ad assumere incondizionatamente il C. il quale non aveva alcun obbligo formalmente imposto da norme contrattuali di rendere note informazioni a lui pacificamente contrarie; il difetto di proporzionalità tra la violazione commessa e la sanzione irrogata, ferma la estinzione del rapporto, giustificava la erogazione della indennità risarcitoria in misura pari a 36 mensilità; era, infine da respingere la richiesta di accertamento della nullità della transazione;
4. per la cassazione della decisione hanno proposto separati ricorsi RFI e C.F.;
4.1. la prima ha chiesto ha chiesto la cassazione della decisione sulla base di tre motivi ai quali il C. ha resistito con controricorso;
4.2. il secondo ha chiesto la cassazione della decisione sulla base di un unico motivo al quale ha resistito con controricorso RFI;
5. RFI ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.;
CONSIDERATO
Che:
1. preliminarmente deve essere disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi per cassazione proposti in via autonoma da RFI e da C.F. con conversione del ricorso di quest’ultimo, notificato successivamente al primo – che diviene ricorso principale – in ricorso incidentale (Cass. n. 26723 del 2011);
2. con il primo motivo di ricorso principale RFI deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., degli artt. 17 e 64 c.c.n.l. 20.7.2012, dell’art. 1965 c.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366, 1175 c.c. questi ultimi in relazione all’interpretazione delle richiamate disposizioni collettive. Secondo la società ricorrente il giudice di appello aveva errato nell’escludere rilievo alle condotte extralavorative antecedenti all’instaurazione del rapporto di lavoro così operando un’indebita restrizione della nozione legale di giusta causa di cui all’art. 2119, dovendosi escludere che il datore di lavoro potesse essere vincolato alle previsioni del contratto collettivo le quali avevano valenza meramente esemplificativa; in ogni caso, era errata la interpretazione delle norme collettive di riferimento secondo la quale le condotte extralavorative giustificavano il recesso datoriale solo se successive all’instaurazione del rapporto di lavoro; la sentenza impugnata aveva omesso lo scrutinio delle condotte contestate nel loro insieme, limitandosi, al di là di mere enunciazioni di principio, alla loro atomistica considerazione e tralasciando ogni verifica della relativa incidenza in ordine alle mansioni di adibizione; era da criticare, inoltre la valutazione di non proporzionalità della sanzione in riferimento alla tardiva consegna dei documenti la cui richiesta da parte della società, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non era in contrasto con il disposto dell’art. 17 c.c.n.l.; l’elenco dei documenti che a mente di tale disposizione la società datrice di lavoro poteva richiedere all’atto dell’assunzione, non aveva, infatti, carattere tassativo; il giudice di merito aveva infine errato nell’escludere che la mera pendenza di un procedimento penale per determinati reati potesse legittimare il licenziamento in tronco venendo in rilievo, anche in questo caso, il carattere esemplificativo e non esaustivo della previsione dell’art. 64 c.c.n.l.; infine, la Corte distrettuale aveva errato nel ritenere che l’accordo conciliativo non contemplasse l’obbligo di acquisizione dei documenti; né RFI avrebbe potuto prendere in esame e quindi transigere su questioni di cui non a conoscenza al momento della conciliazione;
3. con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente principale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. e inadeguatezza della motivazione – art. 111 Cost., n. 6, art. 12 preleggi, violazione dell’art. 132 c.p.c. per insanabile contrasto tra affermazioni tra loro inconciliabili; la Corte di merito aveva errato nel ritenere la intervenuta transazione inter partes e la coeva lettera d’assunzione come una prosecuzione l’una dell’altra piuttosto che due atti separati e distinti seppure ricollegabili; la inconciliabilità viene ritenuta tra l’affermazione secondo la quale la lettera con la richiesta dei documenti consegnata al momento dell’assunzione non integrava il verbale di conciliazione e dall’altro che il contratto di assunzione rinviava all’accordo transattivo e ne costituiva adempimento;
4. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 1, nonché violazione dell’art. 12 preleggi nella relativa interpretazione; assume, in sintesi, che il testo vigente ratione temporis dell’art. 3 D.Lgs. cit. prevedeva quale limite massimo della indennità risarcitoria 24 mensilità, laddove il limite di 36 mensilità era stato elevato solo con il D.L. n. 87 del 2018, art. 3, comma 1, conv. in L. n. 96 del 2018, non avente efficacia retroattiva; in ogni caso, la statuizione in tema di indennizzo violava l’art. 3, comma 1 D.Lgs. cit. anche sotto il diverso profilo dei criteri da tenere in considerazione, alla stregua dei quali, anche sulla base della sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale, occorreva riconoscere un ruolo preminente all’anzianità di servizio;
5. con l’unico motivo di ricorso incidentale C.F. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 23 del 2015 e successive modifiche, degli artt. 3,4, e 35 Cost. nonché degli artt. 1175,1337 e 1418 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere interpretato come tipici e tassativi i motivi di licenziamento discriminatorio elencati dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 al quale rinvia la L. n. 23 del 2015; argomenta nel merito sulla non conformità a correttezza e buona fede della complessiva condotta di RFI;
6. il motivo di ricorso incidentale, che si esamina con priorità per il carattere dirimente collegato al suo eventuale accoglimento, è inammissibile;
6.1. la sentenza impugnata ha respinto la tesi del lavoratore sulla natura discriminatoria del licenziamento intimatogli, natura determinata dalla condizione del C. di ex detenuto, osservando che il divieto di discriminazione non opera per qualsivoglia fattore causale ma solo per condotte legate al sesso, alla razza, all’età, all’orientamento sessuale ecc.; ha inoltre osservato che dalle allegazioni del ricorrente non emergevano elementi idonei a fondare la presunzione della natura discriminatoria del comportamento assunto dall’azienda (sentenza, pag. 5, ultimo capoverso); tale ultima affermazione, configurante autonoma ratio decidendi, di per sé sola idonea a sorreggere la statuizione di rigetto della domanda intesa a far valere il carattere discriminatorio del recesso datoriale, non risulta in alcun modo investita da censura; nessuna argomentazione viene infatti spesa dal ricorrente incidentale per contrastare l’affermazione della inconfigurabilità già in astratto, alla stregua delle allegazioni formulate in domanda, di una condotta ispirata ad un intento discriminatorio del C. in quanto ex detenuto; tanto determina la inammissibilità del motivo e assorbe il rilievo dell’ulteriore profilo di inammissibilità derivante dalla violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 per mancata esposizione del fatto processuale con riferimento alle allegazioni formulate dal lavoratore e alle difese della società sul tema del carattere discriminatorio deli licenziamento;
7. il primo motivo di ricorso principale è fondato;
7.1. premesso che la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in contrasto con il carattere esemplificativo delle condotte di rilievo disciplinare contemplate dalle previsioni collettive, che la Corte distrettuale ha comunque dato atto, sia pure con formula sintetica, di avere esaminato gli addebiti contestati al C. alla luce della nozione legale di giusta causa posta dall’art. 2119 c.c. (sentenza, pag. 6, primo capoverso), ritiene il Collegio non corretta la interpretazione della norma collettiva adottata dal giudice di merito, in tema di condotte extralavorative che giustificano il licenziamento in tronco da parte del datore di lavoro. La tesi del giudice di appello secondo la quale le uniche condotte extralavorative rilevanti al fine del licenziamento senza preavviso sarebbero quelle successive alla instaurazione del rapporto di lavoro non trova, innanzitutto, conferma nel dato testuale dell’art. 64 c.c.n.l. che nulla dice a riguardo; essa, inoltre, non risulta coerente con la recente giurisprudenza di legittimità, consolidatasi a partire da Cass. 428/2019, secondo la quale in tema di licenziamento per giusta causa, il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all’instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell’organizzazione aziendale (in senso conforme, Cass. 10775/2020);
7.2. in base alle considerazioni che precedono il primo motivo di ricorso principale deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altro giudice di secondo grado; il giudice del rinvio sulla base dell’enunciato principio procederà al riesame complessivo della fattispecie ed in particolare verificherà in maniera rigorosa in relazione alle mansioni di adibizione del C. la incidenza che ai fini della lesione del vincolo fiduciario assume la condanna definitiva per i reati contemplati dalla norma collettiva;
8. gli altri motivi del ricorso principale restano assorbiti;
9. il regolamento delle spese di lite del giudizio di cassazione è demandato al giudice del rinvio;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
Codice Civile > Articolo 17 - (Omissis) | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 64 - Immissione nel possesso e inventario | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1175 - Comportamento secondo correttezza | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1365 - Indicazioni esemplificative | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1366 - Interpretazione di buona fede | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1418 - Cause di nullita' del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1965 - Nozione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2021 - Legittimazione del possessore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2119 - Recesso per giusta causa | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 132 - Contenuto della sentenza | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 366 - Contenuto del ricorso | Codice Procedura Civile