Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.33658 del 11/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21056/2020 proposto da:

I.U.T.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Lera Federico;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2361/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2021 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 2361/2019, depositata in data 12/11/2019, ha respinto l’appello di I.U.J.T.A., cittadina *****, avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la richiesta della stessa, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che il racconto della richiedente (essere di etnia ***** e di regione ***** ed essere stata costretta a fuggire, di nuovo, nel 2015-2016, dalla ***** verso l’Italia, dove già aveva soggiornato nel 2008 facendo la prostituta – circostanza questa, successivamente, dalla stessa richiedente negata – una prima volta, fino al 2010, anno in cui era stata espulsa, perché temeva che si scoprisse che suo padre aveva abusato di lei e che era anche il genitore di sua figlia, nata nel *****) era incoerente ed implausibile e quindi non credibile, con conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, anche ai sensi del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 14, lett. c) considerato che l’area di provenienza della ***** (*****) non era interessata da situazioni di violenza generalizzata, secondo le fonti consultate (***** e Refworld); non ricorrevano neppure i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, in difetto di situazioni personali di vulnerabilità della richiedente tali da far ritenere pregiudizievole il suo rientro in Patria e non essendo la documentazione prodotta (in ordine alla frequentazione scolastica o di progetto formativi o a contratti di lavoro a termine o a tempo indeterminato, dal 2018, come addetta alle pulizie) sufficiente a dimostrare un effettivo radicamento in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, I.U.J.T.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 13/7/2020, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi ai fini della partecipazione all’udienza pubblica di discussione).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice e la motivazione apparente in merito alla valutazione della vicenda personale della richiedente e del contesto socio-politico della *****, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria; b) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, in relazione al diniego di protezione sussidiaria, con riguardo alla carenza di analisi sulle condizioni di sicurezza della zona di provenienza della richiedente; c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della protezione umanitaria.

2. Le prime due censure sono inammissibili.

La ricorrente si duole anche della ritenuta non credibilità delle dichiarazioni, oltre che della mancata verifica officiosa della situazione socio-politica del Paese d’origine.

Ora, quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, il disposto del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicché anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti; nel caso di specie, il giudice d’appello, confermando la valutazione di inattendibilità già espressa in primo grado, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, ha ritenuto che i molteplici aspetti di genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni della migrante pregiudicassero l’accoglimento della domanda di protezione internazionale presentata e, in questo modo, ha attribuito alla inverosimiglianza del racconto carattere determinante.

Sotto tale profilo la doglianza risulta inammissibile, in difetto di effettivo omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, dovendosi rilevarsi che la Corte di merito ha comunque esaminato puntualmente le dichiarazioni rese dalla richiedente, ritenute non credibili, sotto tutti i profili, specificamente individuati.

Peraltro, in sentenza, si afferma altresì che il giudizio di complessiva inattendibilità espresso dal giudice di primo grado non aveva “formato oggetto di specifica contestazione nei motivi di gravame” e tale statuizione non risulta puntualmente censurata.

La ricorrente lamenta, poi, la violazione da parte della Corte di appello dell’obbligo di cooperazione istruttoria sulla situazione socio-politica nella *****, non avendo la Corte territoriale compiuto alcun approfondimento, sulla base di fonti aggiornate.

Ora, con riguardo alla protezione sussidiaria, in rapporto all’onere di allegazione in appello, questa Corte (Cass. 13403/2019) ha chiarito che “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (nella specie, il ricorrente si era limitato, per sostenere l’esistenza nell’intera ***** di una situazione di violenza generalizzata, a richiamare le norme nazionali e convenzionali, i principi affermati nella materia dalla S.C. ed una pluralità di fonti informative – sito Amnesty International, report EASO, note del Ministero degli Affari Esteri – senza specificare la zona di provenienza né segnalare i contenuti delle allegazioni svolte in primo grado).

La censura risulta, sul punto, del tutto generica, in quanto, senza allegare fonti ufficiali (attraverso un mero richiamo generico ai “brani” tratti da rapporti internazionali depositati nel merito), la ricorrente si limita a lamentare la mancata valutazione della situazione nello Stato della ***** ed a contrapporre al giudizio della Corte di merito una propria diversa valutazione sulla situazione socio-politica del Paese di provenienza.

3. Il terzo motivo risulta invece fondato.

Le Sezioni Unite (Cass. SU 24413/2021) si sono nuovamente pronunciate sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, e del contenuto della valutazione comparativa affidata al giudice, tra la situazione che, in caso di rimpatrio, il richiedente lascerebbe in Italia e quella che il medesimo troverebbe nel Paese di origine, già condiviso dalle Sezioni Unite, con la precedente sentenza n. 29459/2019, affermando il seguente principio di diritto: “In base alla normativa del T. U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano.

Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.

In motivazione, le Sezioni Unite hanno chiarito che: a) “fermo restando, quindi, che l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria postula sempre, proprio per l’atipicità dei relativi fatti costitutivi, l’esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, da svolgere caso per caso, deve dunque confermarsi il principio, già enunciato in SS.UU. n. 29459/2019, che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”; b) “tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alle condizioni soggettive e oggettive del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano” (secondo quanto già affermato dalle Sezioni semplici nelle pronunce nn. 1104/2020 e 20894/2020); c) “l’integrazione sociale non costituisce una condicio sine qua non della protezione umanitaria, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione, da valutare, quando sussista, in comparazione con la situazione oggettiva e soggettiva che il richiedente ritroverebbe tornando nel suo Paese di origine, anche con riguardo alla situazione soggettiva – sotto il profilo della permanente sussistenza di una rete di relazioni affettive e sociali”; d) “il grado di integrazione del richiedente in Italia assume una rilevanza proporzionalmente minore e, in situazioni di particolare gravità – quali la seria esposizione alla lesione dei diritti fondamentali alla vita o alla salute, conseguente, ad esemplo, a eventi calamitosi o a crisi geopolitiche che abbiano generato situazioni di radicale mancanza di generi di prima necessità – può anche non assumere alcuna rilevanza”; e) “per contro, in presenza di un livello elevato d’integrazione effettiva nel nostro Paese – desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento – saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore”.

Ora, nel presente giudizio, la Corte di merito ha escluso una situazione personale di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, meritevole di protezione per ragioni umanitarie, rilevando, essenzialmente, che, a fronte della non credibilità di quanto narrato dalla richiedente e della situazione generale del Paese d’origine, non sussistendo diritti che potessero essere pregiudicati dal rientro in patria della richiedente protezione, per quanto già espresso in ordine all’inesistenza di un rischio di persecuzione o di pregiudizio in un contesto di volenza generalizzata in *****, la documentazione allegata dalla richiedente, in ordine alla frequenza scolastica (negli anni 2016 e 2017) oltre alla partecipazione a progetti formativi regionali organizzati negli anni 2017 e 2018 ed ai rapporti di lavoro in essere (a termine e, da ultimo, a tempo indeterminato quale addetta alle pulizie, con decorrenza dal giugno 2018), non era comunque sufficiente ad integrare il requisito della integrazione effettiva nel nostro Paese.

La statuizione non risulta conforme ai principi di diritto sopra richiamati, in quanto, a fronte di un buon livello di effettiva integrazione in Italia, testimoniato dalla formazione scolastica raggiunta e dal costante svolgimento di regolare attività lavorativa, è mancata una effettiva valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in *****. Invero, si imponeva, per le considerazioni da ultimo condivise dalle Sezioni Unite di questa Corte, una valutazione comparativa “attenuata” dell’elemento oggettivo costituito dalle presumibili condizioni di vita, sotto tutti i profili, economico, lavorativo, sociale e relazionale, che attendono la richiedente asilo di ritorno nel Paese di origine, rispetto al secundum comparationis rappresentato dal livello di effettiva integrazione nel nostro Paese.

Risulta, invero, doveroso, alla luce di quanto, da ultimo, ulteriormente chiarito dalle Sezioni Unite, valutare non solo il rischio di danni futuri, legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante potrà trovare nel Paese di origine, ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, lavorative ed in generale del radicamento nel tessuto sociale italiano raggiunto, incidente sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione Edu, e sul diritto alla dignità della persona, riconosciuto nell’art. 3 Cost., ed a svolgere la propria personalità nelle formazioni sociali, riconosciuto nell’art. 2 Cost..

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso, inammissibili le prime due censure, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, inammissibili le prime due censure, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472