Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.34017 del 12/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8427-2018 proposto da:

C.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA ZAMPIERI;

– ricorrente principale –

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 595/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/08/2017 R.G.N. 103/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/06/2021 dal Consigliere Dott. LEONE MARGHERITA MARIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Venezia con la sentenza n. 595/2017 aveva rigettato l’appello principale proposto da C.R. avverso la decisione con cui il Tribunale di Vicenza, adito in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla C. nei confronti della ex datrice di lavoro Poste Italiane spa, aveva revocato il provvedimento monitorio e condannato la società al pagamento di una somma inferiore a quanto in origine richiesto.

La corte territoriale, preliminarmente rigettando il ricorso incidentale della società circa l’assenza del diritto della lavoratrice alle retribuzioni perdute a seguito del licenziamento e la insussistenza di una pronuncia di riconoscimento delle somme suddette, valutava infondato il motivo di censura “principale” sulla limitazione delle somme riconosciute in ragione del secondo licenziamento intervenuto e valutava non esistente la violazione del principio del ne bis in idem rispetto alla sentenza relativa al primo licenziamento in cui non poteva aver rilievo il secondo atto espulsivo. Avverso detta decisione la C. proponeva ricorso affidato a 10 motivi cui resisteva con controricorso Poste Italiane spa che anche proponeva ricorso incidentale affidato a due motivi.

Entrambe le parti depositavano memorie successive.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Risulta preliminare, nella logica decisionale, trattare prioritariamente il ricorso incidentale.

1) Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 e 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver, la Corte territoriale ritenuto che con la sentenza n. 7671/2013 la Corte di legittimità, oltre a confermare la statuizione di inefficacia dl licenziamento assunta dal giudice d’appello, avesse anche stabilito che le conseguenze della accertata inefficacia erano quelle previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 5 comma 3, in tal modo anche decidendo sul risarcimento oggetto del giudizio.

La società censura tale statuizione rilevando, invece, l’assenza di statuizioni in ordine alla condanna risarcitoria.

In via preliminare si osserva che il vizio denunciato risulta incoerente rispetto al contenuto della censura svolta dalla società. La Corte territoriale ha infatti valutato ed interpretato il dictum della sentenza della Suprema Corte rilevando che essa, con il richiamo alla L. n. 223 del 1991, art. 5, aveva anche statuito sugli effetti della dichiarata inefficacia e, dunque, sul risarcimento del danno per cui è causa. Ha poi chiarito che in tal modo, stante il titolo così costituito dalla sentenza, di natura generica, era necessario il procedimento monitorio per la esatta determinazione del quantum.

Rispetto a tale statuizione risulta pertanto inconferente il richiamo alla violazione di legge.

Peraltro la censura risulta anche infondata avendo questa Corte ripetutamente statuito (da ultimo Cass. n. 26750/2020) che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto dovuto al lavoratore a seguito del riconoscimento dell’illegittimità di un licenziamento costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti alla esatta quantificazione del credito, solo allorquando tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza di condanna, mentre se la sentenza di condanna non consenta la determinazione della somma dovuta, il creditore può richiedere la liquidazione in un successivo giudizio (cfr. Cass. n. 9132/2003, che richiama Cass. 11/6/1999 n. 5784 e Cass. 21/2/2001 n. 2544; v. pure Cass. 05/02/2011, n. 2816).

Nel caso di specie, pertanto, il generico richiamo alla L. n. 223 del 1991, art. 5, pur sufficiente a costituire statuizione sul diritto al risarcimento del danno, richiedeva la necessaria instaurazione di un giudizio accertativo dell’esatta somma dovuta.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione art. 342 c.p.c., per aver il giudice d’appello escluso la violazione del ne bis in idem.

La società si duole della valutazione fatta dalla Corte di appello circa la necessitata conseguenza tra dichiarazione di inefficacia del licenziamento e le conseguenze dell’illegittimo recesso.

Il motivo risulta assorbito dal rigetto della prima censura e dalle argomentazioni sopra svolte.

Ricorso principale.

1) Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, la Corte territoriale, ritenuto validamente ricevuta la comunicazione del secondo licenziamento da parte della lavoratrice. Quest’ultima aveva eccepito l’inidoneità delle copie esibite dalla società, peraltro tardivamente, a fornire la prova della ricezione della comunicazione del licenziamento. Anche in questa sede la C. ha ribadito l’eccezione rilevando la non conformità della copia dell’avviso di ricevimento all’originale, anche perché privo della sottoscrizione della ricorrente, essendo apposta firma ritenuta non riconoscibile. Assume a riguardo di aver disconosciuto subito tale firma, già prima dell’udienza del 3.3.2016 (come invece affermato dalla Corte d’appello).

Il motivo risulta inammissibile poiché diretto a nuova valutazione di merito circa la tempestività ed idoneità dei documenti attestanti la ricezione della lettera di licenziamento (il secondo) da parte della lavoratrice. Peraltro l’assunto della attuale ricorrente, circa la tempestiva eccezione di disconoscimento della firma antecedentemente all’udienza indicata dalla sentenza impugnata, non trova riscontro nei documenti allegati. Nel verbale dell’udienza del 26.1.2016 è contenuta solo la generica contestazione della effettiva ricezione della lettera e nel verbale dell’udienza del 3.3.2016 è contestata la conformità all’originale.

Risulta quindi corretta la statuizione del giudice d’appello circa la tempestività e genericità del disconoscimento in questione.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione artt. 414 e 416 c.p.c., per aver, la Corte d’appello, accertato d’ufficio la circostanza del secondo licenziamento, mai allegato dalla società Poste nel ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo.

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 260 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, il giudice, pronunciato e considerato il secondo licenziamento pur in assenza di una prospettazione ed una domanda originaria della società in tal senso.

I motivi possono essere trattati congiuntamente.

La Corte d’appello ha condivisibilmente applicato il principio di valutare d’ufficio l’evento estintivo del pregiudizio (id est il secondo licenziamento non impugnato, limitativo del pregiudizio subito e del danno conseguente) Questa Corte ha chiarito che “L’eccezione di “compensatio lucri cum damno” è un’eccezione in senso lato, vale a dire non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed e’, come tale, rilevabile d’ufficio dal giudice il quale, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio” (Cass. n. 24177/2020; Cass. n. 20111/2014). Le censure sono pertanto inammissibili.

4) Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per la violazione del giudicato costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7671/2013, confermativa della decisione della Corte di appello di Venezia circa la permanenza del rapporto di lavoro per inefficacia del primo licenziamento.

Il motivo è inammissibile poiché propone una errata lettura del “giudicato” in quanto la sentenza a tal fine richiamata tratta del primo licenziamento e non può costituire giudicato rispetto ad un evento successivo costituito dal contenimento delle conseguenze risarcitorie determinate dal subentrare del secondo recesso.

5) La quinta censura denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un motivo di impugnativa. La ricorrente si duole della mancata risposta al motivo relativo all’avvenuto disconoscimento, da parte della ricorrente, del contenuto e della autenticità della sottoscrizione dell’avviso di ricevimento.

6) Con il sesto motivo è dedotta la violazione dell’art. 214 c.p.c. poiché a seguito del disconoscimento la società avrebbe dovuto richiedere, per avvalersi del documento, la sua verificazione.

7) Con il settimo motivo è denunciata la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver, la Corte territoriale, omesso di esplicitare le ragioni per le quali ha rigettato la censura sul disconoscimento.

8) L’ottavo motivo denuncia la violazione dell’art. 1335 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), poiché il licenziamento (secondo) non era stato portato a conoscenza della lavoratrice (che, infatti, aveva disconosciuto la firma ed il contenuto dell’avviso di ricevimento);

9) Violazione art. 115 c.p.c (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), per aver la corte deciso su documenti di cui non aveva autorizzato la produzione (lettera relativa al secondo licenziamento.

I motivi da n. 5) al n. 9) possono essere trattati congiuntamente. Il Giudice del gravame (pg 9 sentenza), si è espressamente occupato della ricezione e del disconoscimento dell’avviso di ricevimento, essendo state, tali questioni, esplicitamente poste in sede di gravame.

La corte d’appello ha statuito sul punto rilevando la insufficienza di elementi di prova diretti a confutare la produzione documentale inerente la ricezione della comunicazione del licenziamento, attesa, anche, la tardività e genericità del disconoscimento degli stessi.

I motivi, che in sostanza, con diversa angolazione argomentativa, richiedono nuova valutazione sul punto, sono pertanto inammissibili.

10) Da ultimo è denunciata la violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., per l’esercizio di poteri officiosi del giudice del lavoro in assenza dei fatti allegati. In particolare la ricorrente si duole per l’utilizzo, ai fini della decisione, della copia di documenti prodotti in udienza e non precedentemente allegati.

La censura non ha pregio dovendosi non solo richiamare i principi in materia di poteri istruttori del giudice del lavoro (cfr: Cass. 11845/2018; Cass.n. 26117/2016), ma anche, nel caso in esame, quanto sopra dedotto in ordine al fatto estintivo eccepibile in giudizio e rilevabili d’ufficio (Cass. n. 24177/2020).

Per le esposte ragioni, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile.

Attesa la reciproca soccombenza, le spese devono essere interamente compensate.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale. Compensa interamente le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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