Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.34823 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22271/2016 proposto da:

P.E., P.G., P.S., quali eredi di A.A., rappresentati e difesi in proprio dall’Avvocato GIANLUIGI MALANDRINO, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in ROMA, V.le delle MILIZIE 1;

– ricorrenti –

contro

AXA ASSICURAZIONI s.p.a., in persona di un suo procuratore speciale S.D.G.P., e CENTURION IMMOBILIARE s.p.a., in persona del suo Amministratore delegato M.R., rappresentate e difese dall’Avvocato ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Zosima Vecchio, in ROMA, VIA A. REGOLO 12/D;

– controricorrenti –

P.M.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 603/2016 della CORTE d’APPELLO di CATANIA, pubblicata il 12/04/2016.

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/04/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato presso la cancelleria della Pretura di Catania, sezione lavoro, in data 16.4.1993, la EAS s.a.s. di P.M.G. esponeva: di avere ricevuto mandato agenziale in gestione libera dalla PRUDENTIAL ASSICURAZIONI s.p.a.; che le parti avevano concordato un piano di incentivazione in virtù del quale, per il triennio intercorrente fra il 1990 e il 1993, alla EAS spettava, oltre alle provvigioni già pattuite, il diritto di trattenere l’importo mensile di Lire 2.500.000 al raggiungimento di taluni traguardi produttivi; che la Prudential aveva esercitato illegittimamente il recesso, prima della scadenza del contratto, adducendo come giusta causa l’indebito trattenimento degli importi mensili di incentivazione per la somma complessiva di Lire 62.500.000; che la Prudential aveva ottenuto, con provvedimento d’urgenza del Giudice, la riconsegna da parte della EAS del saldo di chiusura di cassa e, senza eccezioni, il rendiconto e l’archivio dei contratti. Chiedeva dichiararsi la nullità o l’annullabilità del recesso esercitato dalla controparte, con la condanna della predetta al risarcimento dei danni per il pregiudizio all’immagine. In subordine, chiedeva ritenere sciolto unilateralmente il contratto relativo al citato programma di incentivazione e condannare la convenuta al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente.

Con separato ricorso, EAS adiva il Pretore per condannare la Prudential al pagamento dell’indennità di fine rapporto.

Il Pretore rilevava la propria incompetenza per materia, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale di Catania.

Frattanto, la Prudential Assicurazioni s.p.a. aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Catania, la EAS s.a.s., al fine di sentire: dichiarare la legittimità del recesso; stabilire che, in conseguenza del recesso, la EAS s.a.s. aveva diritto alle sole indennità previste dall’art. 18 dell’accordo nazionale agenti 1981; ordinare alla EAS di consegnare la quarta copia della polizza non consegnata in sede di esecuzione coattiva; condannare la EAS. alla restituzione dell’importo di Lire 62.500.000, indebitamente trattenuto a titolo di premio di incentivazione.

Con atto di citazione, notificato il 29.11.1994, la CENTURION s.p.a. (già Prudential Assicurazioni) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo a mezzo del quale le veniva ingiunto il pagamento, in favore della EAS, dell’importo di Lire 9.274.000 a titolo di provvigioni.

Tutti i procedimenti suddetti venivano riuniti e si disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della AXA Assicurazione s.p.a..

Con sentenza n. 984/2001 del 28.8.2001, il Giudice onorario aggregato della sezione stralcio del Tribunale di Catania, ritenuto illegittimo il recesso operato dalla Prudential, rigettava la domanda di quest’ultima di condanna della EAS s.a.s. al pagamento della somma di Lire 62.500.000; rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla Prudential; condannava la AXA al pagamento, in favore della EAS, dell’indennità di fine rapporto (pari a Lire 233.530.946), nonché al risarcimento dei danni per l’importo di Lire 200.000.000; condannava la soccombente al rimborso delle spese di lite.

Avverso tale decisione AXA Assicurazioni s.p.a. proponeva appello in base a sette ragioni di censura. Si costituiva in giudizio la EAS s.a.s. resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.

Con sentenza n. 829/2005 dell’1.9.2005, la Corte d’Appello di Catania rigettava l’appello condannando l’appellante al rimborso delle spese.

Ricorreva per cassazione AXA Assicurazioni s.p.a. sulla base di sei motivi. La EAS s.a.s. resisteva con controricorso.

Con sentenza n. 21095/2012 del 27.11.2012, la Corte di Cassazione dichiarava la nullità del giudizio di appello, perché celebrato senza la partecipazione della Centurion s.p.a. e cassava la sentenza impugnata rinviando, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania.

Con atto di citazione, notificato in data 6.11.2013, la AXA Assicurazioni s.p.a. e la Centurion immobiliare s.p.a. (già Centurion Assicurazioni s.p.a.) riassumevano il giudizio ai sensi dell’art. 392 c.p.c., nei confronti di P.M.G., socia accomandataria della EAS s.a.s., da qualche tempo cancellata dal registro delle imprese.

Si costituiva in giudizio P.M.G. resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza in data 11.3.2014, il Consigliere Istruttore, rilevato che la cancellazione della EAS s.a.s. dal registro delle imprese aveva comportato l’estinzione della società, discendendo da ciò che l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei confronti della società, doveva essere indirizzata nei confronti di tutti i soci, disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di A.A. (socia accomandante deceduta nel 2009).

Effettuata l’integrazione del contraddittorio, nessuno degli eredi della A. ( P.G., E. e S.) si costituiva in giudizio.

Con sentenza non definitiva del 29.6.2015, la Corte d’Appello di Catania accoglieva l’appello e dichiarava legittimo il recesso esercitato dalla Prudential Assicurazioni s.p.a.; condannava la AXA s.p.a. e la Centurion Immobiliare s.p.a. al pagamento, in favore degli appellati, a titolo di indennità per la cessazione del rapporto, dell’importo di Euro 1.927,99, oltre a interessi a far data dal recesso; condannava gli appellati in solido al pagamento, in favore degli appellanti, dell’importo di Euro 32.278,56, oltre interessi a far data dalla domanda; rigettava la domanda di condanna al pagamento del risarcimento dei danni formulata dalla EAS s.a.s.; rimetteva la causa sul ruolo per la quantificazione degli importi ancora dovuti dagli appellati e l’esame della domanda di restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza appellata.

Espletata CTU di natura contabile, con sentenza n. 603/2016, depositata in data 12.4.2016, la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’appello, condannava gli appellati in solido al pagamento, in favore degli appellanti, dell’importo complessivo di Euro 50.980,54, oltre ad interessi legali a far data dalla domanda; condannava gli appellati in solido alla restituzione degli importi corrisposti in esecuzione della sentenza di primo grado, pari a complessivi Euro 418.710,87, con gli interessi legali dai singoli pagamenti sino al soddisfo; condannava gli appellati in solido a rifondere, in favore degli appellanti, le spese di tutti i gradi, ponendo definitivamente le spese di CTU a carico degli appellati.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione P.E., P.G. e P.S., eredi della socia accomandante di EAS s.a.s., sulla base di sette motivi; resistono AXA e Centurion con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato le rispettive memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo si appunta sulla dedotta “Errata condanna in solido dei ricorrenti, quali eredi della socia accomandante della EAS s.a.s. A.A.; violazione degli artt. 2313,2320,2324 c.c.; errata invocazione dell’art. 2495 c.c., da parte del Giudice d’appello”, là dove i ricorrenti osservano che l’integrazione del contraddittorio era stata erroneamente disposta nei loro confronti dalla Corte d’Appello di Catania in base all’art. 2495 c.c., norma che riguarda le società di capitali e che quindi non è applicabile alle società di persone, come nella fattispecie. Infatti, in base all’art. 2313 c.c., i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita. La sentenza impugnata nulla aveva dedotto in ordine alla ragione per la quale gli odierni ricorrenti fossero tenuti a rispondere in solido e per l’intero di tutti i debiti, nonostante l’art. 2324 c.c., preveda che l’estensione della responsabilità al socio accomandante resti confinata al valore del conferimento o alla quota di liquidazione risultante dal bilancio della liquidazione. Dalla sentenza impugnata risulta che il precetto di pagamento era stato notificato nel 2002 e che i pagamenti erano avvenuti comunque tutti dopo tale data, per cui il bilancio di liquidazione della EAS non avrebbe mai potuto risentire di pagamenti da parte di AXA. Del resto, il bilancio di liquidazione attesta che, non essendoci attivo, non si procedeva alla determinazione del piano di riparto. Pertanto, l’eventuale condanna avrebbe dovuto essere limitata alla quota di partecipazione sociale della de cuius, A.A..

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione degli artt. 2312,2313,2324 c.c., errata applicazione dell’art. 2495 c.c., ai fini della condanna in solido dei ricorrenti, benché eredi del socio accomandante. Omesso esame di un fatto decisivo della controversia, relativamente alla responsabilità patrimoniale degli eredi del socio accomandante: art. 360 c.p.c., n. 5”. Secondo i ricorrenti risultavano dimostrate due circostanze incompatibili con il decisum della sentenza impugnata: la prima, per cui la società era sopravvissuta alla dichiarazione di cancellazione (la Axa aveva dichiarato di aver effettuato il pagamento a favore della EAS a seguito di atto di precetto da quest’ultima notificatole); la seconda, che il pagamento degli importi di cui alla condanna in solido era avvenuto in favore della EAS, per cui i ricorrenti non potevano rispondere in solido di importi dovuti dalla società in accomandita semplice, perché soci accomandanti. Si evidenziava che, dei tre importi che la sentenza impugnata individuava, i primi due rappresentassero debiti risalenti al periodo in cui la Eas s.a.s. era in vita (anche se lo stesso CTU li considerava privi di qualsiasi fondamento); mentre il terzo e più cospicuo (Euro 418.710,87) sarebbe stato corrisposto in favore della EAS, come affermava la sentenza impugnata, in un periodo variabile tra i 2 e i 5 anni successivi all’avvenuta cancellazione. In entrambi i casi, la Corte d’Appello ometteva di individuare le ragioni per cui i soci accomandanti sarebbero divenuti illimitatamente responsabili, mentre era evidente che tale responsabilità, ex art. 2324 c.c., poteva estendersi limitatamente alla quota liquidata. Ma nessuna quota poteva essere stata liquidata al momento della cancellazione, dal momento che AXA affermava (e la sentenza condivideva) di aver pagato 2/5 anni dalla cancellazione sempre a favore della EAS s.a.s.. Infatti, non risulta alcun importo liquidato ai soci in sede di cancellazione. In subordine, si operava una distinzione tra i presunti crediti derivanti dalle domande della controparte, avanzate pendente societate e quelli connessi alla restituzione delle somme asseritamente corrisposte.

2.1.- I due motivi, che per la stretta connessione, vanno valutati unitariamente, sono inammissibili.

2.2. – Le società controricorrenti (AXA Assicurazioni s.p.a. e Centurion Immobiliare s.p.a.), in via preliminare, hanno eccepito il passaggio in giudicato, nei confronti degli odierni ricorrenti, della sentenza non definitiva n. 1110/2015, con la quale la Corte d’appello di Catania, in sede di rinvio, ha dichiarato legittimo il recesso a suo tempo intimato dalla Prudential Assicurazioni s.p.a., condannando gli appellati, in solido, al pagamento di Euro 32.278,56, a titolo di restituzione degli incentivi indebitamente trattenuti dall’ex agente. Non avendo i ricorrenti impugnato la suddetta sentenza (avverso la sentenza non definitiva risulta proposto ricorso per cassazione dalla sola P.M.G., respinto da questa Corte con la pronuncia 23324/2019), nei loro confronti si è formato il giudicato interno, sia per le parti espressamente decise sia per quanto riguarda la ratio decidendi ovvero sulle premesse, in fatto e in diritto, poste a fondamento della pronuncia, tra le quali rientrava l’applicazione del principio di solidarietà passiva in capo ai due soci di EAS ovvero P.M.G. e A.A., dante causa quest’ultima degli odierni ricorrenti.

La suddetta sentenza richiama la citata ordinanza di integrazione del contraddittorio del 10.3.2014, con cui il Consigliere Istruttore del giudizio de quo aveva precisato che, stante l’estinzione della EAS s.a.s., non poteva farsi distinzione fra soci accomandatari e soci accomandanti. Pertanto, nella citata sentenza non definitiva era espresso il principio della solidarietà passiva in capo ai due soci di EAS, capo autonomo di pronuncia mai impugnato dai ricorrenti.

E, come è noto, il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; sono privi del carattere dell’autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di semplici presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 24358 del 2018; Cass. n. 21576 del 2017). Costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; laddove la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).

3.1. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la “Erroneità della sentenza per aver disatteso le risultanze della CTU e condannato, in assenza di prove, la EAS e comunque con essa gli attuali ricorrenti al pagamento di Lire 57.692.925, oggi Euro 29.795,91 a titolo di “quietanze non restituite al preponente”. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702 c.c., artt. 115,116 c.p.c.”, poiché, la circostanza riferita nella sentenza, secondo la quale l’appellata non aveva mai disconosciuto la relativa sigla apposta sul tabulato, per cui doveva ritenersi riferibile alla EAS la sigla medesima, risultava esser frutto di un’errata lettura della CTU. La Corte d’Appello invertiva erroneamente l’onere della prova attribuendo valore di prova documentale a un brogliaccio mai approvato o riconosciuto dalla EAS, in violazione dell’art. 2702 c.c.; e, in tal modo, è stato violato l’art. 115 c.p.c. e cioè l’obbligo di porre a base della decisione le prove offerte dalle parti.

3.2. – Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte d’Appello tenuto conto delle circostanze di fatto dedotte e rilevate dal CTU”, in quanto la Corte di merito non ha considerato fatti accertati dal CTU, conducendo con ciò all’inidoneità di un tabulato a fondare elemento di prova.

3.3. – Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la “Erroneità della sentenza per aver disatteso le risultanze della CTU e condannato, in assenza di prove, la EAS e comunque, con essa, gli attuali ricorrenti al pagamento di Lire 41.019.158, oggi Euro 21.184,53 per rilievi contabili successivi alla consegna agenziale”, là dove la Corte territoriale viene nuovamente criticata per avere asseritamente invertito l’onere della prova e violato le regole processuali dettate dagli artt. 115 e 116 c.p.c..

3.4. – Con il sesto motivo, i ricorrenti deducono l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte d’Appello tenuto conto delle circostanze di fatto dedotte e rilevate dal CTU anche in merito all’avvenuto riconoscimento del credito di Lire 41.019.158".

4. – Stante la loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi di ricorso, dal terzo al sesto, vanno esaminati e decisi congiuntamente.

4.1. – Essi presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.

4.2. – In termini generali va premesso che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Quando nel ricorso per cassazione viene denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il vulnus deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 15177 del 2002; Cass. n. 1317 del 2004; Cass. n. 635 del 2015).

4.3. – Sotto altro profilo, costituisce principio altrettanto consolidato che il novellato paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consenta di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Detto controllo concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente (nella specie) avrebbe dunque dovuto anche specificamente e contestualmente indicare con precisione, oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’e’ idonea e spcifica indicazione.

4.4. – Quanto alle residue censure, si rilevano quelle di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che non hanno ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto la critica del ragionamento che il Giudice di rinvio ha effettuato sulle risultanze della CTU, per cui la censura è del tutto inammissibile. Parimenti, è inammissibile l’indicazione della violazione delle norme di legge, senza argomentazioni che colleghino i passi delle sentenze e le norme asseritamente violate.

Con riferimento all’asserita contrarietà della sentenza impugnata con la CTU, è evidente che vi sia un travisamento della funzione propria del CTU, che è quella di ausiliario del Giudice e non certo quella di pronunciarsi sulla sufficienza probatoria dei documenti, né di valutare le risultanze processuali, compiti propri del Giudice, che decide senza poter essere sindacato nel merito innanzi a questa Suprema Corte. Si precisa che non è vero che solo in sede di svolgimento della CTU la difesa delle attuali controricorrenti avesse fatto presente che il tabulato si era formato nel contraddittorio delle parti: nel verbale di deposito dei documenti in data 2.3.1993 si specifica che i tabulati recano la sottoscrizione del legale rappresentante della EAS e dell’incaricato della Prudential; nella comparsa conclusionale innanzi al Tribunale, la difesa di AXA precisa che i tabulati erano stati redatti e sottoscritti in contraddittorio tra le parti alla presenza dell’Ufficiale Giudiziario nel corso delle operazioni di riconsegna, avvenute nei giorni 12-16 e 30 novembre 1992; ciò era ribadito nell’atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c.. Invero, la parte era decaduta dall’eccezione di disconoscimento, in quanto solo in sede di svolgimento della CTU la P. faceva valere una contestazione generica. E la sentenza impugnata, lungi dal disattendere le risultanze della CTU, le ha poste a fondamento della sua decisione, attribuendo ai documenti la valutazione giuridica che compete esclusivamente al Giudicante. La controparte nulla prova sulla non debenza dell’importo richiesto ovvero sulla riconsegna da parte sua di tutte le polizze indicate in elenco tale da azzerare il suo debito. Anzi, la stessa P. dichiarava di aver consegnato poche polizze di sua spettanza.

4.5. – Con riferimento al quinto e sesto motivo, si rileva che dette censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

5. – Infine, con il settimo motivo, i ricorrenti censurano la “restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.” in quanto la Corte d’appello avrebbe scambiato l’atto di precetto con la prova dell’avvenuto pagamento, così violando l’art. 115 c.p.c., ed erroneamente invertendo l’onere della prova.

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – L’art. 336 c.p.c. (così riformato dalla L. n. 353 del 1990, art. 48) disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue ulteriormente che, nel giudizio di appello, non configura una domanda nuova la richiesta di restituzione delle somme versate in forza della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado (Cass. n. 3544 del 2013; Cass. n. 26171 del 2006). Inoltre, la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello (Cass. n. 16284 del 2015; Cass. n. 814 del 2015; Cass. n. 17227 del 2012).

Nella specie, la domanda, già formulata nel giudizio di cassazione, risultava esser stata correttamente riproposta nel presente giudizio di rinvio, là dove i P. (senza contestare nello specifico di avere ricevuto il pagamento delle somme indicate dalla difesa della controparte) si limita a contestare la prova dei pagamenti ex adverso dedotti (contenuta nell’allegato precetto). Tuttavia, come correttamente affermato dalla Corte distrettuale, siffatta produzione, già effettuata nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione è affatto ammissibile, dovendosi peraltro evidenziare che essa non attiene prettamente all’oggetto del giudizio, ma alla finalità di ripristinare le posizioni delle parti a seguito della riforma della sentenza già eseguita.

6. – Il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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