Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.34972 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24900/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

C.E., elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell’avv. Claudio Lucisano che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente, con l’avv. M. Sonia Vulcano del Foro di Roma e l’avv. Natale Mangano del Foro di Torino;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 438/38/15, pronunciata il 23.1.2015 e depositata il 17.4.2015;

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 30 settembre 2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

RILEVATO

che:

1. C.E., impugnava due distinti avvisi di accertamento per gli anni 2006 e 2007 con cui l’Agenzia delle Entrate di Asti, rilevato che essa non aveva presentato le relative dichiarazioni dei redditi, aveva accertato, ai fini IRPEF, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 commi 4, 5 e 6, per l’anno 2006 un reddito complessivo netto di 30.593,96 Euro e per l’anno 2007, un reddito complessivo netto di 38.997,16 Euro, sui quali determinava le relative imposte, addizionali, interessi e sanzioni. La pretesa erariale scaturiva dall’accertamento in capo alla contribuente del mantenimento per l’intero biennio di quattro cavalli detenuti in compossesso con la madre al 50%. Assumeva la ricorrente che i cavalli erano stati tutti ritirati da gare e/o concorsi; che non erano mai state rinnovate le iscrizioni alle rispettive federazioni, indispensabili per prendere parte all’attività agonistica, talché non si trattava di cavalli da corsa o da equitazione, ma di animali da affezione; infine che nel biennio, oltre ai redditi da lavoro dipendente aveva percepito solo un compenso di 733,41 Euro per la monta di una cavalla.

La Commissione tributaria provinciale di Asti rigettava i ricorsi della contribuente ritenendo che i cavalli costituissero sicuri elementi indicatori di capacità contributiva, con riferimento ai quali la C. non aveva fornito alcuna prova dell’inesistenza della contestata capacità reddituale.

La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 438/38/15, depositata il 17.4.2015, accoglieva, tuttavia, l’appello della C., ritenendo che a seguito del ritiro dei predetti animali da qualsiasi attività agonistica o comunque di equitazione, gli stessi dovevano considerarsi semplici animali di affezione, privi di rilievo ai fini fiscali.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la contribuente.

Il ricorso è stato fissato nell’adunanza camerale del 30 settembre 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., la controricorrente ha depositato una memoria insistendo nell’accoglimento delle proprie richieste.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo ed il secondo motivo l’Agenzia ricorrente deduce la identica violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e ss., nella formulazione previgente alla novella introdotta dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, nonché dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ritenendo erronea la sentenza della C.T.R. secondo cui il Giudice di merito debba operare “una puntuale verifica sull’entità del costo sostenuto ed effettuare una distinzione tra le varie tipologie di cavalli, da cui non si può prescindere per l’applicazione dell’indice di calcolo considerato dal redditometro ed ancor meno, senza valutare in concreto la reale situazione e vagliare le prove offerte dalla contribuente”.

Le doglianze dell’Ufficio appaiono meritevoli di accoglimento.

Invero l’accertamento sintetico previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, si basa sulla applicazione di determinati coefficienti moltiplicatori previsti per alcuni beni indice di cui il contribuente abbia la disponibilità. Tali elementi di fatto certi (elementi di spesa) sono analiticamente individuati dai decreti ministeriali attuativi richiamati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e, in presenza di uno o più beni o servizi compresi nelle specifiche tabelle, l’attività degli Uffici resta vincolata all’applicazione degli indici e dei coefficienti moltiplicatori previsti dai decreti ministeriali attuativi. Si tratta, infatti, di una metodologia che valorizza gli indici esteriori idonei ad esprimere il tenore di vita del contribuente. Tali spese rappresentano, quindi, lo strumento tecnico attraverso cui la ricchezza presuntivamente occultata all’Erario si rivela.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo Sez. 5, 02/08/2021 n. 22137), la determinazione del reddito delle persone fisiche effettuata con metodo sintetico sulla base degli indici previsti dal D.M. 10 settembre 1992 e dal D.M. 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27811). L’allegazione di elementi indicativi di capacità contributiva accertati mediante redditometro costituisce, pertanto, circostanza tale da comportare l’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21700; Cass., Sez. V, 17 marzo 2006, n. 5991), ovvero tali da dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., Sez. VI, 10 agosto 2016, n. 16912). In tal caso l’amministrazione finanziaria è legittimata a risalire, secondo il meccanismo dell’art. 2727 c.c., da un fatto noto (l’esistenza degli elementi di capacità contributiva) a quello ignoto ossia la sussistenza di un certo reddito; Cass., Sez. VI, 14 febbraio 2014, n. 3445).

Questa Corte in taluni casi ha ritenuto che, secondo la normativa di riferimento, costituisse indice di particolare capacità contributiva non il generico possesso di cavalli, ma solo di quelli da equitazione o da corsa, dovendosi intendere ricompresi, per come specificato dallo stesso documento di prassi (Circolare n. 27 del 1981), sia i cavalli da concorso ippico, che quelli da maneggio. A tal fine ha ritenuto che la ratio delle norme è evidente nell’attribuire solo ai cavalli adibiti a tali specifiche attività, per la particolare cura e addestramento che gli stessi richiedono, la qualità di indici di particolare capacità contributiva (Sez. VI, 21/10/2015, n. 21335 e Sez. VI, 26/09/2017, n. 22386). L’esclusione dalla categoria prevista dal cd. redditometro non appare tuttavia applicabile nel caso di specie in quanto la sussunzione dell’ufficio dei cavalli in questione (ben quattro) nella categoria dei cavalli da corsa o da equitazione (da cui non può escludersi il semplice maneggio) non risulta in alcun modo contestata dalla contribuente, la quale non ha fornito alcun elemento idoneo a contrastare l’assunto dell’ufficio, sottraendosi così all’onere che incombeva sulla medesima di offrire la prova “in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma” (cfr. Cass., Sez. V, 01/09/2016, n. 17487).

Invero non appare ammissibile, ai fini di cui trattasi, la creazione di una categoria dei cavalli da affezione, ossia di animali domestici detenuti per affetto, non prevista dal dettato normativo, mentre non può riconoscersi al giudice tributario il potere di togliere agli indicatori sintetici di reddito in parola la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo viceversa limitarsi a valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (cfr. Cass., Sez. V, 19 dicembre 2011, n. 27545).

In sostanza, nel caso di specie, il dato normativo impone di considerare il cavallo come un elemento indicatore di capacità contributiva e, pur spettando al giudice del rinvio il compito di valutare, riguardo al possesso di cavalli, l’effettiva sussistenza degli elementi a discarico precisati in memoria – purché già ritualmente introdotti, con opportuna documentazione, nei gradi di merito – tale elemento non può essere privato del valore presuntivo che il legislatore ha connesso alla sua disponibilità.

Alla luce di tali argomentazioni, appare evidente che la C.T.R., ritenendo che i cavalli detenuti dalla contribuente non potessero costituire indice rivelatore di capacità reddituale, si è discostata dai principi affermati da questa Corte in tema di accertamenti sintetici e dei relativi oneri probatori.

Deve infine ritenersi assorbito il terzo motivo con cui l’Agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la C.T.R. faceva riferimento al “nuovo redditometro”, statuendo che “prive di pregio appaiono le censure erariali in ordine all’applicazione del nuovo redditometro introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22.

Il ricorso va quindi accolto con rinvio al giudice a quo anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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