Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.36001 del 22/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9698/2013 R.G. proposto da:

E.E.R., con gli avvocati Luigi Placida e Mena Chironna nel domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucilla Anastasio, in Roma, alla via Filippo Lippi, n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sezione di Milano, n. 22/43/2012, pronunciata il 20 settembre 2011 e depositata il 15 febbraio 2012, non notificata;

Nonché sul ricorso iscritto al n. 9701/2013 R.G. proposto da:

Le Clavier s.a.s., di E.E.R. & C., del sig. E.E.R., quale socio accomandatario della predetta società e della sig.a I.H., quale socia accomandante, tutti con gli avvocati Luigi Placida e Mena Chironna nel domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucilla Anastasio, in Roma, alla via Filippo Lippi, n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sezione di Milano, n. 21/43/2012, pronunciata il 20 settembre 2011 e depositata il 15 febbraio 2012, non notificata;

Nonché sul ricorso iscritto al n. 9704/2013 R.G. proposto da:

la sig.a I.H., con gli avvocati Luigi Placida e Mena Chironna nel domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucilla Anastasio, in Roma, alla via Filippo Lippi, n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, Sezione di Milano, n. 21/43/2012, pronunciata il 20 settembre 2011 e depositata il 15 febbraio 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 giugno 2021 dal Cons. Fracanzani Marcello M..

RILEVATO

Quanto al ricorso n. 9698/2013 R.G.:

Il contribuente E.E.R. era attinto da avviso di accertamento per l’anno 2003, non avendo esposto dichiarazione dei redditi, omettendo la presentazione del Modello Unico 2004, donde l’Ufficio rideterminava sinteticamente il suo reddito, in parte desumendolo dalla sua partecipazione come accomandatario in una s.a.s., parimenti accertata, in parte dalla titolarità di beni-indice di capacità contributiva, individuati in base all’anagrafe tributaria e determinati nel loro importo previo contraddittorio endoprocedimentale mediante invio di questionario cui è stata data risposta con produzione documentale.

Reagiva il contribuente, protestando l’estraneità all’accaduto, riferibile unicamente al proprio commercialista cui è imputabile l’omessa presentazione della dichiarazione, da cui è scaturito il provvedimento impositivo in contestazione. Al parziale accoglimento in CTP interponeva appello l’Ufficio, mentre il contribuente spiegava impugnazione incidentale, sortendo il rigetto integrale delle istanze private e la conferma della ripresa a tassazione. Donde ricorre per cassazione il contribuente, affidandosi a tre motivi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

Quanto al ricorso n. 9701/2013 R.G.:

La società contribuente Le Clavier s.a.s., di E.E.R. & C. era attinta da avviso di accertamento per l’anno 2003, non avendo esposto dichiarazione dei redditi, omettendo la presentazione del Modello Unico 2004, donde l’Ufficio rideterminava sinteticamente il suo reddito con metodo induttivo, non essendo state rinvenute le scritture contabili, in tesi nella disponibilità del professionista contabile. A seguito del questionario inviato dall’Ufficio, si apriva la fase del contraddittorio endoprocedimentale e richiesta di accertamento con adesione, non approdata a buon esito perché la documentazione prodotta dalla parte contribuente risultava parziale in quanto nell’affermata disponibilità del solo predetto professionista contabile che la rilasciava in tempo non più utile per intervenire in sede amministrativa.

Reagiva la società contribuente, protestando l’estraneità all’accaduto, riferibile unicamente al proprio commercialista cui è imputabile l’omessa presentazione della dichiarazione, da cui è scaturito il provvedimento impositivo in contestazione a suo carico, nonché dei soci accomandante ed accomandataria, contestava altresì il metodo induttivo e la quantificazione del reddito. Avverso il rigetto di primo grado interponeva appello la società contribuente, non trovando apprezzamento delle proprie ragioni, donde ricorre per cassazione, affidandosi a tre articolati motivi, mentre l’Avvocatura generale dello Stato si è riservata di spiegare difese in udienza.

Quanto al ricorso n. 9704/2013:

La siga I.H. era destinataria di cartella di pagamento a seguito di avviso di accertamento per ripresa a tassazione sull’anno di imposta 2003 in ragione della mancata esposizione dei redditi della società Le Calvier s.a.s. di E.E.R. & C. ove la contribuente deteneva una partecipazione del 30%, con conseguente ricostruzione induttiva per disponibilità di ulteriori beni-indice di maggiore capacità contributiva nell’atto di riferimento, individuati a seguito di questionario.

Reagiva la contribuente affermando di non esserle mai stato notificato l’atto impositivo presupposto ed ottenendo ragione dalla commissione di prossimità, sull’assunto che dagli atti fosse emerso come i messi comunali avessero fatto accesso all’indirizzo risultante dall’anagrafe, senza riuscire ad individuare la residenza o il domicilio della contribuente, donde era stata depositata la busta con l’atto notificando presso la casa comunale ed inviata raccomandata ex art. 140 c.p.c., il cui avviso di ricevimento non era stato prodotto, sicché incompleta deve ritenersi la procedura notificatoria ed illegittima la cartella.

Di diverso avviso il collegio d’appello evocato dall’Ufficio che motivava sull’esame degli atti di causa per cui all’impossibilità di reperire la contribuente presso la residenza risultante del terminale anagrafico -e dalla quale non risultava trasferita- seguiva raccomandata alla contribuente.

Avverso questa sentenza propone ricorso la contribuente affidandosi ad unico motivo di ricorso, articolato su due profili, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

Occorre preliminarmente dare atto che alla presente adunanza vengono trattate contestualmente le controversie attinenti alla s.a.s., nonché quelle relative ai soci accomandante ed accomandatario, ricostruendo così il litisconsorzio e riunendo al primo gli altri due ricorsi.

Al proposito, la Corte rammenta che, fin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 14815 del 4 giugno 2008, è stato statuito come “In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio” (conforme, tra le molte, Cass. 20 aprile 2016 n. 7789). Tale principio è stato affinato ritenendo non necessario il rinvio al primo giudice, disponendo le riunione per economia processuale e rispetto della ragionevole durata del processo quando: a) vi sia identità di causa petendi dei ricorsi; b) simultanea proposizione degli stessi avverso sostanziale avviso unitario di accertamento da cui scaturiscono le rettifiche reddituali per società e soci; c) simultanea trattazione degli afferenti processi in entrambi i gradi di merito; d) identità sostanziale delle decisioni ivi adottate (cfr. Cass. S.U. 3830/2010, Cass. V, n. 3789/2018).

Si può quindi procedere all’esame dei singoli motivi.

Quanto al ricorso sub r.g.n. 9698/2013.

Venegono proposti tre motivi di doglianza.

1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché per omessa ed insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia, nella sostanza lamentandosi che l’Ufficio fosse a conoscenza – in ragione dell’accertamento alla società in accomandita semplice, di cui il ricorrente era accomandatario – che la dichiarazione dei redditi non era stata esposta per fatto imputabile unicamente al commercialista inadempiente e, per ciò stesso, evocato in giudizio civile per responsabilità professionale grave, sicché l’Ufficio avrebbe dovuto chiedere la documentazione attestante la reale capacità contributiva del ricorrente, donde vi sarebbe omessa motivazione dell’atto impositivo circa i propri presupposti, causa di annullamento, su cui però la sentenza gravata non avrebbe adeguatamente argomentato. Donde l’obbligo di motivazione richiesto dall’art. 42 sopra invocato dovrebbe intendersi esteso alle valutazioni che nel caso concreto hanno ritenuto necessario l’accertamento sintetico.

Occorre premettere che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020). Il motivo è dunque ammissibile e può essere scrutinato.

Dalla lettura della sentenza qui in scrutinio (pag. 3, quinto capoverso), emerge come il giudicante abbia preso posizione in ordine alla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e della sua riferibilità. Ed infatti, la CTR rileva la piena conoscenza dell’accaduto da parte del contribuente, sin dall’anno 2005, stigmatizzandone l’inerzia in più occasioni ove avrebbe potuto intervenire per chiarire la posizione o porre (parziale) rimedio all’accaduto. All’inerzia del contribuente, la CTR aggiunge altresì la sua culpa in vigilando per non essersi attivato nel verificare l’adempimento del dovere del professionista da lui officiato. Ne’ affrancano il contribuente dai suoi doveri a fini fiscali la successiva presa di distanza o la citazione a giudizio per responsabilità professionale ovvero la denuncia per truffa nei confronti del commercialista fedifrago. L’omessa presentazione della denuncia dei redditi è dunque legittimamente riferibile al contribuente ed un tanto legittima l’Ufficio alla ricostruzione induttiva del reddito. Sul punto è intervenuta più volte questa suprema Corte di legittimità, affermando che “In tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, nonché il comportamento fraudolento del medesimo professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24 ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che il contribuente non avesse assolto a tale onere probatorio, essendosi limitato a presentare una denuncia nei confronti del commercialista, senza neppure allegare le modalità con le quali avrebbe celato il proprio comportamento fraudolento) (cfr. Cass. V, n. 19422/2018; eadem n. 6930/2017).

Il motivo è quindi infondato e dev’essere rigettato.

2. Con il secondo motivo si prospettano ancora censure ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992; nonché ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia. Nella sostanza si lamenta che il giudice di appello non abbia tenuto in considerazione né motivato in ordine alla congruità dei parametri e coefficienti utilizzati per l’adozione dell’atto impositivo.

Ricordato quanto detto al punto che precede in ordine all’ammissibilità di motivi con più censure ex art. 360 c.p.c., precisato che si tratta di mancata presentazione di denuncia dei redditi riferibile al contribuente, occorre rilevare come sia fermo orientamento di questa suprema Corte di legittimità l’assunto per cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, prevede che gli uffici finanziari possano determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, e tale metodo di accertamento dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su di essi e resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 16912 del 10/8/2016; Cass. n. 17793 del 19/7/2017; Cass. n. 27811 del 31/10/2018, Cass. n. 17534 del 28/06/2019).

I giudici di merito hanno correttamente applicato il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, nella ipotesi che il contribuente ometta di presentare la dichiarazione, “la legge abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti” (Cass. n. 19174/2003; n. 2605/2000): ciò comporta l’inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente – che nel caso di specie non vi ha provveduto, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito – fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (cfr. Cass. n. 9755/2003; n. 17016/2002). (Così Cass. V., n. 18865/2005).

Il motivo è quindi infondato e dev’essere rigettato.

3. Con il terzo motivo, si prospettano ancora censure ex art. 360 c.p.c., n. 3, per falsa applicazione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, primo periodo, nonché degli artt. 2730,2732 e 2733 c.c., oltre a censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia. Diversamente detto, la censura contesta il mantenimento dell’irrogazione delle sanzioni in capo al contribuente, pur ritenendo accertata la colpa esclusivamente in capo al professionista infedele, donde sarebbe errata la sentenza qui in esame, per falsa applicazione della disciplina sanzionatoria di riferimento, nonché per insufficiente motivazione. Sennonché, come motivato supra al p. 1, è consolidato orientamento di questa suprema Corte di legittimità che l’incarico al professionista non affranchi il contribuente dalla diligenza sulla vigilanza, potendosi liberare solo ove dimostri – con prova a suo carico – che il professionista ha usato non banali strumenti di occultamento del proprio inadempimento (cfr. Cass. V, n. 24535/2017).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Quanto al ricorso sub r.g.n. 9701/2013.

4. Con il primo motivo si solleva violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, specificamente sull’eccezione di insussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo in presenza di non imputabilità dell’omissione dichiarativa, in quanto riferibile al solo professionista officiato. In altri termini, la CTR non avrebbe motivata adeguatamente in ordine alla riferibilità al solo commercialista dell’omissione di esposizione dei redditi societari, da cui ha trovato scaturigine l’accertamento alla base della controversia che qui occupa.

Sennonché, dalla lettura della gravata sentenza, segnatamente dal quarto capoverso di pag. 3 in avanti, la CTR rappresenta la culpa in vigilando dell’accomandatario della società accertata, che risultava sapere già dal 2005 degli inadempimenti del proprio commercialista e non si è adoperato per porvi rimedio. Alla sua inerzia si aggiunge quindi la mancata vigilanza che rende riferibile alla parte contribuente l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.

Sul punto, in modo precipuo, questa Corte non solo ha ritenuto sussistere una precisa responsabilità del contribuente per l’esposizione dei redditi, che non può essere obliterata con una delega al professionista incaricato (Cass. V, n. 19422/2018), bensì ha anche chiarito a quali condizioni il contribuente possa ritenersi esente da responsabilità sia a fini sanzionatori che di debenza fiscale. Ed infatti, in materia di violazioni di leggi tributarie, la L. n. 423 del 1995, art. 1, il quale prevede la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie (per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta) qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, dei professionisti indicati nella legge citata che abbiano agito in costanza del loro mandato professionale, va interpretato – al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento ed in coerenza con quanto previsto dal sopravvenuto D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, norma di carattere più generale rispetto alla precedente – nel senso che non solo in fase di riscossione ma anche in sede contenziosa la non punibilità del contribuente possa essere dimostrata attraverso la prova, il cui onere grava su quest’ultimo, di aver fornito al professionista incaricato, denunziato all’Autorità giudiziaria, la provvista di quanto dovuto all’Erario e di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato, non occorrendo il rispetto degli ulteriori adempimenti procedurali previsti dalla citata L. n. 423 (istanza di sospensione da parte del contribuente con allegazione della denuncia del reato all’Autorità giudiziaria) (così Cass. V, n. 24535/2017).

I giudici di merito hanno correttamente applicato il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, nella ipotesi che il contribuente ometta di presentare la dichiarazione, “la legge abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti” (Cass. n. 19174/2003; n. 2605/2000): ciò comporta l’inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente – che nel caso di specie non vi ha provveduto, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito – fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (cfr. Cass. n. 9755/2003; n. 17016/2002). (Così Cass. V., n. 18865/2005).

Il motivo è quindi infondato e dev’essere rigettato.

5. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta congiuntamente censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme ed omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, segnatamente, per il primo profilo, omissione di pronuncia delle norme di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 55, per non aver considerato le detrazioni ed i versamenti effettuati in corso d’anno di imposta per cui è mancata l’esposizione dei redditi per fatto no riferibile alla parte contribuente.

Con il secondo profilo del motivo si censura omissione di pronuncia sulla rideterminazione della pretesa erariale per errata determinazione della media dei ricavi e delle percentuali di costo del venduto e del ricarico medio del settore.

Il motivo è inammissibile sotto plurimi aspetti.

5.1. Per il primo profilo, il ricorso non contiene i passaggi degli atti processuali dei gradi precedenti da cui desumere che la domanda era stata posta al giudice d’appello e non è nuova; né il profilo è esaustivo nella sua formulazione, limitandosi ad una contestazione ed alla riproduzione tra virgolette di norme invocate e di giurisprudenza costituzionale. Il motivo d’appello del quale si lamenta l’omesso esame non risulta infatti compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. V, n. 17049/2015; n. 29368/2017). E’ stato chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289; 28 giugno 2017, n. 16147).

Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere (…) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111 Cost., comma 2 e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. V, n. 8425/2020).

5.2. Con il secondo profilo del secondo motivo si riporta una serie di conteggi relativi ai ricavi ed altri elementi contabili della società accertata nel periodo 1999-2002, lamentandone l’omissione di pronuncia.

Ribandito quanto sopra circa la mancata riproduzione degli atti dei gradi di merito dove la questione risulti essere stata posta al giudice d’appello, preme evidenziare che non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).

Come affermato da questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – nel testo antecedente alla modifica disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, e quindi applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata antecedentemente alla data del 11 settembre 2012 deve essere dedotto mediante esposizione chiara e precisa del fatto controverso e delle ragioni specifiche per cui la motivazione deve essere ritenuta insufficiente. Peraltro il fatto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve concretarsi in un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso. E di tale fatto deve essere indicata anche la natura “decisiva” ai fini del decidere (Cass., Sez. V, n. 16655/2011).

Il motivo è quindi radicalmente inammissibile.

6. Con il terzo motivo, si prospettano ancora censure ex art. 360 c.p.c., n. 3, per falsa applicazione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, primo periodo, nonché degli artt. 2730,2732 e 2733 c.c., oltre a censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia. Diversamente detto, la censura contesta il mantenimento dell’irrogazione delle sanzioni in capo al contribuente, pur ritenendo accertata la colpa esclusivamente in capo al professionista infedele, donde sarebbe errata la sentenza qui in esame, per falsa applicazione della disciplina sanzionatoria di riferimento, nonché per insufficiente motivazione. Sennonché, come motivato supra al p. 1, è consolidato orientamento di questa suprema Corte di legittimità che l’incarico al professionista non affranchi il contribuente dalla diligenza sulla vigilanza, potendosi liberare solo ove dimostri -con prova a suo carico- che il professionista ha usato non banali strumenti di occultamento del proprio inadempimento (cfr. Cass. V, n. 24535/2017; n. 19422/2018).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Quanto al ricorso sub r.g.n. 9704/2013:

7. Viene proposto unico articolato motivo di ricorso.

7.1.1. Con il primo profilo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c. ed erronea interpretazione dei presupposti applicativi, nella sostanza lamentando vi sia stata contraddizione nella relata di notificazione dei messi comunali di Milano, dove hanno indicato destinatario “assente”, mentre non sarebbero stati in grado di individuarne l’appartamento. Si contesta così la procedura di cui all’art. 140 c.p.c., non avendo potuto affiggere avviso alla porta dell’abitazione non individuata, né risulta che il plico con l’atto notificando sia stato depositato alla casa comunale, né che sia stata inviata o, comunque, ricevuta la raccomandata con avviso di ricevimento che informa dell’avvenuto deposito presso la casa comunale.

7.2. Con il secondo profilo si lamenta violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa ed insufficiente motivazione in merito al perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c. in quanto è stata prodotta una mera copia della raccomandata priva dell’avvenuto ricevimento.

7.3. Così come posto, il motivo è radicalmente inammissibile. E’ infatti orientamento consolidato di questa Corte che la contestazione sulla regolarità della notifica, sia come violazione di legge, sia come fatto processuale, sia come censura motivazionale, debbano spiegarsi attraverso la riproduzione o la trascrizione integrale del documento ai fini dell’esaustività della doglianza e per consentire a questa Corte di legittimità di esaminare la doglianza compiutamente (cfr. Cass. V, n. 1150/2019; n. 31038/2018; n. 5185/2017).

Il motivo è quindi inammissibile.

8. In definitiva, i ricorsi debbono essere riuniti, sono infondati e debbono essere rigettati. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce al ricorso r.g.n. 9698/2013 i ricorsi r.g.n. 9701/2013 e r.g.n. 9704/2013; rigetta i tre ricorsi riuniti e condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida complessivamente in Euro cinquemila/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2021

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