Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.36091 del 23/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25468/2019 proposto da:

G.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Fiumara Piero Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Messina, Procura della Repubblica di Messina;

– intimati –

avverso la sentenza n. 749/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, pubblicata il 21/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – La vicenda processuale è riassunta come segue dalla sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 13 settembre 2012 G.S. ha proposto appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Messina ha dichiarato inammissibile la querela di falso da lei proposta avverso la Delib. Consiglio Comunale n. 9 del 1991 e l’atto del 4 giugno 1992, con cui “il Comune aveva relazionato in merito al ricorso straordinario proposto dalla G.”; con detta pronuncia il giudice di primo grado aveva affermato che la querela non era “strumento esperibile per contrastare i contenuti ideologici di un documento”.

Il Comune di Messina si è costituito eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la nullità dell’atto introduttivo in quanto risultava essere mancante della indicazione del petitum e l’inammissibilità dell’appello per violazione del principio di specificità dei motivi; ha poi assunto l’infondatezza del gravame.

G.S. ha per parte sua opposto il difetto di ius postulandi del difensore di controparte per l’irrituale conferimento della procura e la “verosimile inesistenza degli atti pregiudiziali” a tale conferimento.

2. – Con sentenza pubblicata il 21 agosto 2018, la Corte messinese ha rigettato l’appello e condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali.

3. – Ricorre per cassazione avverso detta pronuncia G.S.. Lo fa con un ricorso articolato in sette motivi, illustrato da memoria. Il Comune di Messina non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo è titolato: “sulla ritenuta sussistenza delle falsità denunciate su ritenuto travisamento decisive prove con lesione dell’art. 167 c.p.c., artt. 1218 e 2697 c.c., art. 88 c.p.c., artt. 1175 e 1375 c.p.c., art. 112 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6CEDU”.

Il secondo motivo è titolato: “sul ritenuto travisamento di decisive prove e sulla ritenuta lesione degli artt. 112,167,174,187,188,189 e 221 c.p.c., artt. 2699 e 2700 c.c., artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6CEDU”.

Il terzo motivo è titolato: “sul ritenuto travisamento di fondamentali prove sulla ritenuta lesione degli artt. 112 e 224 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 4, artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6CEDU”.

Il quarto motivo è titolato: “sulla ritenuta contumacia dell’ente avverso con ritenuta lesione delle norma sotto indicate” (essendo poi richiamati, nel corpo del mezzo di censura, l’art. 168 bis c.p.c., commi 4 e 5, artt. 166,167 c.p.c., art. 171 c.p.c., comma 3 e art. 113 c.p.c.).

Il quinto motivo è titolato: “Sulla ritenuta lesione dell’art. 83 c.p.c.”.

Il sesto motivo è titolato: “Sul ritenuto travisamento di rilevanti prove sul difetto dello ius postulandi dei difensori ex adverso, con ritenuta lesione di plurime norme imperative e con illiceità/nullità/falsità di atti comunali di cui in avanti”.

Il settimo motivo è titolato: “Sul ritenuto travisamento di rilevanti prove, sull’omesso esame di decisivi fatti e sull’ingiusta ed eccessiva condanna alle spese di giudizio (con ritenuta lesione del diritto vivente di cui in atti ed avanti)”.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – Ognuno dei proposti motivi si presenta confuso e caratterizzato dalla sovrapposizione di argomenti non pienamente intellegibili: e ciò anche per una carente rappresentazione dei fatti su cui si innestano le censure svolte. Occorre qui ricordare che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

Nello specifico si osserva, poi, quanto segue.

2.1. – Il primo motivo verte sul rilievo della Corte di appello secondo cui la querela di falso era nella fattispecie non proponibile, siccome riferibile non già all’attività richiesta, percepita e constatata dal pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni, ma su altri aspetti del contenuto ideologico del documento impugnato. Il giudice distrettuale, sul punto, ha confutato l’assunto della ricorrente secondo cui “non avendo il Comune mosso contestazione alla dedotta falsità ideologica, ciò si sarebbe tradotto a proprio vantaggio ove il primo giudice ne avesse tenuto conto”: ha osservato, in proposito, che l’ente aveva formulato una chiara contestazione, al riguardo, e ha poi precisato che la non contestazione “esime dall’accertamento che attiene al merito e non anche alla verifica dell’ammissibilità o meno della querela di falso”.

La ricorrente si concentra sulla prima affermazione, ma trascura di considerare la seconda, la quale si fonda sull’oggetto dell’attività processuale di contestazione, che può avere ad oggetto fatti, primari o secondari: ma pur sempre fatti. In tal senso il motivo mostra di non cogliere il completo portato della decisione, nella parte che qui interessa, giacché trascura di misurarsi con l’affermazione dell’irrilevanza che assume, sul piano processuale, la mancata contestazione di una condizione di giuridica ammissibilità della querela di falso. Ebbene, la ravvisata mancata aderenza della censura al decisum destina la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. 7 settembre 2017, n. 20910).

2.2 – Il secondo motivo investe la pronuncia impugnata nella parte in cui essa si è occupata della questione relativa all’errore commesso dal Tribunale nel qualificare la domanda: e segnatamente nel ritenere che nella fattispecie venisse in questione una querela proposta in via incidentale, anziché in via principale.

Anche tale motivo risulta privo di attinenza alla decisione, dal momento che non si confronta con l’affermazione della Corte di merito; questa ha infatti rilevato non essere stato “articolato alcun conferente argomento per chiarire come tale errore (di fatto commesso) abbia determinato l’errata pronuncia di inammissibilità, la quale è stata proposta dal primo giudice con la considerazione – la quale prescinde dalla circostanza che la querela sia stata proposta in via principale o in via incidentale – che la dedotta falsità riguardasse il contenuto ideologico dei documenti e, quindi, che per tale motivo la querela non fosse consentita” (pag. 7 della pronuncia).

2.3. – Col terzo motivo ci si duole di quanto statuito dalla Corte distrettuale con riguardo alle “questioni relative alla mancata consegna della graduatoria e degli ulteriori comportamenti denunciati”. Ha osservato il giudice distrettuale che taluni atti non erano stati oggetto di querela di falso, onde risultava essere irrilevante disporre l’acquisizione della relativa documentazione. Ha aggiunto essere infondato il rilievo per cui il Tribunale avrebbe deciso senza provocare il contraddittorio su questioni rilevate d’ufficio, atteso che il giudice di primo grado “invece si è limitato a decidere in via di mero diritto e ciò ha fatto utilizzando solo dati di fatto esposti dalla G.”; le nuove questioni introdotte, che avrebbero riguardato, secondo l’appellante, le questioni relative alla mancata consegna della graduatoria e gli ulteriori comportamenti denunciati non imponevano la provocazione del contraddittorio “visto che nessuna questione di fatto è stata rilevata d’ufficio ed esaminata”.

Il mezzo di censura è anzitutto non comprensibile perché la ricorrente, nell’esposizione del fatto, non ha fornito, con riguardo alla parte della vicenda che qui interessa, indicazioni esaurienti, nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 (sull’osservanza del requisito in questione cfr., per tutte, Cass. 3 novembre 2020, n. 24332).

Può solo osservarsi che il principio di diritto applicato dalla Corte di appello risulta essere conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui ove il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato (Cass. Sez. U. 30 settembre 2009, n. 20935).

2.4. – Il quarto mezzo investe la pronuncia impugnata nella parte in cui è stato affermato che il Comune, in quanto regolarmente costituito, non poteva essere dichiarato contumace per effetto della tardività della costituzione.

Quanto dedotto dalla ricorrente con riguardo a non meglio chiarite decadenze in cui sarebbe incorso il Comune non smentisce la Corte di appello nella richiamata enunciazione, la quale si fonda sul disposto dell’art. 293 c.p.c., comma 1, a mente del quale la parte dichiarata contumace può costituirsi in ogni momento del procedimento, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni: attività, quest’ultima, che determina la perdita della qualità di contumace (che – ovviamente – è incompatibile con quella di parte costituita).

Il motivo è pure privo di concludenza, in quanto la ricorrente non spiega la rilevanza pratica che assumerebbe la questione sollevata nell’economia della decisione impugnata.

2.5. – Il quinto motivo è incentrato sul tema della eccepita nullità della procura apposta in calce alla comparsa di risposta in appello del Comune. Ha osservato la Corte territoriale che l’art. 83 c.p.c., indica la citazione come uno degli atti in calce ai quali può essere apposta la procura e che, in conseguenza, ove la stessa sia conferita in calce alla copia notificata della citazione, l’appellato ha la facoltà di proporre impugnazione incidentale.

La ricorrente non si misura, ancora una volta, con la decisione, la quale ha richiamato, sul punto, Cass. Sez. U. 14 settembre 2010, n. 19510, cui si deve il seguente principio di diritto: “Il difensore dell’appellato, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale, idonea a dare attuazione ai principi di economia processuale e di tutela del diritto di azione e di difesa della parte stabiliti dagli artt. 24 e 111 Cost., può proporre appello incidentale anche nel caso in cui la procura sia stata apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello, ossia ad uno degli atti previsti dall’art. 83 c.p.c., comma 3, in quanto la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all’interesse del suo assistito e riferibili all’originario oggetto della causa è attribuita al difensore direttamente dall’art. 84 c.p.c. e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti, rappresentando tale conferimento non un’attribuzione di poteri, ma semplicemente una scelta ed una designazione, con la conseguenza che la natura dell’atto con il quale od all’interno del quale viene conferita, o la sua collocazione formale, non costituiscono elementi idonei a limitare l’ambito dei poteri del difensore”.

Dopo di che, è da osservare come sia incomprensibile il riferimento, nel corpo del motivo, a una “procura rilasciata su foglio separato”: deduzione, questa, che oltretutto introduce un tema nuovo, di cui la sentenza impugnata non si è occupata e che la ricorrente non chiarisce come sia stato fatto valere in appello.

2.6. – Col sesto motivo la ricorrente censura la sentenza sempre con riguardo al tema della regolare costituzione del Comune, avendo particolarmente riguardo alla eccepita inesistenza dei provvedimenti che dovevano precedere la costituzione in giudizio, quale la Delibera di giunta che autorizzava il Commissario a resistere in giudizio. Sul punto, la Corte di appello, dopo aver affermato che la questione rilevava solo nel rapporto tra il professionista e l’ente, nonché per i profili di responsabilità amministrativa e contabile di quest’ultimo, ha evidenziato che nessuna autorizzazione della G. comunale occorreva nello specifico, atteso che il mandato era stato conferito dal Commissario straordinario del Comune, organo che assume anche i poteri della G..

Il motivo è palesemente inammissibile: esso anzitutto denuncia errores in iudicando ed in procedendo, senza nemmeno menzionare le norme sostanziali e processuali che sarebbero state malamente applicate; consta di una congerie di considerazioni che rinviano ad atti e fatti che, per la carente esposizione della vicenda controversa, la Corte non è in grado di contestualizzare e di raffrontare alla res iudicanda; manca di misurarsi col principio espresso dal giudice di appello, il quale è oltretutto conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr. già Cass. 6 luglio 1966, n. 1757, secondo cui la volontà di proporre impugnazione a tutela dei diritti di un ente pubblico, manifestata mediante il conferimento della procura al difensore e la costituzione in giudizio, dall’organo monocratico dell’ente che assomma in sé le funzioni deliberatorie e quelle di manifestazione ed attuazione della volontà nei confronti dei terzi equivale alla formale deliberazione di proporre l’impugnazione).

2.7. – Il settimo mezzo investe le statuizioni di conferma della sentenza di primo grado circa la condanna della ricorrente al pagamento della pena pecuniaria di cui all’art. 226 c.p.c. e circa il carico delle spese processuali, che è stato riversato su G.S. sulla base dello scaglione di tariffa contemplato per le cause di valore indeterminabile.

Anche tale motivo, come i precedenti, si mostra carente di ordine e per larghi tratti oscuro.

Per quanto attiene alla pena pecuniaria, la Corte di merito ha comunque rettamente evidenziato che la norma di cui all’art. 226 c.p.c., è applicabile sia al procedimento di querela in via principale che a quello introdotto in via incidentale: l’istante non spiega quale ulteriore questione avesse sottoposto al giudice del gravame (ciò che avrebbe dovuto fare trascrivendo il brano dell’atto di appello attinente alla censura di cui trattasi).

Con riguardo alla pronuncia sulle spese, non si comprende il richiamo della ricorrente alla regola da adottarsi in caso di accoglimento parziale della domanda nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni: infatti la causa aveva ad oggetto la querela di falso e, oltretutto, questa è stata dichiarata inammissibile.

Per il resto, occorre ricordare che per censurare in sede di legittimità la pronuncia che abbia violato i limiti tariffari è necessario, indicare gli errori commessi dal giudice, le voci di tabella che si ritengono violate e le singole spese asseritamente non riconosciute (Cass. 23 agosto 2003, n. 12413; Cass. 17 settembre 2004, n. 18757; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542).

3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2021

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