Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.38128 del 02/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17069/2019 proposto da:

A.A., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA B. TORTOLINI 30, presso ALFREDO PLACIDI, rappresentati e difesi dagli avvocati ALBERTO BAGNOLI, ANTONELLA IDA ROSELLI;

– ricorrenti –

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA BARBERINI N. 36, presso il Servizio Struttura Tecnica Delegazione Romana, rappresentata e difesa dall’Avvocato MICHELE SIMONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1773/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 27/11/2018 R.G.N. 412/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 1773 del 2018, ha accolto l’impugnazione proposta dalla Regione Puglia nei confronti di più lavoratori, dipendenti regionali, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Bari ed ha rigettato l’appello incidentale dei lavoratori e le loro originarie domande.

2. Detti dipendenti regionali – tutti di 6 livello retributivo funzionale come primo inquadramento in ruolo in virtù della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, n. 909 del 1989, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 145 del 1992 – avevano partecipato al concorso interno bandito nel 1991 dall’Amministrazione, ai sensi della L.R. n. 18 del 1974, art. 95, per il passaggio alla qualifica superiore (7 livello).

Inizialmente esclusi dalla partecipazione al concorso, a seguito di ordinanza del Consiglio di Stato n. 1593 del 1999 i lavoratori erano stati ammessi a partecipare con riserva al concorso in questione, giusta determina n. 990 del settembre 1999 e, a seguito del superamento della prova, erano stati dichiarati vincitori di concorso con determina n. 930 del 2000. Con Det. n. 1440 del 2000 e Det. n. 811 del 2003, erano stati inquadrati nel superiore livello ex lege n. 18 del 1974 e, cioè, nella 1 qualifica dirigenziale con decorrenza giuridica dal 1 gennaio 1983 ed economica dal 1 ottobre 2000 (primo giorno del mese successivo alla Det. n. 930 del 2000).

Con istanza del 27 giugno 2006 i ricorrenti avevano invano chiesto all’amministrazione la rideterminazione del proprio trattamento economico complessivo spettante per l’inquadramento nella 1 qualifica dirigenziale con decorrenza 1 gennaio 1992, anziché dal 1 ottobre 2000, con liquidazione delle relative differenze.

3. I lavoratori adivano, quindi, il Tribunale di Bari: quest’ultimo ne aveva accolto la domanda asserendo che, nel momento in cui erano stati ammessi alla prova con riserva, i lavoratori avevano già il diritto ad essere inquadrati in ruolo con decorrenza giuridica ed economica dalla stessa data attribuita agli altri vincitori di concorso.

Diversamente, la Corte d’Appello ha affermato che il trattamento economico matura insieme all’effettiva prestazione dell’attività lavorativa in favore dell’Amministrazione, di talché la retrodatazione dell’inquadramento a fini giuridici non poteva di per sé comportare anche una retrodatazione degli effetti economici.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i lavoratori prospettando tre motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso la Regione Puglia.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione ed erronea applicazione di principi e norme di diritto in materia di inquadramento economico di impiegati pubblici (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Dopo aver ricordato il petitum del giudizio, i ricorrenti espongono che, pur avendo titolo a partecipare al concorso interno in questione e, quindi, a godere dell’inquadramento sia economico sia giuridico nella qualifica superiore, avevano avuto l’inquadramento solo nell’anno 2000, avendo dovuto promuovere un contenzioso in merito all’illegittima esclusione.

A sostegno delle proprie argomentazioni i lavoratori richiamano giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, n. 958 del 1996) e di questa Corte (Cass., S.U., n. 8595 del 1998, n. 16501 del 2004, n. 14478 del 2009 e 466 del 1996), prospettando che, con il bando del concorso interno, l’Amministrazione pone in essere un’offerta al pubblico ed è tenuta a salvaguardare la par conditio dei partecipanti al concorso.

Prosegue il primo motivo con il denunciare come contraddittoria e illogica l’affermazione che non vi sarebbe stata prova che i lavoratori avessero avviato l’impegno lavorativo di maggior pregio, meritevole del compenso più alto, al momento del riconoscimento dell’inquadramento giuridico. I ricorrenti lamentano, inoltre, che l’Amministrazione avrebbe riconosciuto la decorrenza economica dell’inquadramento dal 1992 ad altri lavoratori nelle loro stesse condizioni.

2. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 13940 del 2017, n. 14772 del 2017 n. 4881 del 2020, in presenza di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica, per il periodo intercorrente tra l’iniziale retrodatazione e l’effettiva assunzione, non sussiste il diritto del lavoratore all’attribuzione delle retribuzioni, in mancanza della prestazione lavorativa, ma il lavoratore può agire a titolo extracontrattuale per il risarcimento del danno, oppure ex art. 2126 c.c., in presenza delle relative condizioni.

Infatti, la retrodatazione giuridica dell’assunzione non determina un diritto alle retribuzioni (retrodatazione economica), in quanto nessuna prestazione lavorativa è stata svolta, mentre l’illegittima tardiva assunzione può dar luogo a risarcimento del danno, fatte salve eventuali condizioni che giustifichino – invece – una domanda ex art. 2126 c.c..

Con la sentenza n. 16665 del 2020 è stato, quindi, affermato il seguente principio di diritto: in materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego che non siano state riconosciute nei successivi atti di assunzione, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento ex tunc del rapporto di lavoro; il lavoratore può invece agire, in ragione della violazione degli obblighi sussistenti in capo alla P.A. ed in presenza di mora della medesima, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., ivi compreso, per il periodo anteriore a quello per il quale vi sia stata retrodatazione economica, il mancato guadagno da perdita delle retribuzioni fin dal momento in cui sia accerti il diritto all’assunzione, detratto l’aliunde perceptum, qualora risulti, anche in via presuntiva, che l’interessato sia rimasto privo di occupazione nel periodo di ritardo nell’assunzione o sia stato occupato, ma a condizioni deteriori.

Analoghi principi si rinvengono anche nella più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 2670 del 2021) laddove è stato affermato che “in materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, in quanto queste presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può, invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva (così, Cass., sez. lav. 5 giugno 2017, n. 13940). (…) Mentre la decorrenza dell’anzianità economica dipende dall’effettivo svolgimento del servizio, la retrodatazione dell’anzianità a fini giuridici è astrattamente riconoscibile, a prescindere dalla prestazione effettiva di attività lavorativa, mediante la ricostruzione giuridica della carriera con la medesima decorrenza che sarebbe spettata se il dipendente fosse stato assunto tempestivamente (cfr., da ultimo, Cons. Stato IV, 6 febbraio 2019, n. 887, nonché già Cons. Stato, IV, 12 settembre 2018, n. 5350)”.

3. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione dell’art. 112, c.p.c., per omessa pronuncia e violazione dell’art. 2043 c.c..

Deducono i lavoratori che la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla loro domanda – subordinata – di risarcimento del danno.

4. Il motivo è fondato e va accolto.

Occorre premettere che l’omesso esame di una domanda, in violazione dell’art. 112 c.p.c., pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta.

Dall’esame degli atti di causa risulta che nel ricorso introduttivo del giudizio i lavoratori avevano proposto domanda subordinata di risarcimento del danno, domanda ritualmente riproposta – sempre in via subordinata – in appello. Di talché la Corte territoriale, omettendo di pronunciarsi a riguardo, ha violato l’art. 112 c.p.c..

Pertanto la sentenza di appello va cassata in relazione al suddetto motivo.

5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 429 c.p.c., u.c. e dell’art. 150 disp. att. c.p.c., per essere stata negata la rivalutazione monetaria dei crediti retributivi vantati.

6. Le considerazioni sopra svolte in relazione al rigetto del primo motivo escludono in radice qualsivoglia questione di rivalutazione monetaria avanzata con tale terzo motivo.

7. In conclusione, la Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, che dovrà limitarsi a decidere in ordine alla domanda di risarcimento del danno che era stata proposta in subordine dagli odierni ricorrenti.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso. Rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021

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