Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.38350 del 03/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29093-2016 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato, in Roma, Viale Giulio Cesare 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi, che lo, rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giuliano Rizzardi;

– ricorrente –

contro

F.M., rappresentato e difeso dall’avv.to Alberto Salvadori con studio in Brescia;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 940/2016 della Corte d’appello di Brescia, depositata il 07/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dalla Consigliera CASADONTE Annamaria.

RILEVATO IN FATTO

che:

– la signora F.G. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Brescia che, riformando la sentenza del Tribunale di Brescia – sezione distaccata di Salò aveva accolto la domanda del convenuto Fe.Ma. di accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà dei vani rinvenuti nel sottosuolo facente capo alla di lei sovrastante proprietà;

– la F. aveva chiesto nei confronti di Fe.Ma., proprietario dell’unità immobiliare confinante, tramite un muro di contenimento, con la sua proprietà adiacente e posta in posizione più elevata, l’accertamento della proprietà dei vani rinvenuti dal Ferrerai nel corso di lavori di ristrutturazione anche del suddetto muro di contenimento e per i quali ella aveva dato l’autorizzazione a scavare nel suo terreno;

– la F. rivendicava la proprietà di quanto rinvenuto in quanto presente nel sottosuolo del suo immobile, ai sensi dell’art. 840 c.c., contestando la legittimità dell’impossessamento posto in essere dal Fe. con l’apertura nel suddetto muro di due accessi che consentivano il collegamento diretto alla sua proprietà;

– ciò premesso, la F. aveva chiesto la condanna del Fe. alla restituzione dei vani interrati con chiusura delle suddette aperture e ripristino dei luoghi;

– costituendosi il convenuto Fe. aveva eccepito che nessun accesso ai suddetti vani interrati era possibile dalla proprietà dell’attrice e che, pertanto, era evidente la loro natura di parte integrante del muro di confine, unitamente al quale erano stati costruiti in tempi antichi, in base alla datazione all’incirca del XIV secolo della proprietà immobiliare, comprensiva della corte da lui acquistata nel 2004;

– eccepiva altresì il convenuto che la chiusura degli accessi che egli si era solo limitato a riaprire, e della cui esistenza aveva appreso dai danti causa, costituiva, peraltro, una conferma che il possesso dei suddetti vani era stato esercitato dai suoi danti causa e per il quale chiedeva la dichiarazione di acquisto per usucapione della proprietà ovvero ai sensi dell’art. 881 c.c., comma 2; in subordine egli eccepiva la decadenza dall’eventuale diritto di proprietà dell’attrice per non uso ultraventennale;

– a conclusione del giudizio di primo grado l’adito Tribunale di Brescia, per quanto ancora rileva, accoglieva le domande di restituzione formulate dall’attrice sulla considerazione che il convenuto non aveva offerto la prova rigorosa del possesso idoneo ad usucapire;

– il convenuto soccombente impugnava la sentenza di prime cure e la Corte d’appello di Brescia, riformando sul punto la decisione gravata, dichiarava acquisita per usucapione da parte del Fe. la proprietà dei vani di causa;

– il giudice d’appello ha posto a fondamento dell’accoglimento della domanda di acquisto della proprietà per usucapione, la constatazione in fatto che i vani di causa, interrati e privi di altre possibilità di ingresso, non hanno altro accesso che dalla parte di muro situato nella corte del Fe., costituendo ulteriore conferma di ciò la circostanza che le feritoie o finestrelle – documentate dalle fotografie in atti – data l’esistenza dalla parte di proprietà della F. solo di un terrapieno che ricopriva i vani non potevano avere altra funzione che di aereazione interna degli stessi vani dal lato prospiciente la corte del Fe.;

– peraltro, la F. non è risultata avere il minimo sospetto o cognizione della loro esistenza prima di percepirne la presenza grazie ai lavori di ristrutturazione intrapresi dal Fe.;

– inoltre, la corte territoriale ha sottolineato l’irrilevanza della tamponatura delle aperture operata dai danti causa del Fe. e da quest’ultimo ripristinate nel corso dei lavori di ristrutturazione, poiché il possessore può mantenere il possesso della cosa anche non utilizzandola continuativamente sicché la chiusura delle aperture, fatta salva la possibilità di riaprirle in tempi successivi, non configura il venir meno del possesso come avviene nel caso di perdita di esso per fatto di terzi o per eventi naturali;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla F. con ricorso affidato a dieci motivi ed illustrato da memoria, cui resiste con controricorso, pure illustrato da memoria, Fe.Ma..

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo, articolato in due distinti profili, si deduce rispettivamente:

1. sub 1/a, in relazione all’art. 360 C.P.C., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e, dunque, per assoluta mancanza di motivazione nel punto in cui il giudice d’appello afferma avvenuto il trasferimento del possesso sui beni a favore del Fe. dai suoi danti causa;

2. sub 1/b si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1146 c.c., avuto riguardo alla ritenuta possibilità di considerare operante l’istituto dell’accessione nel possesso, al di là dei limiti del titolo traslativo ed in assenza dei requisiti di legge;

– assume parte ricorrente l’erroneità della statuizione del giudice d’appello per avere riconosciuto in capo al Fe. la possibilità di invocare il possesso ad usucapionem esercitato dai suoi danti causa sull’assunto apodittico che costoro “avendo già posseduto ben prima, per un periodo certamente idoneo ad usucapire i vani in contestazione e quindi, anche se non formalmente dichiarati proprietari, titolari del diritto per esserlo, non possono non avere trasferito al successore a titolo particolare, Fe., immesso anche in quel possesso da loro da sempre esercitato, e solo per un certo tempo (legittimamente) sospeso, anche nel diritto, che si concreta nella presente pronunciali, nella dichiarazione di acquisto della proprietà dei vani per usucapione “;

– assume in particolare la ricorrente che affinché operi l’istituto dell’accessione nel possesso, al di fuori del caso automatico dell’erede, occorre nell’avente causa l’apprensione materiale del bene, requisito che non risulta oggetto di corretta valutazione giudiziale dal momento che all’atto della compravendita nel 2004 i vani in oggetto erano tamponati e lo sarebbero restati fino al gennaio 2006, quando il convenuto munito dell’autorizzazione rilasciata dalla signora F. li scopriva durante i lavori di consolidamento del muro di confine;

– ne consegue che, ad avviso della ricorrente, non solo non vi era stata al momento della compravendita alcuna traditio materiale dei vani, ma neppure era stato accertato il possesso su di essi da parte dell’avente causa sicché il giudice aveva errato nel ritenere operante l’istituto dell’accessione nel possesso in difetto di elementi costitutivi della fattispecie, con conseguente mancato raggiungimento del ventennio ad usucapionem ed inevitabile rigetto della relativa domanda;

– con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla circostanza che trascorsero 2 anni tra l’acquisto della proprietà dell’immobile da parte del Fe. e l’apertura di accessi verso i vani contesi;

– la ricorrente sottolinea come, in assenza dell’apprensione materiale del bene, sia inapplicabile la disposizione sull’accessione nel possesso ai fini dell’accoglimento della domanda di usucapione per possesso ventennale;

– con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1158 c.c. e del dell’art. 11 delle disp. gen., del R.D. n. 262 del 1942, art. 1 nel punto in cui è stato dalla corte territoriale ritenuto provato il possesso ad usucapionem in capo al sig. Fe. ai suoi danti causa senza individuazione di riferimenti temporali, rendendo impossibile la verifica della correttezza della legge applicata ratione temporis e supponendo una sorta di “immemoriebile”;

– assume la ricorrente l’erroneità della argomentazione del giudice d’appello secondo cui doveva ritenersi provato l’acquisto della proprietà dei suddetti vani ai sensi dell’art. 1158 c.c. in forza della duplice considerazione che essi erano stati realizzati in un momento imprecisato tra il XIV secolo e l’attualità e che il passaggio, ad un certo punto tamponato e poi riaperto dal Fe., conduce necessariamente ai vani in contestazione passando dalla proprietà di quest’ultimo e dei suoi danti causa;

– con il quarto motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione dell’art. 1158 c.c., nel punto in cui si è ritenuto provato il possesso ad usucapionem in capo al signor Fe. ed ai suoi danti causa senza individuazione dei riferimenti temporali, della consistenza effettiva del bene da usucapire e delle concrete modalità di godimento, il cui onere probatorio avrebbe dovuto essere assolto con riferimento ai suddetti elementi da parte del sig. Fe.;

– con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione dell’art. 2729 c.c. in relazione alla declaratoria da parte della corte territoriale della raggiunta prova del possesso ad usucapionem per presunzione semplice;

– la ricorrente censura la sentenza impugnata lì dove ha ritenuto di poter presumere il possesso in capo al Fe. ed ai suoi danti causa sulla scorta del fatto che i vani di causa, interrati e privi di altre possibilità di ingresso, hanno accesso solo dalla parte del muro situato nella corte del Fe.;

– ad avviso della ricorrente nessuno di tali indizi sarebbe idoneo in relazione ai parametri della gravità, rilevanza e concordanza a fondare la ritenuta presunzione;

– con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo costituito dall’avvenuta cementificazione dei vani interrati de quibus ed immutazione della loro struttura;

– assume la ricorrente che il giudice d’appello ha omesso di verificare il fatto allegato dalla F. e non contestato dal Fe. costituito dall’avvenuta cementificazione dei vani interrati ad opera di quest’ultimo in occasione dei lavori del gennaio/febbraio 2006 con la conseguente impossibilità di verificare se effettivamente gli accessi aperti dal Fe. nel 2006 fossero gli unici presenti nei vani interrati o se, piuttosto, non vi fossero delle aperture sulle volte che accedessero alla proprietà della ricorrente e che permettessero in passato di accedere ai locali interrati;

– con il settimo motivo si deduce rispettivamente:

1. sub 7/a, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’errata individuazione come fatto “pacifico” della proprietà del muro divisorio in capo al Fe.;

2. sub 7/b, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della questione della proprietà del muro ove si aprono i vani in oggetto;

– assume la ricorrente l’erroneità della pronuncia impugnata per avere ritenuto incontroversa la proprietà in capo al Fe. ed ai suoi danti caua del muro divisorio sul quale si aprono i vani contesi;

– con l’ottavo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. in relazione alla ritenuta irrilevanza del tamponamento dei vani interrati ai fini del rilievo di un valido possesso ad usucapionem;

– in altri termini, si censura la valutazione operata dal giudice d’appello secondo la quale la tamponature delle porte di accesso ai vani interrati de quibus, compiuta non si sa quando e da chi, è in ogni caso inidonea ad incidere sul requisito della continuità del possesso;

– ritiene cioè la ricorrente che la continuità del possesso ai fini dell’usucapione imponga che anche nel non-uso sia comunque preservata la funzione economicafflutilitas del bene usucapendo;

– con il nono motivo si deduce rispettivamente:

1.sub 9/a in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1158 c.c. e dell’art. 2727 c.c., nella misura in cui si è affermato l’animus possidendi in capo al signor Fe. ed ha i suoi danti causa in assenza di relazione materiale con il bene usucapendo e sulla scorta di una praesumptio de praesumpto (presunzione derivata da altra presunzione);

2. sub 9/b in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dunque per assoluta mancanza di motivazione in relazione al punto in cui il giudice non motiva l’elemento costitutivo dell’animus possidendi;

– censura la ricorrente la sentenza impugnata per avere la corte d’appello ritenuto compiuta l’usucapione presumendo l’esercizio del potere di fatto senza considerare che il Fe. avrebbe dovuto allegare e provare l’animus possidendi;

– con il decimo motivo, infine, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo e controverso costituito dalla mancata allegazione ed indicazione, su tutti gli atti giuridici amministrativi concernenti la proprietà del Fe., dell’esistenza e dell’estensione dei detti vani interrati e della incidenza di detta circostanza sul requisito dell’animus possidedi;

– in altri termini, assume la ricorrente l’erroneità della valutazione operata dal giudice d’appello ai fini della sussistenza dell’animus possidendi circa la possibilità di conservazione del possesso “solo animo” nel periodo in cui i vani furono tamponati, così omettendo di soppesare la circostanza di fatto rilevante che avrebbe potuto giustificare la diversa conclusione di ritenere in capo ai soggetti aventi titolo la volontà di dismissione dei suddetti vani;

– preliminarmente all’esame delle enunciate doglianze, osserva il Collegio che l’eccezione preliminare sollevata a pag. 40 dal controricorrente sulla mancanza della relata di notifica nella copia del ricorso inviata per posta al domicilio del medesimo controricorrente è infondata, risultando allegata al ricorso la relata della notifica eseguita il 7/12/2016 e perfezionatasi per il destinatario il 12/12/2016;

– nel merito del ricorso, tutti gli enunciati motivi di censura attengono alla declaratoria di acquisto della proprietà dei vani in forza di usucapione ventennale pronunciata dalla corte d’appello a favore del signor Fe. e possono essere esaminati congiuntamente perché trattano questioni strettamente connesse;

– si tratta di censure inammissibili prima ancora che infondate perché sostanzialmente attingono la valutazione delle risultanze processuali svolta dal giudice del merito senza denunciare, nonostante la formale rubricazione delle censure, degli specifici errores in judicando con riferimento ai principi interpretativi applicati in materia di acquisto della proprietà per usucapione ventennale;

– occorre, infatti, sottolineare che non è fondatamente censurata dalla ricorrente l’errata individuazione dei principi che riguardano l’applicazione dell’art. 1158 c.c., né di quelli che concernono l’onere probatorio e l’inutilizzabilità di presunzioni, nonché la motivazione della decisione;

– né appare illegittimo il principio di diritto valorizzato dalla corte d’appello per affermare che il tamponamento delle aperture non significa una dismissione definitiva del possesso ma esprime un forma di utilizzazione e disposizione esclusiva del bene ed è quindi irrilevante ai fini della interruzione del possesso perché non si correla all’acquisto del possesso da parte di un terzo in forma incompatibile con il contestuale possesso di chi ha operato il tamponamento ne è assimilabile alla perdita del possesso per eventi naturali;

– è stato, infatti, affermato che il diritto di proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo salvo che in senso contrario disponga il titolo di acquisto di quest’ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario (cfr. Cass. 3989/2001);

– è stato inoltre chiarito che tale fatto, come questa Corte ha avuto modo (Ndr: testo originale non comprensibile) non può consistere nella mera situazione dei luoghi come l’esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo (nella specie alla grotta in questione) dal fondo altrui (Cass.3318/1987);

– ebbene, nel caso di specie, a fronte della domanda ex art. 840 c.c. proposta dalla F., il Fe. ha chiesto l’accertamento del suo acquisto a titolo originario della proprietà dei vani e la corte territoriale ha accolto la domanda sulla base di una serie di precise considerazioni di fatto;

– la corte bresciana ha precisato, cioè, che i vani sono privi di altre possibilità di ingresso se non dalla corte del Fe. e che le finestrelle per l’aereazione presenti sul muro pacificamente di proprietà del Fe. e sul lato della corte dello stesso, unitamente alle aperture presenti sul medesimo muro a seguito della rimozione della tamponatura, confermano l’oggettiva estrinsecazione di un possesso dei vani che, ove non ritenuti pertinenza della struttura muraria sul quale si trova il relativo accesso, fa presumere, anche in ragione della loro singolare posizione, della datazione storica (XVI sec.) e dell’accertata mancata consapevolezza di essi in capo alla F., l’intervenuto acquisto già da parte dei danti causa del Fe.;

– la corte territoriale ha, peraltro, legittimamente ritenuto inerente a detto possesso uti dominus anche la decisione di chiudere le aperture atteso che ciò non ha comportato la perdita della disponibilità dei vani, ben potendo il possesso manifestarsi “solo animo”;

– a quest’ultimo riguardo la statuizione della corte territoriale è corretta posto che il possesso (o la detenzione) può essere conservato “solo animo”, purché il possessore (o il detentore) sia in grado di ripristinare “ad libitum” il contatto materiale con la cosa, sicché, ove tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l’elemento intenzionale non e’, da solo, sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l’effettiva disponibilità della cosa (cfr. Cass. 4404/2006; Cass. 1723/2016);

– poiché nel caso di specie il ripristino con i vani in questione è avvenuto ad libitum per solo effetto della rimozione della tamponatura, le censure sollevate dalla ricorrente sono destinate al rigetto anche sotto questo specifico profilo;

– in definitiva, nessuna delle doglianze della ricorrente appare idonea a travolgere il principio di diritto applicato dalla corte d’appello sulla scorta dell’apprezzamento in fatto delle risultanze di causa ed il ricorso e’, dunque, rigettato;

– in applicazione del principio di soccombenza la ricorrente è tenuta alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 5500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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