Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.5665 del 02/03/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29045/2015 proposto da:

CO.MI. – Compagnia Maridionale Impianti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 269, presso lo studio dell’avvocato Vaccarella Romano, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ruggiero Vincenzo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Castellammare di Stabia, in persona del dirigente pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Verde Maria Antonella, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione;

– controricorrente –

contro

A.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3273/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA che conclude per l’accoglimento del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’avvocato Vaccarella Romano che si riporta.

FATTI DI CAUSA

1.- La COMI Srl, avendo continuato a prestare il servizio di manutenzione ordinaria dell’impianto di pubblica illuminazione nel Comune di Castellammare di Stabia in periodo successivo alla cessazione del contratto, sulla base di richiesta del responsabile dell’ufficio tecnico comunale (geom. A.E.), adiva il Tribunale di Castellammare di Stabia e chiedeva: in via principale, la condanna del Comune al pagamento del dovuto a titolo di corrispettivo contrattuale o, in subordine, di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale o, in ulteriore subordine, a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c.; in via ulteriormente gradata, chiedeva la condanna in via diretta di A. al pagamento di quanto dovuto in virtù del rapporto obbligatorio costituitosi con lui, ai sensi del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, trasfuso nel D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, art. 35 e, in via ulteriormente gradata, la condanna del Comune al pagamento in via surrogatoria, essendo A. inerte di fronte alle richieste e diffide di pagamento rivoltegli dalla COMI e non possedendo beni idonei a soddisfare l’ingente credito vantato dall’impresa.

2.- Il tribunale, con sentenza non definitiva del 19 marzo 2007, dichiarava fondata l’azione surrogatoria di COMI ed esistente il credito di A. nei confronti del Comune di Castellammare di Stabia, senza tuttavia emettere statuizione di condanna al riguardo; con sentenza definitiva del 29 luglio 2009, in accoglimento della domanda di COMI, condannava il Comune a pagare, in via surrogatoria, l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..

3.- La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 17 luglio 2015, rigettava il gravame di A. avverso la sentenza non definitiva e, in accoglimento del gravame del Comune di Castellammare di Stabia avverso la sentenza definitiva, rigettava le domande di COMI verso il Comune sia in via surrogatoria sia in via diretta ex art. 2041 c.c., con la precisazione che restava ferma la dichiarazione relativa alla costituzione del rapporto obbligatorio tra A. e COMI.

4.- La Corte napoletana, per quanto ancora interessa, riteneva non percorribile la soluzione indicata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 446 del 1995) che ammetteva la possibilità per il fornitore depauperato di agire a tutela delle proprie ragioni nei confronti della P.A. mediante azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., verso l’amministratore il cui patrimonio sia incapiente, per la ragione che la fattispecie non sarebbe assimilabile a quella vagliata nella citata sentenza, riferibile alle sole ipotesi dei lavori di somma urgenza.

5.- Avverso questa sentenza la COMI propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria; il Comune di Castellammare di Stabia resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la COMI denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, comma 4, conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144 e del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, art. 35, per avere ritenuto non configurabile il diritto di COMI di agire in surroga del geom. A., ex art. 2900 c.c., verso il Comune di Castellammare di Stabia, in conseguenza della erroneamente affermata inesistenza del diritto di A. di essere indennizzato dal Comune, ex art. 2041 c.c., per l’obbligazione contrattuale sorta a carico dello stesso amministratore verso il privato fornitore di beni e servizi a favore dell’ente pubblico.

2.- Il motivo è fondato.

2.1.- E’ noto che l’amministratore o il funzionario pubblico che abbia attivato un impegno di spesa per un ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili previsti dalla normativa pubblicistica risponde direttamente verso il privato fornitore, in forza del rapporto obbligatorio che si costituisce con lui, ai sensi del citato art. 23, comma 4, sostituito dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35, comma 4, modificato dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, art. 4 e poi trasfuso nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 191, stante la frattura ope legis del rapporto di immedesimazione organica tra l’amministratore e l’ente pubblico, che preclude il perfezionamento del rapporto obbligatorio nei confronti di quest’ultimo.

E’ anche noto che al privato creditore è preclusa (oltre all’azione contrattuale) anche l’azione di ingiustificato arricchimento verso l’ente locale per carenza del requisito di sussidiarietà (art. 2042 c.c.), poichè esiste altra azione esperibile sebbene non verso l’ente arricchito ma verso altro soggetto, qual è, appunto, l’amministratore la cui condotta ha reso possibile il sorgere del credito vantato dal privato fornitore (cfr., tra le tante, Cass. n. 11036 e 30109 del 2018, n. 80 del 2017, n. 18567 e 25860 del 2015; SU n. 29178 del 2020, al p. 2.4).

2.2.- Questo assetto delle tutele, desumibile dal menzionato art. 23, comma 4, suscitò dubbi di legittimità costituzionale da chi osservava che “la disposizione censurata appare irragionevole perchè a fronte di un arricchimento della p.a. a danno del privato fornitore esclude che questi possa agire nei confronti del soggetto che si è giovato dell’arricchimento, non solo per ottenere il prezzo delle opere o dei servizi eseguiti, ma altresì per rivalersi della patita correlativa diminuzione patrimoniale. Ed infatti, sussistendo la personale responsabilità contrattuale del funzionario e/o dell’amministratore, la p.a. committente non potrebbe essere convenuta in giudizio dal privato fornitore ex art. 2041 c.c., difettando il requisito della sussidiarietà, che (…) postula che nessuna altra azione sia prevista, neppure nei confronti di soggetti diversi da quello beneficiario dell’arricchimento” (Corte Cost. n. 446 del 1995). Tra i parametri costituzionali evocati vi era (oltre all’art. 3 Cost., per i profili di irragionevolezza della disciplina e disparità di trattamento) anche l’art. 24 Cost., “perchè la tutela giurisdizionale dell’appaltatore risulta vanificata nel momento in cui all’amministrazione pubblica debitrice viene sostituito ope legis altro soggetto munito di un indice di solvibilità quanto meno di grado inferiore, quando non nullo, con conseguente riduzione o elisione delle garanzie patrimoniali dell’iniziale obbligazione come sorta tra l’ente pubblico e il privato fornitore”.

La predetta questione di legittimità costituzionale fu dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, la quale tuttavia non avallò in alcun modo soluzioni interpretative che avessero l’effetto di provocare un “disancoramento dell’acquisito vantaggio per l’ente da ogni possibilità che, per un verso, l’ente stesso sia chiamato a corrispondere l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. e che, per altro verso, il contraente abbia strumenti per recuperare al proprio patrimonio una somma almeno pari a tale indennizzo”.

E’ per questa ragione che la Corte, salvaguardando il principio di sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento, affermò che “da un lato, quindi, sussistono in favore del funzionario (o amministratore) le condizioni affinchè egli possa esercitare l’azione ex 2041 c.c. verso l’ente nei limiti dell’arricchimento da questo conseguito; dall’altro, e per conseguenza, il contraente privato è legittimato, utendo iuribus del funzionario (o amministratore) suo debitore, ad agire contro la pubblica amministrazione – anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui – in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., “per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni” quando il patrimonio del funzionario (o amministratore) non offra adeguata garanzia”. Ed ancora, “poichè, in definitiva, l’ente, nei limiti del suo arricchimento, è tenuto all’indennizzo, ed il contraente privato ha titolo per conseguire, entro gli stessi limiti, il ristoro della diminuzione patrimoniale subita, ne segue che si appalesa infondata, nei termini in cui è stata proposta, la censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, la quale (…) risulta finalizzata ad assicurare una rigorosa applicazione della normativa contabile e quindi un rigido controllo delle spese. La riconosciuta tutela del terzo contraente, così come sopra articolata, consente anche di escludere (…) che sussista la disparità di trattamento denunziata rispetto alle ipotesi in cui un soggetto, non avendo alcuna azione specifica nè nei confronti di chi si è arricchito, nè di altri, può esperire in via diretta l’azione generale di arricchimento” (v. Corte Cost. n. 446 del 1995).

2.3.- I suddetti principi non sono riferibili ai soli lavori di somma urgenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, secondo la quale la costituzione del rapporto contrattuale in capo all’amministratore ha “un evidente carattere di sanzione patrimoniale a carico del pubblico funzionario o amministratore”. Tuttavia, come rilevato da altra pronuncia della Corte costituzionale, “la disposizione dell’art. 23, comma 4 (..) non prevede una sanzione a carico dell’amministratore o funzionario che abbia consentito la fornitura, e nemmeno, propriamente, una novazione soggettiva nella titolarità del rapporto obbligatorio, ma si limita a stabilire le condizioni formali (registrazione dell’impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria o, nel caso di lavori di somma urgenza, regolarizzazione contabile entro il termine di trenta giorni) alle quali è subordinata l’efficacia del contratto nei riguardi della pubblica amministrazione, in coerenza con il principio tradizionale secondo cui il contratto stipulato diviene obbligatorio nei confronti della pubblica amministrazione contraente solo a seguito della prescritta approvazione (…)” (Corte Cost. n. 26 del 2001, conf. Cass. n. 15415 del 2018).

La tesi sostenuta dalla Corte territoriale, che non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 9447 del 2010), fonda sulla diversità tra i lavori di somma urgenza e i lavori ordinari una differenza sul piano delle tutele che, tuttavia, non può spingersi sino ad ammettere la proponibilità, nel primo caso, anche dell’azione ex art. 2041 c.c., da parte del fornitore privato utendo iuribus dell’amministratore inerte e, nel secondo caso, della sola azione contrattuale verso lo stesso amministratore, anche quando il suo patrimonio non sia in grado di soddisfare il credito del fornitore, vanificandone la tutela giurisdizionale.

2.4.- L’azione diretta di indebito arricchimento verso l’amministrazione locale, come si è detto, è preclusa al fornitore, il quale può proporre in via principale l’azione contrattuale nei confronti dell’amministratore, in ragione della costituzione ope legis del rapporto obbligatorio tra il primo (fornitore) e il secondo (amministratore).

La proposizione di tale azione può condurre a un risultato integralmente o parzialmente satisfattivo per le ragioni creditorie del privato fornitore e, in ogni caso, espone l’amministratore a un depauperamento patrimoniale che si correla ad un arricchimento ingiustificato dell’amministrazione pubblica per avere comunque beneficiato di una prestazione patrimoniale senza corrispettivo.

Si innesca, di conseguenza, una duplice esigenza di tutela:

– dell’amministratore, che può essere soddisfatta mediante la proposizione, in mancanza di altre azioni, dell’azione di ingiustificato arricchimento verso l’ente pubblico, a norma dell’art. 2041 c.c., assolvendo, a tal fine, al solo onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento: infatti, il principio secondo cui il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso (Cass. SU n. 10798 del 2015), è applicabile anche al caso in cui sia l’amministratore ad agire verso l’ente pubblico, ai sensi dell’art. 2041 c.c., salva la possibilità per l’ente di dimostrare che l’arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto (cfr. Cass. n. 15415 del 2018), restando superato il diverso orientamento emerso nella giurisprudenza antecedente alle Sezioni Unite del 2015 (cfr. Cass. n. 9447 del 2010);

– del privato fornitore, al quale la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto il diritto di agire verso l’ente pubblico in surrogatoria “per assicurare che siano soddisfatte e conservate le sue ragioni (creditorie)” e, dunque, il diritto di “esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascuri di esercitare”, ex art. 2900 c.c..

2.5.- Il fornitore ha il potere di agire verso l’ente pubblico utendo iuribus debitoris nella eventualità che il patrimonio del debitore (amministratore o funzionario) non offra adeguate garanzie per il soddisfacimento del credito (come di regola, per l’elevato valore delle prestazioni effettuate in favore di amministrazioni pubbliche), al fine di evitare gli effetti negativi che possano derivare alle proprie ragioni dall’inerzia del debitore. Come si è detto, “il contraente privato è legittimato ad agire contro la pubblica amministrazione anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui” (v. Corte Cost. n. 446 del 1995) e, dunque, si sostituisce al proprio debitore (amministratore o funzionario) nell’esercizio dell’azione di indebito arricchimento verso l’ente pubblico, su di lui ricadendo l’onere di dimostrare i presupposti costitutivi dell’ingiustificato arricchimento dell’amministrazione in correlazione al depauperamento dell’amministratore.

L’esito di tale giudizio, in caso di accoglimento della domanda, potrà essere anche di condanna diretta dell’amministrazione pubblica a favore del creditore agente in surrogazione, potendo l’azione proposta svolgere anche una funzione esecutiva (o “satisfattiva”) qualora tenda al soddisfacimento di un credito in denaro che, se dal terzo (ente pubblico) fosse pagato al debitore, sarebbe da questi agevolmente sottratto all’esecuzione, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, con la conseguenza che la finalità conservativa dell’azione risulterebbe del tutto frustrata (cfr., in tema di surrogatoria “satisfattiva”, Cass. n. 723 del 1995, n. 1435 del 1978, n. 72 del 1972, n. 188 del 1966).

2.5.- In conclusione, si deve affermare il principio secondo cui, in tema di forniture e servizi prestati in favore degli enti locali senza l’osservanza del procedimento contabile previsto per l’assunzione di obbligazioni vincolanti per l’ente locale, ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, conv., con modif., dalla L. n. 144 del 1989, sostituito dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35, comma 4, poi modificato dal D.Lgs. n. 342 del 1997, art. 4 e trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, il contraente privato fornitore non è legittimato a proporre l’azione diretta di indebito arricchimento verso l’ente pubblico per difetto del requisito di sussidiarietà (stante la proponibilità dell’azione contrattuale verso l’amministratore), ma è legittimato ad esercitare l’azione ex art. 2041 c.c., contro l’ente pubblico utendo iuribus dell’amministratore suo debitore, in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., contestualmente alla (e indipendentemente dalla) proposizione della domanda di pagamento del prezzo nei confronti dell’amministratore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le proprie ragioni quando il patrimonio di quest’ultimo non offra adeguate garanzie; in tal caso, il contraente privato ha l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, in correlazione al depauperamento dell’amministratore, senza che l’ente possa opporre il mancato riconoscimento dell’utilitas, salva la possibilità per l’ente stesso di dimostrare che l’arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto.

3.- Il secondo e terzo motivo, concernenti la nozione di lavori di “somma urgenza”, sono assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo.

4.- In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, per un nuovo esame e per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri e, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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