LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 5361/2019 R.G. proposto da:
M.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessio Scheggi;
– ricorrente –
contro
CE.VAL.CO. S.p.A. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Barbara Del Seppia;
– controricorrente –
e nei confronti di:
UnipolSai S.p.a.;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, n. 2695/2018, pubblicata il 21 novembre 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2695/2018, pubblicata il 21 novembre 2018, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di M.S. volta ad ottenere la condanna della Ce.Val.Co S.p.a. al risarcimento, ex art. 2051 e/o 2043 c.c., dei danni subiti, a seguito della caduta, avvenuta il *****, dal tetto di un capannone di proprietà della società dove egli stava eseguendo lavori di impermeabilizzazione. Ha conseguentemente ritenuto assorbita la domanda di manleva riproposta dalla appellata nei confronti della propria compagnia assicuratrice, UnipolSai S.p.a..
2. Questi i passaggi salienti della motivazione:
– il M. stava eseguendo i lavori di cui era stato incaricato in piena autonomia;
– “e’ ben vero che i precedenti lavori, rispetto a quelli eseguiti sul capannone F dal quale cadde l’odierno appellante, poterono essere eseguite con modalità analoghe a quelle relative al capannone G, ma è altrettanto vero che essendo stato questi investito della responsabilità intera degli stessi, ben doveva valutare se le onduline su cui incautamente si avventurò erano suscettibili di sorreggere il peso suo e di una bombola di gas utilizzata per l’installazione della guaina”;
“circa la formulazione esplicita o l’assenza di un divieto di percorribilità della parte del tetto coperta da onduline (negata dai testi M.X. e M.F., congiunti del leso e indubbiamente portati a formulare, sia pure in buona fede, affermazioni e giudizi compiacenti e a lui favorevoli) non è stata raggiunta una prova certa anche se le modalità di utilizzo del tetto del capannone F sembrano essere state improntate a maggiore cautela, camminando i lavoranti sul cordolo di cemento e, quando era necessario attraversare perpendicolarmente l’ondulina, essi procedevano con cautela, scavalcando le canale (sic) e senza caricare tutto il peso del corpo sulla stessa ma poggiando il piede anche sulla canapa (deposizione del teste L., che eseguì con il M. il precedente lavoro)”;
– “la negligenza e l’imprudenza del leso e la riconducibilità esclusiva al medesimo della responsabilità del fatto lesivo è evidente sol che si pensi che egli, quale artigiano addetto all’esecuzione di lavori di impermeabilizzazione, doveva necessariamente essere a conoscenza della tipologia di copertura su cui andava ad operare mentre, immemore di ciò, ulteriormente aggravò la situazione percorrendo con il corpo gravato dal peso di una bombola di gas un tratto fragile della copertura”;
– “in definitiva del danno conseguente alla caduta dell’appellante dal tetto dell’immobile della CE.VAL.CO. S.p.A., benché non protetto né resistente al suo peso, non può essere chiamato a rispondere il proprietario, quando, come nella specie, risulti che il luogo del sinistro non era destinato al passaggio abituale di persone e al momento del fatto l’immobile era stato consegnato al prestatore d’opera (il M.) per l’esecuzione di lavori di copertura”.
3. Avverso tale decisione M.S. propone ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi, cui resiste la CE.VAL.CO. S.p.a. in liquidazione, depositando controricorso.
UnipolSai non svolge difese in questa sede.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Deduce la manifesta illogicità della motivazione per irriducibile inconciliabilità tra l’affermazione (contenuta a pag. 7, quarto capoverso) che si deve “far risalire esclusivamente alla condotta imprudente del M. la responsabilità dell’evento” e quella successiva (leggibile nell’ottavo cpv.) secondo cui “le modalità di utilizzo del tetto del capannone F sembrano esser state improntate a maggior cautela”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c..
Lamenta che la corte di appello ha escluso integralmente la configurabilità della responsabilità della Cevalco quale proprietaria e custode dell’immobile (capannone F), non tenendo nel debito conto la circostanza che la predetta società non aveva fornito alcuna prova del divieto di camminare sulle onduline del tetto durante i lavori svolti dal ricorrente ed anzi da tale incertezza argomentando il convincimento dell’esclusiva efficacia causale della condotta del danneggiato.
Osserva che un tale ragionamento si pone in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo il quale, affinché la condotta del danneggiato possa integrare l’esimente del caso fortuito ex art. 2051 c.c., essa deve assumere un’efficacia causale esclusiva nella produzione del danno, il che si verifica quando, sulla base di tutti gli elementi della fattispecie concreta, detta condotta si atteggi in termini di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità, così da risultare in definitiva idoneo a produrre da solo l’evento lesivo, cioè escludendo fattori causali concorrenti (Cass. n. 18317 del 2015).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e/o 2043 c.c..
Lamenta che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto che i lavori di impermeabilizzazione furono eseguiti in piena autonomia e senza che la Cevalco, per il tramite di propri incaricati, svolgesse attività di controllo e direzione sugli stessi.
Rileva che tale affermazione non trova appiglio alcuno nella svolta istruttoria e che anzi le risultanze di questa avevano evidenziato, nella sostanza, che egli aveva ricevuto direttive sulla esecuzione dei lavori dal preposto della Cevalco (Lucaioli), il quale si era anche recato sul tetto a controllare i lavori ed anche a parteciparvi, di fatto fungendo da “direttore dei lavori” nonché, addirittura, da coadiuvante.
4. Reputa il Collegio che la questione di diritto posta con il secondo motivo prospetti profili di rilevanza nomofilattica, in relazione ai quali si rende opportuna la trattazione della causa in pubblica udienza (art. 375 c.p.c., comma 2).
Come è noto, i più avanzati approdi della riflessione giurisprudenziale di questa Corte, sul tema della responsabilità per i danni da cosa in custodia (art. 2051 c.c.) sono rappresentati dalle ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2477 – 2483, nelle quali si è stabilito che:
a) l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;
b) la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso;
c) il caso fortuito, il quale può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere;
d) la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;
e) ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
5. E’ stato in tal senso ancora di recente ribadito (Cass. 16/02/2021, n. 4035) che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l’agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa.
Detto arresto richiama a sua volta le “lucide considerazioni” svolte da Cass. 31/10/2017, n. 25837, secondo cui “la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità” della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode.
“Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest.
“L’esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; b) che quella condotta non fosse prevedibile”.
La mera disattenzione della vittima, dunque, “non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all’art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa” (Cass. n. 13222 del 27/06/2016).
“La condotta della vittima d’un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata” (così, ancora, Cass. n. 25837 del 2017).
6. La fattispecie in esame si colloca nell’impervio crinale che separa l’ipotesi in cui la condotta colposa del danneggiato configuri mera concausa dell’evento dannoso, come tale idonea (solo) a ridurre ex art. 1227 c.c., comma 1, la responsabilità risarcitoria del custode, ma non ad escluderla del tutto, e quella in cui tale condotta integri invece “caso fortuito” idoneo ad interrompere il nesso causale e a mandare dunque esente il custode da ogni responsabilità.
Le criticità che al riguardo la fattispecie impone di affrontare, sono essenzialmente due, sebbene strettamente intrecciate:
– una prima, più generale, riguarda i limiti del sindacato in cassazione della valutazione che, in punto di prevedibilità o prevenibilità della condotta del danneggiato, compia il giudice di merito;
– una seconda attiene, invece, al perimetro entro il quale occorre compiere detta valutazione, ovvero alla individuazione del criterio probabilistico di regolarità causale da valutarsi ex ante (primo momento predittivo della ricostruzione causale) cui rapportare l’accadimento come in concreto verificatosi (secondo momento descrittivo).
6.1. Sotto il primo profilo questa Corte ha sempre costantemente affermato che “stabilire se una certa condotta della vittima d’un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima” (Cass. n. 25837 del 2017, cit.).
In tal senso anche Cass. 01/02/2018, n. 2480 (in motivazione, p. 40, pagg. 17 – 18) ha precisato che “quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione (squisitamente di merito), che va compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela: e quando manchi l’intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di queste siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto integrato il caso fortuito” (in termini sostanzialmente analoghi v. già Cass. 05/12/2013, n. 28616).
Si tratta allora di stabilire, nella specie, se la motivazione offerta dalla corte di merito, assolva oppure no tale onere motivazionale e se in particolare abbia adeguatamente contemperato i due versanti della serie causale da prendere in considerazione (condotta imprudente della vittima e condizioni della cosa in relazione a quanto prevedibile secondo regolarità causale).
E non sarà fuor di luogo rimarcare che tale indagine non impinge nel campo della ricognizione del fatto e, dunque, della valutazione riservata al giudice del merito, quanto piuttosto su quello della qualificazione giuridica della fattispecie.
Quel che viene in esame, infatti, è la regola causale (e, segnatamente, la regola causale di struttura) applicata al caso concreto così come accertato nei suoi elementi fattuali.
Occorre invero rammentare che, come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento del nesso di causa tra il fatto (o, nella specie, la cosa in custodia) e l’evento dannoso deve avvenire dapprima individuando in iure la regola giuridica in base alla quale compiere il relativo giudizio (ad es., l’art. 40 c.p. piuttosto che l’art. 1223 c.c.) e quindi, alla luce di quella, accertando in facto le conseguenze dell’illecito, con la conseguenza che l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso di causa è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; invece l’eventuale errore del giudice di merito nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, è una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata (v. ex permultis, Cass. 10/04/2019, n. 9985; 25/02/2014, n. 4439; in senso analogo, tra le altre, Cass. 07/12/2005, n. 26997, fino a risalire al leading case, costituito da Cass. 20/10/1962, n. 3061).
Quando dunque – come accade nella specie – il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione che, dovendo compiersi sul piano del nesso eziologico, implica l’individuazione, esplicita o implicita, della regola causale in base alla quale compiere il relativo giudizio e sotto tale profilo è suscettibile di sindacato in sede di legittimità sia pure limitato al vaglio se tale regola possa considerarsi correttamente individuata e coerentemente applicata in relazione agli elementi fattuali considerati in sentenza.
6.2. Su tale abbrivio può passarsi a indicare l’ubi consistam del secondo profilo nomofilattico che qui si intende segnalare.
La serie causale, oggettivamente prevedibile ex ante secondo criterio di normalità o regolarità causale, deve prendere in considerazione oppure no il contesto particolare che ha preceduto ed accompagnato l’evento dannoso?
E’ del tutto evidente che, nel caso di specie, se la risposta a tale quesito fosse negativa, risalterebbero in re ipsa l’anomalia ed assoluta imprevedibilità della condotta di chi salga sulla copertura del capannone per camminarvi su strutture non adatte a sostenerne il peso, per di più aggravato da una bombola, astratta dal contesto nel quale essa si è determinata.
Altrettanto evidente, però, forse non può dirsi se da quel contesto si ritenga non potersi prescindere; se si ritenga cioè non potersi valutare la prevedibilità o meno della condotta del danneggiato senza considerare che, nel caso di specie, essa si è avuta nello svolgimento di un incarico conferitogli dal proprietario/custode del capannone.
6.2.1. Il raffronto con ipotesi – giuridicamente diversa ma fattualmente contigua – varrà forse a meglio indentificare l’opera definitoria che si intende sotto questo profilo demandare alla sede nomofilattica.
Si allude alla tematica del c.d. “rischio elettivo” ed al principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “l’omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l’attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso” (Cass. 20/10/2011, n. 21694; Cass. n. 4129 del 2002; n. 19494 del 2009).
La fattispecie normativa astratta in rapporto alla quale occorre condurre l’analisi e’, nel presente giudizio, certamente diversa ed esclude ogni riferimento sia al contingente assommarsi in capo al custode anche della qualità di committente, sia a reciproci obblighi e diritti invece certamente sottesi all’ambito contrattuale cui afferisce il principio surrichiamato.
Si tratta, però, di stabilire se e per qual motivo l’indubbia diversità del fondamento di responsabilità dedotto nella presente causa si traduca anche nella necessità di individuare una diversa serie causale in rapporto alla quale ponderare la prevedibilità ex ante o meno della condotta del danneggiato, tale per cui quel che in quel contesto poteva dirsi né imprevedibile né anomalo, in quello in esame invece lo divenga.
6.2.2. In tale prospettiva occorrerà in particolare stabilire se il contesto di riferimento debba oppure no riflettersi anche nella valutazione delle caratteristiche oggettive della cosa in custodia onde individuare le serie causali ordinariamente prevedibili:
– nel primo caso, infatti, questa dovrebbe probabilmente essere riguardata non nella sua funzione tipica di mera copertura di un capannone, come tale non deputata a supportare il passaggio o lo stazionamento di persone, ma anche in quella di struttura sulla quale intervenire per l’esecuzione di lavoro di manutenzione;
– nel secondo invece da tale ultima connotazione occorrerebbe prescindere, in quanto con essa si finirebbe con l'”inquinare” la valutazione necessariamente oggettiva della cosa secondo le sue normali e intrinseche caratteristiche e destinazione, con aspetti che rilevano in altra incompatibile prospettiva qualificatoria (appalto).
P.Q.M.
dispone trattarsi la presente causa in pubblica udienza e la rinvia a tal fine a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022
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