LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22263/2017 proposto da:
F.lli C. s.r.l., in persona del suo rappresentante pro tempore C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. EMILIO PAOLO SANDULLI, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in ROMA, Via della FORTEZZA 59;
– ricorrente –
contro
Avv. V.L., rappresentata e difesa dall’Avv. ASSUNTA VENTORINO ed elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’Avv. Nicola Parisio, in ROMA, Via Barnaba Tortolini 30;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1399/2017 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 13/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/11/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso per decreto ingiuntivo, depositato in data 12.4.2010, l’avv. V.L. chiedeva al Giudice di Pace di Benevento di ingiungere alla F.LLI C. s.r.l. il pagamento della somma di Euro 4.708,80, a titolo di competenze professionali relative all’attività professionale svolta in favore dell’ingiunta nel giudizio avanti al Tribunale di Benevento R.G. n. 308/2000, definito con sentenza n. 1578/2006 (avente a oggetto opposizione a decreto ingiuntivo proposta da M.A.M. contro Compass s.p.a., che aveva chiamato in causa la F.lli C. s.r.l.).
Con decreto ingiuntivo del 19.5.2010, il Giudice di Pace di Benevento ingiungeva alla F.lli C. s.r.l. il pagamento della suddetta somma, oltre interessi legali, spese e competenze del monitorio.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione la F.lli C. s.r.l. chiedendo la declaratoria di nullità, eccependo l’incompetenza funzionale dell’Ufficio del Giudice di Pace e, in ogni caso, la litispendenza e la sua continenza nel giudizio R.G. n. 2199/2010 pendente innanzi al Tribunale di Benevento, nel quale l’opponente aveva richiesto la determinazione del credito ex adverso vantato e la sua compensazione fino a concorrenza con il credito vantato nei confronti dell’opposta a titolo di corrispettivi per la messa a disposizione e per l’utilizzazione di 4 autovetture e, in ogni caso, la revoca del d.i. opposto anche per la manifesta incongruità delle somme richieste in pagamento.
Si costituiva in giudizio l’avv. V. contestando il fondamento dell’eccezione di nullità sul rilievo che il ricorso per decreto ingiuntivo era stato richiesto prima della proposizione della domanda introduttiva del giudizio n. 2199/2010.
Il Giudice di Pace rigettava la domanda dell’opponente con sentenza n. 952/2012, confermava il d.i. compensando le spese.
Avverso detta sentenza proponeva opposizione la F.lli C. s.r.l. chiedendo di dichiarare l’incompetenza funzionale del Giudice di Pace e, comunque, la litispendenza e la continenza del giudizio in quello R.G. n. 2199/2010 pendente innanzi al Tribunale di Benevento, nonché la nullità del d.i. opposto e rimettere, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., la causa al Presidente del Tribunale di Benevento ai fini della riunione; dichiarare l’improponibilità della domanda per violazione del principio della infrazionabilità del credito; ridurre l’entità del credito opposto.
Si costituiva l’avv. V. chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale limitatamente alla compensazione integrale fra le parti delle spese di lite.
Con sentenza n. 1399/2017, depositata in data 13.7.2017, il Tribunale di Benevento rigettava il gravame confermando la sentenza n. 952/2012 del Giudice di Pace di Benevento e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite del grado di appello.
Avverso tale sentenza ricorre la F.lli C. s.r.l. sulla base di quattro motivi. Resiste l’avv. V.L. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione del principio di continenza e dei principi in tema di incompetenza funzionale e per valore. Nullità del d.i. opposto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Osserva la ricorrente che il Tribunale, ricalcando le orme del Giudice di Pace, avrebbe violato l’art. 39 c.p.c., disattendendo i principi giurisprudenziali affermati dalla Sezioni unite in tema di continenza (sebbene diffusamente richiamati nell’atto di appello); ed avrebbe fatto evidente malgoverno delle rubricate disposizioni normative e dei principi consolidati in tema di continenza; così facendo anche impropria applicazione del principio di prevenzione, che soccombe a fronte della continenza, la quale comportava l’incompetenza ratione valoris dell’Ufficio di Benevento e di riflesso la nullità del d.i. opposto con conseguente insorgenza della necessità della rimessione del presente giudizio “contenuto” al titolare del giudizio “contenente” della Corte d’appello di Napoli, in quanto ratione valoris a decidere entrambi.
1.1. – Il motivo non è fondato.
1.2. – Costituisce principio consolidato che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento è inderogabile ed immodificabile, anche per ragioni di connessione. Ne deriva che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in caso sia proposta domanda riconvenzionale di competenza della sezione specializzata delle imprese di altro tribunale, è tenuto a separare le due cause, rimettendo quella relativa a quest’ultima domanda dinanzi al tribunale competente, ferma restando nel prosieguo l’eventuale applicazione delle disposizioni in tema di sospensione dei processi (Cass. n. 19738 del 2017). Inoltre la competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento è inderogabile ed immodificabile, anche per ragioni di litispendenza, continenza o connessione (Cass. n. 16454 del 2015).
La controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’an debeatur. Soltanto qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. cit., la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande. Qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga, invece, alla competenza del giudice adito, troveranno applicazione gli artt. 34,35 e 36 c.p.c., che eventualmente possono comportare lo spostamento della competenza sulla domanda, ai sensi dell’art. 14 (Cass., Sez. un., n. 4485 de 2018). A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, come sostituito dal D.Lgs. cit., può essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato D.Lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 c.p.c. e segg., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. e segg., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648,649,653 e 654 c.p.c.. E’, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c. (Cass. Sez. un. cit.). Correttamente, dunque, aveva ritenuto la competenza (Ndr: testo originale non comprensibile) inderogabile in ordine all’opposizione con Decreto Ingiuntivo.
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione dei principi del giusto processo e dei canoni di correttezza e buona fede. Violazione del principio di infrazionabilità del credito. Consequenziale inammissibilità improcedibilità della domanda frazionata di pagamento proposta in via monitoria. Indebito frazionamento dell’unico e unitario credito vantato dalla resistente per prestazioni professionali inerenti lo stesso unico rapporto contrattuale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c.. Assenza assoluta di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. La società ricorrente richiama Cass. n. 1706 del 2010, per cui tutte le domande contestualmente proposte mediante indebito frazionamento dell’unico credito, vantato in relazione allo stesso unico rapporto contrattuale vanno dichiarate improponibili, giacché la scissione del contenuto dell’obbligazione si pone in contrasto con il principio di correttezza e buona fede, e con il principio costituzionale del giusto processo.
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Secondo la ricorrente, il Tribunale ometteva di motivare sulla questione, limitandosi ad affermare che “la somma richiesta dalla professionista trova la fonte in autonomi e distinti rapporti di patrocinio”. Laddove va subito evidenziato che non è dato ravvisare la esistenza nella specie di siffatti requisiti giuridici necessari ai fini della realizzazione del frazionamento del credito.
Al riguardo, è stata dunque precisata la necessità della sussistenza (in mancanza della prestazione originariamente unica, perché fondata sullo stesso rapporto richiesta dalla Cassazione per la configurabilità della parcellizzazione e del non ben chiarito, dalla società ricorrente, concetto di routinarietà) di un unico rapporto obbligatorio e di un unico credito vantato dal creditore nei confronti del debitore, affinché si possa discutere di finanziamento (Cass. n. 24539 del 2009). Orbene, tale unicità del credito e del rapporto obbligatorio, non sussiste nella fattispecie, poiché v’e’ il risconto che l’avv. V. abbia svolto la propria attività professionale in favore della società ricorrente, sia come parte attrice che come convenuta, in svariati giudizi tra loro differenti.
2.3. – Sicché costituisce principio di legittimità, quello secondo cui “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, là dove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2” (Cass. S.U. n. 4090 del 2017; così pure Cass. n. 17893 del 2018; Cass. n. 20714 del 2018; Cass. n. 6591 del 2019). Infatti, “in tema di frazionamento del credito, il principio in base al quale i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che il creditore non risulti titolare di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, deve essere inteso con la duplice specificazione per cui: a) l’espressione “medesimo rapporto di durata” va letta in senso storico/fenomenologico, con conseguente attribuzione ad essa del significato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia; b) nell’espressione “medesimo fatto costitutivo”, l’aggettivo “medesimo” va inteso come sinonimo di “analogo” e non di “identico”” (Cass. n. 14143 del 2021).
Nel caso di specie, è stata esclusa l’unicità del rapporto, né si rinvengono i rischi considerati dalla S.U. n. 4090/2017.
3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 2697 c.c. e del principio dell’onere della prova. Violazione della tariffa forense di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Illegittima duplicazione del computo di voci dell’onorario di avvocato (assistenza ai mezzi di prova) e dei diritti di Avvocato (deduzione di udienza, partecipazioni ad udienza). Violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., assenza assoluta o apparenza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
3.1. – Il motivo è fondato.
3.2. – Va ritenuta, in primo luogo, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, stante la mera apparenza della motivazione impugnata.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo (che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”: Cass., sez. un., n. 8053 e n. del 2014; Cass., sez. un., n. 8054 del 2014) è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione. Ed in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 3819 del 2020; Cass. n. 7402 del 2017).
3.3. – Nella specie, il Tribunale ha omesso di motivare sul secondo motivo di appello (trascritto a pagg. 9, 10 e 23 del ricorso). Ne risulta dunque, all’evidenza, l’inesistenza o comunque l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata e, nel contempo, la violazione del 2697 c.c. e dei principi sull’onere della prova.
4. – Rigettato il primo ed il secondo motivo, va accolto il terzo con assorbimento del quarto motivo (con cui si deduce una violazione di legge sulla regolamentazione delle spese). La sentenza impugnata deve essere cassata e rinviata al Tribunale di Benevento, altra composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte di Cassazione, rigettati i primi due motivi, accoglie il terzo motivo di ricorso, con assorbimento del quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Benevento, altra composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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