Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5746 del 22/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27456/2019 proposto da:

B.A.M., Br.Gi., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Mazzini n. 8, presso lo studio dell’avvocato Salvatore Fachile, rappresentati e difesi dall’avvocato Daniele Valeri;

– ricorrenti –

contro

Fedaia Spv Srl (cessionaria della posizione creditoria di Carilo Cassa Di Risparmio Di Loreto Spa), elettivamente domiciliata in Roma Corso Trieste 87, presso lo studio dell’avvocato Arturo Antonucci, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Maurizio Boscarato;,

– controricorrente –

e contro

Dovalue s.p.a. (già DoBank s.p.a., denominazione assunta da Unicredit Credit Management Bank s.p.a.). mandataria della Fino 1 Securitisation S.r.l. (divenuta titolare per acquisto pro soluto da Unicredit s.p.a.), rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Andreani, ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato Isabella Maria Stoppani;

– controricorrente –

e contro

Banca di Ancona; Falconara Marittima Credito Cooperativo Soc. Coop.

(successore di Banca di Ancona Credito Cooperativo soc. coop.);

– intimate –

e contro

Dovalue s.p.a. (già DoBank s.p.a.), quale procuratrici speciali Società BCC NPL 2018 s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Androni, domiciliato in Roma, presso lo studio dell’Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1006/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 13/6/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/9/2021 dal Cons. Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/6/2019 la Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame interposto dai sigg. Br.Gi. e B.A.M. in relazione alla pronunzia Trib. Ancona n. 1716 del 2015, di accoglimento della domanda nei loro confronti proposta dall’originaria attrice società Unicredit s.p.a. e dalle intervenute società Banca di Ancona Credito Cooperativo Soc. Coop. e società Carilo Cassa di Risparmio di Loreto s.p.a. di inefficacia ex art. 2901 c.c., del “fondo patrimoniale costituito dai predetti coniugi con atto a rogito notaio S.A. di ***** del 6 dicembre 2010, avente ad oggetto gli immobili ivi indicati e meglio descritti, costituiti da un appartamento sito in Comune di ***** e da porzione di fabbricato ubicato in *****”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Br. e la B. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resistono con separati controricorsi la società Fino 1 Securisation s.r.l., per il tramite della mandataria Dovalue s.p.a. (già DoBank s.p.a., denominazione assunta da Unicredit Credit Management Bank s.p.a.), e la società Fedaia SPV s.r.l., cessionaria della posizione creditoria della società Carilo Cassa di Risparmio di Loreto s.p.a..

Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 2901,1845 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerata l’insussistenza dei crediti vantati dalle controparti anteriormente alla costituzione del fondo patrimoniale.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116,167 c.p.c., art. 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito non abbia preso in esame la “perizia estimativa versata in atti”, con conseguente “omessa motivazione in merito al gravame ove si era precisamente indicato e richiesto di valutare che il compendio immobiliare del debitore fosse sufficiente a garantire i supposti creditori con conseguente venir meno dell’eventus damni quale elemento costitutivo dell’azione revocatoria”.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” delle norme sulla litispendenza e del “divieto del ne bis in idem” nonché dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che la società Carilo s.p.a. ha “svolto la medesima domanda oggi contenuta nell’atto di intervento nell’odierno giudizio anche con azione autonoma nel giudizio rg. 2960/2011 Tribunale di Ancona (documenti in atti)” e che “tale domanda è già stata accolta con sentenza del Tribunale di Ancona n. 747/2015 pubblicata in data 30.04.2015 ed appellata con giudizio pendente al n. 876/2015 Corte di Appello di Ancona”.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di costituzione di fondo patrimoniale”, al “ricorso per decreto ingiuntivo”, alla “raccomandata spedita il 24.12.2010. arrivata il 5.1.2011”, ai “telegrammi in data 4.1.2011”, al “contratto di conto corrente 7/27”, al “decreto ingiuntivo della Unicredit banca”, al “decreto ingiuntivo della Carilo s.p.a.”, alla “prova documentale del fatto (doc. 4 allegato alla memoria 183 n. 2)”, alle “istanze istruttorie”, alla “perizia estimativa versata in atti”, alla “copia della domanda di risposta nella causa R.G. 2960/2011” nonché ai “documenti in atti” e alle sentenze in tale processo emesse; alla “successiva memoria ex art. 183 c.p.c., n. 3”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove – in tutto o in parte – riprodotti (es., parte della pag. 5 della “comparsa per intervento volontario nel presente procedimento”), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso vanno sempre ed indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

L’accertamento in fatto (secondo cui la società Unicredit s.p.a., creditrice della società Ancosped s.r.l. e dei suoi fideiussori (in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all’apertura di credito) sigg.ri Br. e B. giusta Decreto Ingiuntivo n. 35 del 2011, emesso dal Tribunale di Ancona, fondatamente ha chiesto ed ottenuto la revocatoria ex art. 2901 c.c. dell’atto a rogito notaio S.A. di ***** del 6 dicembre 2010 e trascritto il 16/12/2010 di costituzione in fondo patrimoniale dell’appartamento sito in Comune di *****, di proprietà del Br. nonché di porzione del fabbricato sito in *****, in quanto pregiudizievole per il soddisfacimento delle proprie pretese creditorie), e la decisione dalla corte di merito adottata nell’impugnata decisione in ordine alla ricorrenza nella specie “delle condizioni soggettive ed oggettive richieste dall’art. 2901 c.c.” rimangono pertanto dagli odierni ricorrenti (che si limitano ad inammissibilmente riproporre la loro tesi difensiva in ordine all’insussistenza in particolare di “un credito legittimo preesistente” in capo alla Banca legittimante la revoca degli affidamenti e la risoluzione del contratto di conto corrente in argomento) non idoneamente censurati.

Con particolare riferimento al 1 motivo va posto ulteriormente in rilievo come, a fronte dell’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui “in relazione all’ulteriore aspetto costituito dalla doglianza concernente il capo della sentenza impugnata in cui si è evidenziato che il mancato rispetto del termine previsto dall’art. 1845 c.c., costituisce soltanto una violazione di carattere formale (per cui, ove il correntista o il fideiussore rimasto inadempiente non fornisca la prova che il rispetto del termine medesimo gli avrebbe consentito il pagamento e, di conseguenza, evitato il recesso, ciò non può integrare un comportamento contrario alla buona fede da parte della Banca), si è prospettata, ai fini della configurazione di una violazione dell’obbligo di diligenza, la revoca ingiustificata degli affidamenti relativi al “conto anticipazioni” creando, secondo l’assunto, una situazione debitoria non attualer.occorrendo attendere l’esito degli effetti del portafoglio commerciale, come noto regolati salvo buon fine, è sufficiente rilevare che la questione riguardante l’effettiva sussistenza di una situazione debitoria in ordine alla cui rilevanza in questa sede si è già detto, non è in grado, di per sé, di far venir meno la ratio decidendi della pronuncia impugnata né di consentire il riconoscimento dell’invocata tutela risarcitoria in difetto di idonei elementi probatori al riguardo”, nel dedurre essere rimasto invero “appurato ed incontestabile” che “gli istituti di credito non avrebbero atteso il termine previsto dall’art. 1845 c.c.”, e che “la revoca ingiustificata degli affidamenti relativi al conto anticipazioni” nella specie ingeneri “una situazione debitoria non attuale”, gli odierni ricorrenti lamentino l’erroneità di tale motivazione per essere “evidente che… il mancato rispetto dei termini dedotti dalla norma citata da parte degli istituti è fatto incontestato e provato”, facendo invero richiamo ad atti e documenti (come sopra evidenziato in violazione del requisito a pena di inammissibilità prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) asseritamente comprovanti: la loro mancanza di consapevolezza del pregiudizio nel caso arrecato dalla costituzione di fondo patrimoniale de quo; la non correttezza del comportamento volto a precostituire “le condizioni per forzare la richiesta di un decreto ingiuntivo”, invero “frutto di un artificio (considero oggi che non riceverò il pagamento di quanto anticipato)”, atteso che “questi anticipi si tramutano in credito effettivo solamente se non vanno a buon fine”; il mancato rispetto del termine previsto all’art. 1845 c.c.; l’insussistenza di un effettivo credito preesistente legittimante il recesso o la risoluzione senza giusta causa del rapporto creditorio costituito dal conto anticipazioni.

A parte la considerazione che al di là della formale intestazione dei motivi i ricorrenti deducono in realtà doglianze (anche) di vizi di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’insufficiente od omessa di motivazione ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (e in particolare della “perizia estimativa versata in atti”) (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014 n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312), va osservato che a tale stregua la ratio decidendi dell’impugnata sentenza risulta dagli odierni ricorrenti non (quantomeno idoneamente) censurata.

Atteso che la corte di merito ha nella specie fatto corretta applicazione sia del principio affermato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale l’azione revocatoria può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, avendo l’art. 2901 c.c. (in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito (v. Cass., 5/3/2009, n. 5359)) accolto una nozione lata di credito comprensiva della ragione o aspettativa, anche del credito eventuale, ivi ricompreso il credito litigioso (cfr. Cass., 27/12/2016, n. 27016; Cass., 22/3/2016, n. 5619. Cfr. altresì Cass., 19/11/2015, n. 23666); sia, per altro verso, del principio secondo cui il debitore che agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso o della risoluzione senza giusta causa ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (v. in particolare Cass., 18/6/2019, n. 16221; Cass., 19/7/2018, n. 19207; Cass., 24/8/2016, n. 17291; Cass., 3/2/2015, n. 1902; Cass., 7/3/2008, n. 6186; Cass., 29/3/2007, n. 7767; Cass., 11/1/2006, n. 394. Cfr. altresì Cass., 5/11/2002, n. 15487; Cass., 6/5/1998, n. 4578), va posto in rilievo che, essendosi i medesimi limitati a dedurre di aver “fornito la prova documentale del fatto (doc. 4 allegato alla memoria 183 c.c.) che la Ancosped è titolare di un immobile di un valore di circa due milioni di Euro ampiamente idoneo a soddisfare ogni credito anche nella denegata ipotesi che sia ritenuto essere esistente” in violazione – come detto – dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non risulta dagli odierni ricorrenti (quantomeno idoneamente) censurata la ratio decidendi secondo cui non hanno invero provato che il rispetto del termine ex art. 1845 c.c., avrebbe consentito loro il pagamento e di evitare “la revoca ingiustificata degli affidamenti relativi al conto anticipazioni”.

A tale stregua, il ricorso si appalesa pertanto inammissibile anche ex art. 360 bis c.p.c..

Con particolare riferimento al 2 motivo, va ulteriormente sottolineato che non risulta dai ricorrenti nemmeno indicata quale sia stata la censura mossa in sede di gravame in ordine agli atti di cui denunziano la mancata disamina da parte del giudice di prime cure.

Quanto al 3 motivo, va ulteriormente posto in rilievo, da un canto, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria non deve farsi luogo a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c., in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronunzia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (v. Cass., Sez. Un., 18/05/2004, n. 9440, e, conformemente, Cass., 17/7/2009, n. 16722; Cass., 14/5/2013, n. 11573; Cass., 10/2/2016, n. 2673; Cass., 27/12/2016, n. 27016; nonché da ultimo, Cass., 5/2/2019, n. 3369).

Per altro verso, che non risulta dagli odierni ricorrenti nemmeno fornita “la prova dell’identità soggettiva ed oggettiva” del richiamato “giudizio R.G. n. 2960/2011”, essendosi i medesimi limitati a fare al riguardo riferimento alla “copia della comparsa di risposta nella causa R.G. 2960” asseritamente versata “in atti (doc. 3)” con la “memoria ex art. 183 c.p.c., n. 2” in violazione, come detto, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Emerge a tale stregua evidente come gli odierni ricorrenti inammissibilmente prospettino in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna delle controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’eventuale ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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