LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15997/2019 proposto da:
R.F., elettivamente domiciliato in Torino, corso Vinzaglio 2, presso lo studio dell’avv. Giancarlo Faletti, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Giovanni Limatola, del foro di Napoli per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
B.G., B.F. e C.R., tutti in proprio e nella qualità di eredi di B.R.M. (deceduta), elettivamente domiciliati in Roma, Piazzale Dei Partigiani 7, presso lo studio dell’avvocato Miranda Marina, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Miranda Antonello;
– controricorrenti –
e contro
Generali Italia s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere della Vittoria 5, presso lo studio dell’avv. Giovanni Arieta, che la rappresenta e difende per procura speciale in atti;
– controricorrente –
e contro
***** s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma Circonvallazione Clodia 167, presso lo studio dell’avvocato Sansone Antonella, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Maria La Mantia, per procura speciale in atti;
– controricorrente –
e contro
Ra.Ma.Co., Ca.An., Ca.Do., Ca.An.Ma., quali eredi di Ca.Gi.; Ce.Ca.;
Italiana Ass.ni s.p.a.; Allianz (già RAS) s.p.a.; Unipol Ass.ni s.p.a.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5349/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2022 dal Cons. Dott. Lina RUBINO;
udito l’Avvocato;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SOLDI.
FATTI DI CAUSA
1.- Avverso la sentenza n. 5349/ 2019, depositata il 22 novembre 2018 dalla Corte d’appello di Napoli, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi ed illustrato da memoria il Dott. R.F., nei confronti di B.G., C.R. e B.F., Ra.Ma.Co., Ca.An., Ca.Do., Ca.An.Ma., in qualità di eredi di Ca.Gi., ***** s.r.l., Ce.Ca., Italiana Ass.ni s.p.a., Allianz s.p.a. (già RAS s.p.a.) Compagnia assicuratrice Unipol s.p.a..
2. – Resistono con unico controricorso illustrato da memoria i signori B. e C..
3. – Resiste con controricorso anch’esso illustrato da memoria Generali Italia s.p.a..
4. – Resiste con autonomo controricorso la ***** s.r.l..
5. – Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
6. – La causa è stata avviata alla trattazione in pubblica udienza.
7. – Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede il rigetto del ricorso.
8. – Questi i fatti, per quanto ancora qui rilevino:
– nel 1999 B.G. e C.R., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore B.R.M. convenivano in giudizio la clinica privata ***** SRL, ove la bambina era venuta alla luce nel *****, nonché il personale medico coinvolto nel parto: il Dottor R.F., medico ginecologo, la signora Ce.Ca., ostetrica, e il direttore sanitario della clinica, Dottor Ca.Gi., per ottenere il risarcimento dei danni riportati in proprio dalla figlia minore a seguito della anossia verificatasi al momento del parto. La piccola riportava infatti una paralisi cerebrale infantile ad espressione tetraparetica di tipo spastico associata ad epilessia mentale con difficoltà di tipo broncopneumonico soggette a ricorrenti complicanze, con conseguente invalidità permanente totale: ricoverata più volte nel corso degli anni in varie cliniche, subì interventi, le fu impiantata una sonda per la somministrazione del cibo, venne sottoposta senza apprezzabili esiti a diversi trattamenti riabilitativi e infine morì nel ***** per arresto cardiaco conseguente ad insufficienza respiratoria acuta;
– gli attori allegavano in particolare che il R., ginecologo di fiducia della C. (che aveva solo 18 anni al momento del parto), che aveva indicato alla partoriente quella particolare struttura ove recarsi a partorire, e che aveva concordato di assisterla personalmente anche durante il parto, benché contattato al momento del ricovero affinché si recasse in clinica per assistere al parto, si presentava tardivamente alla casa di cura, così che il parto avveniva esclusivamente con l’assistenza del personale medico-infermieristico della casa di cura (il medico di guardia, F., mai evocato in causa, e l’ostetrica Ce., convenuta in giudizio). La bambina nasceva poco vitale è veniva trasferita all’Ospedale *****, il che non scongiurava appunto l’invalidità permanente nella misura del 100%;
– all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Nola dichiarava la prescrizione delle domande proposte in proprio da B.G. e dalla figlia di questi, B.F.; dichiarava la responsabilità di tutti i convenuti, condannandoli al pagamento della complessiva somma di Euro 1.828.463 Euro in favore di B.G. e C.R. quali eredi e della somma di Euro 356.150 in favore di C.R. in proprio; ripartiva la responsabilità, nei rapporti interni, ponendola per il 60% a carico del R. e per il rimanente 40% a carico della casa di cura; accoglieva altresì la domanda di manleva spiegata dal R. nei confronti della Ina Assitalia, sua compagnia di assicurazione, nei limiti del massimale assicurativo non rivalutato;
– gli eredi del direttore sanitario Ca. proponevano appello principale, come pure la *****; il Dottor R. si costituiva spiegando appello incidentale, in cui chiedeva la riforma della sentenza negando di avere alcuna responsabilità o quantomeno la rideterminazione della graduazione della colpa. Chiedeva in subordine che fosse rivalutato il massimale di cui al contratto di assicurazione da lui stipulato con l’Ina Assitalia ed anche il massimale previsto dalla polizza con la Ras.
9. – La Corte d’appello di Napoli con la sentenza qui impugnata:
accoglie l’appello principale degli eredi Ca. e rigettava la domanda proposta dagli attori nei confronti del direttore sanitario;
in parziale accoglimento dell’appello della ***** e degli appelli incidentali delle altre parti, ridetermina al ribasso gli importi dovuti, condannando la *****, l’ostetrica Ce. e il ginecologo R. in solido al pagamento in favore di B.G. e C.R. quali eredi della figlia della somma di Euro 563.643; per il resto conferma la sentenza impugnata: in particolare, conferma la responsabilità del R. e la misura della ripartizione interna delle responsabilità tra il R. e la clinica, e rigetta la domanda del R. nei confronti delle compagnie assicurative, volta alla rivalutazione dei massimali di polizza.
9.1 – La sentenza d’appello preliminarmente precisa che la sentenza di primo grado è passata in giudicato: a) nella parte in cui ha dichiarato prescritta l’azione proposta in proprio da Ba.Gi. e dalla figlia M.F.; b) nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e comunque infondata la domanda di risarcimento del danno cosiddetto tanatologico subito dalla figlia R.M., proposta dai genitori quali eredi; c) nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico formulata da C.R. in proprio e di rimborso delle spese mediche; d) nella parte in cui ha accolto la domanda di manleva proposta dalla casa di cura contro i suoi assicuratori Unipol e Allianz.
9.2 – Richiama le circostanze più importanti, accertate nel corso del giudizio di primo grado: oltre a quanto già richiamato, il fatto che la gestante non fu monitorata elettronicamente durante il travaglio e in sala parto e che nella cartella clinica non fosse riportato dopo la nascita l’indice di Apgar. Condivide le conclusioni tratte, sulla base degli accertamenti eseguiti, dalla sentenza di primo grado nel senso della esclusione che la grave patologia neurologica fosse stata causata da fattori prenatali e della attribuzione di rilevanza causale alla anossia verificatasi al momento del parto, che pone in rapporto causale, sulla base della regola del più probabile che non, con la carente assistenza e la mancanza di monitoraggio con appositi macchinari (che avrebbero potuto rilevare la sofferenza fetale e far propendere per un intervento cesareo d’urgenza), nonché con la impossibilità di eseguire una adeguata ventilazione assistita subito dopo la nascita, a cui la corte d’appello aggiunge la rilevanza del colpevole ritardo con il quale la neonata venne trasportata, dopo il parto, presso la struttura specializzata. Tutti i profili indicati vengono qualificati come condotte idonee a cagionare la patologia neurologica secondo il criterio del più probabile che non, in assenza di fattori di rischio che possano escludere la natura perinatale dell’anossia.
9.3 – La Corte d’appello conferma quindi la responsabilità per il danno subito dalla neonata in capo alla struttura sanitaria, per non aver fornito un’adeguata assistenza alla partoriente e all’ostetrica per non aver tenuto una condotta professionale diligente.
9.4 – Rigetta l’eccezione di prescrizione relativa alla domanda proposta dai signori B. e C. come eredi puntualizzando che fino all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco la responsabilità del medico e della casa di salute doveva ritenersi di natura contrattuale, e che solo dopo l’entrata in vigore della predetta legge e in relazione agli eventi verificatisi successivamente la responsabilità del medico è da inquadrare nella responsabilità extracontrattuale.
9.5 – Quanto alla posizione del Dottor R., la sentenza afferma, sulla base dei su richiamati elementi emersi dall’istruttoria di primo grado, che tra la paziente e il medico si era instaurata una relazione qualificabile come contatto sociale da cui scaturisce la responsabilità contrattuale del medico anche in riferimento al parto. In particolare la sentenza di appello attribuisce rilevanza causale al ritardo con cui il medico, che era in ferie, arrivò in clinica, a parto già avvenuto, reputando, secondo il criterio del più probabile che non, che il danno non si sarebbe verificato se il medico fosse intervenuto in tempo e avesse rilevato attraverso il monitoraggio lo stato di sofferenza del feto e la necessità di intervenire immediatamente con un parto cesareo; inoltre il medico indirizzò la paziente presso quella determinata struttura pur sapendo che, come quasi tutte le cliniche private, non era dotata di un reparto di neonatologia e non era in grado di garantire un’adeguata assistenza in caso di emergenza. Conferma, sulla base di tutti gli elementi probatori raccolti e valorizzati nel percorso motivazionale, sia la responsabilità del R. che la graduazione della responsabilità dal lato interno, che vede a suo carico il 60% ed il residuo 40% a carico della struttura.
9.6 – In ordine alla quantificazione del danno, la sentenza impugnata accoglie gli appelli, evidenziando che per la quantificazione fosse stata presa erroneamente in considerazione la previsione di durata media della vita del soggetto leso e non la durata effettiva della vita della vittima, conclusasi nel *****, anteriormente alla liquidazione del danno. Ridetermina pertanto in una minor somma il danno subito dalla defunta R.M. sulla base delle tabelle di Milano tenendo conto del tempo della sua effettiva sopravvivenza, danno che viene liquidato come danno non patrimoniale iure hereditario in favore dei genitori. Rigetta la domanda di liquidazione del danno patrimoniale ritenendo di poter escludere la possibilità che la defunta avrebbe potuto contribuire al sostentamento della famiglia, in ragione proprio delle condizioni di totale e permanente invalidità in cui versava la povera B.R.M..
9.7 – Rigetta i motivi di appello incidentale delle compagnie di assicurazioni fondati sulla eccezione di prescrizione.
9.8 – Infine, conferma il rigetto della domanda di mala gestio proposta dal R. nei confronti della sua compagnia di assicurazione, in quanto generica e non supportata da alcuna specifica allegazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
10. – Con il primo motivo di ricorso il Dott. R. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione alla natura contrattuale del rapporto in essere con la signora C. quale suo ginecologo di fiducia, in virtù del quale, ricevuta la chiamata, avrebbe dovuto recarsi con urgenza in clinica ed assistere la C. nel parto, mentre sopraggiungeva solo a diverse ore dalla chiamata, a parto già compiuto.
12. – Il motivo è infondato, se non radicalmente inammissibile. Esso non confuta, in diritto, la ricostruzione in termini contrattuali del rapporto di assistenza sanitaria con la paziente, non critica la sentenza impugnata nella sua ricostruzione giuridica, critica invece la rilevanza data dalla sentenza di appello alle singole risultanze istruttorie. In definitiva, la critica si appunta non sulla violazione di legge ma piuttosto sull’accertamento di fatto e sulla valutazione di merito relativa all’accertamento di fatto. La sentenza, dopo esaminato le varie risultanze istruttorie, ritiene provato che il medico, ginecologo di fiducia della C., avesse dato la sua disponibilità ad assistere la signora C. anche durante il parto previa chiamata, che era stato chiamato e tuttavia si era presentato in clinica solo ad ore di distanza, a parto già terminato, ed anche che aveva indicato alla paziente di partorire in quella determinata clinica perché a quella si appoggiava per le sue attività extra ospedaliere. La sentenza impugnata collega questi elementi e ne trae la conclusione che il rapporto contrattuale tra medico e paziente fosse comprensivo dell’impegno di assistenza diretta anche al parto, rispetto al quale il ricorrente è stato inadempiente, con incidenza diretta sullo svolgimento del parto e sulla salute della piccola R.M..
13. – Come sottolineato dal Procuratore generale, quella che pone in essere il ricorrente è l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna rispetto all’esatta interpretazione della norma e che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito come tale sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).
14. – Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla sopravvenuta disciplina di cui alla L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, in materia di responsabilità ex art. 2043 c.c. dell’esercente la professione sanitaria; inoltre denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente proprio nella natura della responsabilità sanitaria alla luce del predetto art. 7, comma 3, oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente sostiene che, esclusa la configurabilità di detto rapporto in termini contrattuali per quanto detto nel primo motivo, dovesse escludersi anche l’applicabilità della teoria del contatto sociale e ricondursi il rapporto tra R. e la paziente nell’alveo della responsabilità extracontrattuale come previsto dalla L. n. 24 del 2017.
15. – Il motivo è infondato.
Preliminarmente, esso presupporrebbe l’accoglimento del primo motivo di ricorso, perché l’art. 7, comma 3 della leggE del 2017 prevede che l’esercente la professione sanitaria risponda ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Quindi, poiché in questo caso rimane fermo l’accertamento relativo alla esistenza di una diretta obbligazione contrattuale assunta dal R. nei confronti della partoriente, è escluso che il richiamo, anche laddove fosse applicabile ratione temporis, alla Legge del 2017 sia idoneo ad escludere la configurabilità del rapporto in termini di responsabilità contrattuale. Al rigetto del primo motivo di ricorso, consegue quindi il rigetto del secondo motivo perché, ferma la ricostruzione della fattispecie in termini di rapporto contrattuale diretto tra il ginecologo di fiducia e la paziente, essa rimarrebbe comunque sottratta all’ambito di applicazione della L. n. 24 del 2017, richiamato art. 7, comma 3, anche laddove la norma fosse ratione temporis applicabile.
In ogni caso, come osservato dai controricorrenti, la fattispecie dannosa si era già completamente esaurita ben prima dell’entrata in vigore dello stesso D.L. n. 158 del 2012, oltre che naturalmente della L. n. 24 del 2017, per cui la fattispecie è inquadrabile soltanto nell’ambito del diritto vivente di formazione giurisprudenziale che riconduce il rapporto medico paziente all’ambito contrattuale. Questa Corte ha già chiaramente affermato che, contrariamente all’assunto del ricorrente, le norme introdotte dal D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito dalla L. n. 189 del 2012 e dalla L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatesi anteriormente alla loro entrata in vigore (Cass. n. 28994 del 2019).
Dall’infondatezza del motivo deriva l’infondatezza delle osservazioni del ricorrente sul regime di prescrizione applicabile, che assume quinquennale e non decennale ipotizzando di poter inquadrare il rapporto con la propria paziente nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.
16. – Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente R. denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2043 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla discussa individuazione della fase, precedente o successiva al parto, in cui si sarebbe generata la grave conseguenza di danno in capo alla minore R.M. e di conseguenza in relazione alla sussistenza o insussistenza del rapporto di causalità tra la pretesa condotta omissiva del Dottor R. e l’evento.
A questo proposito, il ricorrente ricorda che dalla CTU effettuata in primo grado risultò accertato che l’anossia si manifestò al momento della nascita, avvenuta con parto spontaneo dopo un travaglio relativamente prolungato assistito dal medico di turno della struttura sanitaria e dall’ostetrica Ce., senza che fino a quel momento vi fossero segni di sofferenza fetale. Quindi sostiene che mancherebbe la prova del nesso causale tra il suo operato e i danni riportati dalla paziente. In particolare, il ricorrente segnala che la mancanza di monitoraggio e anche la mancata compilazione della cartella clinica non rileverebbero, mentre la sentenza proprio sulla mancanza di questi elementi avrebbe fatto leva per l’accertamento del nesso di causalità.
16.1 – Ass.ni Generali Italia spa, assicurazione del danneggiante R., nel suo controricorso precisa che ha interesse a fare proprie le difese svolte dal ginecologo a sostegno della cassazione del capo della sentenza impugnata laddove essa ha affermato la sussistenza del nesso causale tra la condotta dei sanitari, incluso il ginecologo, e l’evento ipossico che ha colpito la vittima. Sottolinea che nella sentenza impugnata c’e’ un salto logico, laddove si distacca dalle conclusioni dei consulenti tecnici: i ctu, pur indicando i vari comportamenti imperiti e negligenti tenuti da quanti parteciparono al parto, non attribuiscono ad essi rilevanza causale sulla ipossia riportata dalla bambina al momento del parto, anzi, al contrario, il supplemento di ctu esclude dalla serie causale il mancato monitoraggio ecotomografico e anche la mancata annotazione in cartella clinica del punteggio di Apgar. La controricorrente afferma che non risulti provato che il danno riportato dalla bambina sia in rapporto causale con le negligenti condotte del personale sanitario e con le carenze della struttura sanitaria. E sostiene che, non avendo i danneggiati provato il nesso causale, il danno debba ritenersi determinato da causa incerta, e quindi che di esso non possano essere ritenuti responsabili né la struttura sanitaria, né il medico.
17. – Il motivo è infondato.
Sul punto la corte d’appello, condividendo la valutazione del primo giudice, individua una serie di comportamenti e di situazioni atte ad integrare negligenza, imprudenza o imperizia, alcuni ascrivibili alla clinica e al suo personale, alcuni direttamente dal R. ed alcune circostanze di fatto che, tutti insieme, nel loro collegamento funzionale, reputa, secondo la corretta regola di giudizio del più probabile che non, che fossero sufficienti per ritenere provata la sussistenza del nesso di causalità materiale tra l’operato dei sanitari e il verificarsi del danno, e sono, in sequenza logica, il fatto che la giovane (18 anni) puerpera non avesse avuto alcun problema durante la gravidanza, né fosse stata rilevata una sofferenza fetale negli esami compiuti a carico del feto; il fatto che il R., ginecologo di fiducia, la indirizzò verso una struttura privata priva delle strumentazioni adeguate idonee a rilevare con immediatezza una sofferenza fetale, e di una equipe medico-ginecologica pronta e disponibile per farsi carico di eventuali complicazioni o emergenze mediante un intervento cesareo d’urgenza, il fatto che il medico di fiducia della partoriente, pur avendo dato preventivamente la sua disponibilità, e pur essendo stato chiamato, non fu presente al parto; il fatto che non venne rilevato il battito cardiaco del feto con l’apposito macchinario, ma solo con l’auscultazione ostetrica; il fatto che non venne neppure annotato il basso livello del punteggio di Apgar, e infine il fatto che la neonata venne trasferita al *****, dove provarono a somministrarle cure adeguate, non con assoluta immediatezza. La corte non afferma, né è in grado di affermare con certezza se l’anossia sia scaturita da uno o dall’altro di questi eventi, né se le sue conseguenze così totalizzanti non si sarebbero verificate se l’uno o l’altro o tutti gli elementi citati non fossero stati presenti, e tuttavia ritiene, con valutazione in fatto adeguatamente motivata, che se tutta questa serie di inadempienze, in parte imputabili alla struttura sanitaria, in parte al ginecologo, non fosse stata posta in essere, è più probabile che non che la piccola non avrebbe riportato i danni permanenti che invece ebbe a subire. Ha ritenuto quindi raggiunta, applicando a tal fine il consolidato principio indicato dalla giurisprudenza di questa Corte del “più probabile che non”, la prova della causalità materiale dell’evento di danno in capo alla struttura sanitaria e al medico di fiducia della partoriente.
18. – Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1228 e 2043 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al riparto delle responsabilità tra il medico e la casa di cura.
Sostiene che essendosi verificata l’anossia dopo il parto nessuna responsabilità era a lui ascrivibile per aver risposto con ritardo alla chiamata ed essersi presentato in ospedale a parto ormai portato a termine, o comunque che la sua condotta avrebbe dovuto portare a una ripartizione più favorevole delle responsabilità. Evidenzia che l’affermazione su cui si fonda l’attribuzione a suo carico della responsabilità nella misura prevalenza del 60%, cioè quella dell’esistenza di un’ipotetica sofferenza fetale preesistente colposamente non rilevata e non evidenziata in cartella da chi operava sia rimasta del tutto indimostrata e comunque sostiene che le condotte precedenti al parto non erano addebitabili a lui ma ai soggetti che erano effettivamente presenti al parto e si sono adoperati per esso in funzione della loro attività di dipendenti o di collaboratori con la casa di cura.
19. – Il motivo è inammissibile, in quanto è formulato in forma di contestazione dell’accertamento in fatto che ha portato alla ripartizione delle responsabilità.
20. – Si aggiunga che la valutazione del peso della responsabilità gravante sul medico ginecologo, ai fini della ripartizione interna della responsabilità del danno, una volta ricostruito il suo ruolo in termini di medico di fiducia della gestante, che l’aveva seguita per tutta la gravidanza e aveva assunto l’impegno ad assisterla anche durante il parto, non si restringe, nella motivazione della corte d’appello, solo alla valutazione del comportamento, più o meno diligente e perito, tenuto al momento del fatto (e in questo caso, caratterizzato dalla totale assenza del medico), ma è comprensiva anche della valutazione della correttezza e dell’incidenza causale di una serie di indicazioni date dal professionista alla sua paziente, precedenti al parto, ed atte ad incidere sulle condizioni di sicurezza della partoriente, quali, prima tra tutte, l’indicazione di una determinata struttura sanitaria priva di strumentazione adeguata, di equipe medica per le emergenze, di un reparto di neonatologia, circostanze tutte prese in considerazione dalla corte d’appello.
21. – Infine, con il quinto motivo di ricorso il R. denuncia l’apparente perché inconferente motivazione della sentenza a proposito della domanda di mala gestio impropria da lui formulata sin dal primo grado di giudizio ovvero per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio sul punto oggetto di discussione tra le parti.
22. – Il motivo è inammissibile. Il ricorrente si limita ad una astratta ricostruzione dell’istituto della mala gestio impropria ma non riproduce né richiama con precisione il contenuto della domanda da lui effettivamente formulata nei gradi di merito, e non si confronta affatto con la motivazione della sentenza appellata, che riconduce la domanda proposta nell’ambito della mala gestio propria, relativa ai rapporti assicuratore-assicurato, che trova il suo fondamento nell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, e, così inquadrata la domanda nell’ambito dell’inadempimento contrattuale, ne fa discendere un onere di allegazione e prova, rimasto insoddisfatto, in capo all’assicurato (la sentenza impugnata fa riferimento ai principi affermati da Cass. n. 3014 del 2016).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti B. e C., e si liquidano come al dispositivo.
In ragione della complessità della vicenda e delle posizioni solo in parte contrapposte sono compensate nei confronti degli altri controricorrenti. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti C.R., B.G. e F., che liquida in complessivi Euro 13.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Compensa le spese tra il ricorrente e gli altri controricorrenti.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 12 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022