Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.30690 del 27/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ALITALIA COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A., AIR ONE S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PO 25B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI e MAURIZIO SANTORI, che le rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO CIVITELLI, FRANCESCA VERDURA, TIZIANA LARATTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 997/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/10/2013 r.g.n. 2187/2011.

Rilevato che:

il Tribunale di Milano, con sentenza nr. 1693 del 2011, rigettava la domanda proposta da B.J. (assunto da Air One SpA, in qualità di assistente di volo, con contratto a tempo indeterminato dal *****) diretta ad accertare la nullità e/o l’illegittimità del termine apposto a plurimi contratti di lavoro sottoscritti tra il 25.5.2001 ed il 20.10.2004 (tra il lavoratore ed Air One SpA) con il conseguente accertamento di sussistenza, ab origine, di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condanna di Alitalia Compagnia Aerea Italiana SpA, subentrata ad Air One SpA, ex art. 2112 c.c., alla ricostruzione della carriera ed alle differenze di retribuzione; accoglieva la domanda di accertamento del diritto all’orario di lavoro part time;

la Corte di Appello di Milano, investita con gravame dal lavoratore, con sentenza nr. 997 del 2013, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava, invece, la illegittimità dell’apposizione del termine al contratto del 25.5.2001, con ogni consequenziale statuizione anche risarcitoria; dichiarava, inoltre, il diritto del lavoratore alla ricostruzione della carriera con riconoscimento dell’anzianità di servizio fin dall'*****, condannando Air One SpA, in solido con Alitalia Compagnia Aerea Italiana SpA fino all'*****, al pagamento delle maturate differenze di retribuzione;

hanno proposto ricorso per cassazione Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.A. (ora Compagnia Aerea Italiana S.p.A.) ed Air One S.p.A, affidato a sei motivi;

ha resistito, con controricorso, il lavoratore;

le ricorrenti ed il controricorrente hanno depositato memoria ex art. 381 c.p.c., bis 1.

Considerato che:

con il primo motivo, le società deducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1372,1418,1419,1406 e 2697 c.c; inoltre – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (la censura attiene al rigetto dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso e riguarda la valutazione dei giudici di merito in ordine all’inidoneità del decorso del tempo intercorso tra la scadenza dell’ultimo contratto e l’impugnativa a disvelare una volontà risolutiva, tanto più in presenza della stipulazione, nelle more, del contratto a tempo indeterminato);

il motivo è infondato alla stregua dell’orientamento di legittimità (cfr. Cass. nr. 29871 del 2017; Cass. nr. 13660 del 2018; Cass. nr. 13958 del 2018), cui in questa sede va data continuità, in virtù del quale in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo svolgimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, sottratto al sindacato di legittimità, se non nei ristretti limiti in cui lo è ogni indagine di fatto ai sensi dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente;

nel caso in esame, la Corte territoriale, con argomentazioni logiche e giuridicamente corrette, ha valutato anche le vicende relative alla successiva assunzione a tempo indeterminato, evidenziando come il protrarsi della inerzia imputabile al dipendente non poteva interpretarsi quale sintomo di disinteresse e volontà abdicativa nei riguardi di un rapporto che non era cessato, bensì si trovava in pieno ed effettivo corso di svolgimento nella modalità a tempo indeterminato e che tale sopravvenuta assunzione rappresentava la più concreta ed univoca manifestazione del suo interesse a non risolvere il rapporto lavorativo;

con il secondo motivo, le società deducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c; inoltre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5,- deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (la censura attiene al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello sotto il profilo del difetto di specificità);

il motivo si arresta al preliminare rilievo di inammissibilità, non avendo le ricorrenti trascritto l’atto di gravame; se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un vizio per “errores in procedendo”, quale è quello qui denunciato, è anche giudice del fatto ed è investito del potere di esaminare direttamente gli atti sui quali il ricorso si fonda, è altrettanto necessario (non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”) che la censura sia stata proposta in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (e, dunque, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; cfr. Cass., sez.un., nr. 8077 del 2012; ex plurimis, Cass. nr. 896 del 2014);

con il terzo motivo, le società deducono -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. f), dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (la censura riguarda la ritenuta insussistenza del requisito di specificità; secondo la parte ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la ragione dell’assunzione, ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. c), sarebbe stata specificamente dedotta nella memoria di primo grado);

il motivo è infondato;

la Corte di Appello, conformemente ai principi elaborati da questa Corte, ha ritenuto necessaria la forma scritta ad substantiam solo quanto all’apposizione del termine (cfr. Cass. nr. 10607 del 2002); ha, quindi, osservato come fosse a carico della parte datoriale la prova della sussistenza dei motivi legittimanti, ai sensi della L. n. 230 del 1962, l’apposizione del termine;

la valutazione espressa dai giudici di merito in ordine all’omessa allegazione e prova delle circostanze giustificative del termine integra un giudizio di fatto rispetto al quale resta inconferente l’assunta violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c.;

un problema di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. o dell’art. 2697 c.c., non può, infatti, porsi nei termini indicati dalle ricorrenti, ma solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: a) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposto di ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; b) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; c) abbia invertito gli oneri probatori; ipotesi, queste, non ravvisabili nella fattispecie in esame;

con il quarto motivo, le società deducono -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 1230,1231 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; inoltre – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (la censura riguarda la statuizione di rigetto dell’eccezione di novazione e, in particolare, la ritenuta insussistenza di una portata novativa, rispetto ai diritti nascenti dalla unicità del rapporto, dell’accordo sottoscritto il *****);

il motivo è parimenti infondato;

questa Corte ha ripetutamente osservato come la novazione oggettiva si configuri quale contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche; di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l'”animus novandi”, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l'”aliquid novi”, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. L’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di merito che si sottrae al sindacato di legittimità se è conforme alle disposizioni contenute nell’art. 1230 c.c., comma 1 e art. 1231 c.c. e se risulta congruamente motivato (ex plurimis, Cass. nr. 17328 del 2012);

la Corte territoriale ha applicato correttamente tale principio, svolgendo la propria indagine sugli elementi sopra menzionati e, con congrua argomentazione, ha evidenziato le ragioni per cui il venir meno del termine finale, fermo restando ogni altro aspetto del rapporto, non era sufficiente ad evidenziare la comune volontà novativa delle parti, nè la causa novandi;

con il quinto motivo, le società deducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 (la sentenza è censurata nella parte in cui afferma la responsabilità solidale di Alitalia CAI SpA nonostante i contratti a termine si fossero risolti in epoca precedente al subentro della società nel rapporto);

il motivo è infondato;

deve rilevarsi che: a) nei casi di successione di contratti a termine stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge, si opera una conversione dei diversi contratti in un unico rapporto a tempo indeterminato e, quindi, seppure per una fictio iuris, deve ritenersi l’esistenza di un unico rapporto lavorativo a tempo indeterminato (cfr. in motivazione Cass. nr. 14827 del 2018; Cass. nr. 14996 del 2012); b) ai fini della operatività della disciplina di cui all’art. 2112 c.c., con particolare riguardo alla solidarietà tra cedente e cessionario, occorre la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento di azienda (cfr. Cass. n. 7517/2010; Cass. n. 4598/2015);

nella fattispecie, il riconoscimento, ab initio, di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato e, dunque, la vigenza dell’ “unico” rapporto di lavoro al momento del trasferimento ha reso operante il meccanismo della responsabilità solidale ex art. 2112 c.c., per tutti i crediti che, benchè riconosciuti in via giudiziaria in epoca successiva al trasferimento, erano comunque ” (…) ricollegabili alla posizione lavorativa assunta anteriormente al trasferimento” (Cass. nr. 5909 del 1998);

con il sesto motivo, deducono – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 4 e 5, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 6 C.C.A.L. del personale di cabina della società Air One (i rilievi riguardano la statuizione di accertamento del diritto – con relativa condanna – al pagamento di differenze di retribuzione in virtù del riconoscimento di un unico rapporto di lavoro; secondo la parte ricorrente, l’indennità ex art. 32 cit., in quanto onnicomprensiva, assorbirebbe qualsiasi differenza retributiva connessa al riconoscimento dell’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato, ivi compreso, quindi, ogni incremento legato all’anzianità e/o alla progressione di carriera);

il motivo è infondato;

la pronuncia di secondo grado è conforme ai principi di legittimità (Cass. nr. 262 del 2015; Cass. nr. 17248 del 2018) secondo cui, nel caso di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato con conversione in un unico rapporto a tempo indeterminato, l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è esaustiva del diritto al ristoro per gli intervalli non lavorati in quanto inclusiva di tutti i danni, retributivi e contributivi, subiti dal lavoratore, mentre per i periodi lavorati spetta anche, oltre alla retribuzione maturata, il riconoscimento della anzianità di servizio e, dunque, la maturazione degli scatti di anzianità;

la gravata sentenza -in assenza di altre specifiche censure- non è, dunque, incorsa nelle denunziate violazioni di legge;

complessivamente, il ricorso va respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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