Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.30947 del 29/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giudo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 140/2015 proposto da:

FALEGNAMERIA D.R. & C. s.n.c., legalmente rappresentata da D.R., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANTONIETTA LAZZARUOLO ed elettivamente domiciliata presso lo studio della medesima in ROMA, P.ZZA CAVOUR 10;

– ricorrente –

contro

G.W., rappresentato e difeso dagli Avvocati GIGLIOLA MAZZA RICCI e COSTANZA RADICE, ed elettivamente domiciliato presso lo studio della prima in ROMA, VIA di PIETRALATA 320;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1208/14 della CORTE d’APPELLO di TORINO, depositata il 20/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione in data 30.12.2011 la FALEGNAMERIA D.R. & C. s.n.c. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Verbania G.W., chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di Euro 8.190,00, come da fattura n. *****, oltre agli interessi. Specificava di aver provveduto alla fornitura e posa in opera di una porta blindata senza ricevere contestazioni, e che in data 27.7.2010 il convenuto aveva ordinato due porte blindate, successivamente rifiutandole e negando di averle ordinate. La Falegnameria lamentava dunque che, dal termine dell’esecuzione dei lavori, aveva sollecitato i pagamenti, senza alcun riscontro da parte del convenuto.

Si costituiva in giudizio G.W. chiedendo il rigetto della domanda attorea e, in via riconvenzionale, poichè tutte le porte fornite dalla attrice erano gravemente viziate e difettose, di dichiarare la risoluzione del contratto intercorso tra le parti e condannare la società attrice alla restituzione di Euro 2.400,00 oltre interessi legali e al risarcimento del danno per provvedere alla sostituzione e/o sistemazione delle porte.

La società attrice contestava le deduzioni del convenuto, affermando che le lamentele del G. riguardavano la fornitura e posa in opera di due porte d’ingresso risalenti al 2008, accettate e pagate senza contestazioni, mentre la fattura n. ***** riguardava la fornitura e la posa di altre tre porte blindate commissionate nel giugno 2010.

Assunte le prove per interrogatorio formale e per testi, con sentenza n. 273/2013 dell’8.5.2013, il Tribunale di Verbania rigettava la domanda attorea e, in accoglimento della domanda del convenuto, dichiarava la risoluzione del contratto inter partes e per l’effetto condannava la Falegnameria D. a restituire la somma di Euro 2.400,00, oltre interessi legali dalla data della domanda; rigettava l’ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dal convenuto e compensava tra le parti le spese del giudizio, nella misura di un terzo, e condannava parte attrice a rifondere a parte convenuta i residui due terzi.

Avverso detta sentenza proponeva appello la Falegnameria D., chiedendo la riforma della sentenza impugnata e insistendo nella domanda formulata in primo grado, con vittoria delle spese dei due gradi di giudizio.

Si costituiva il G. chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 1208/2014, depositata il 20.6.2014, la Corte d’Appello di Torino rigettava il gravame e condannava l’appellante a rimborsare all’appellato le spese del grado di lite.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la Falegnameria D. sulla base di sei motivi; resiste G.W. con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, ex “art. 360 c.p.c., n. 3: violazione o falsa applicazione dell’art. 1325 c.c.”, affermando che “il contratto inerente la fornitura delle porte blindate, ancorchè verbale, faceva parte di una ben più ampia fornitura, come descritto nella fattura n. *****, commissionata due anni dopo l’ultimazione delle opere dell’anno 2008”. Infatti il G., dopo aver ordinato una porta blindata, in un secondo tempo, attesa la più forte consistenza, ne aveva ordinate altre due per sostituire quelle di legno fornite e posate due anni prima: il nuovo accordo sarebbe stato svincolato dal contratto del 2008, in quanto le porte fornite nel 2008, sebbene difettate, erano state accettate dal G., che ne aveva pagato il corrispettivo dovuto.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Costituisce principio consolidato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 24298 del 2016; conf., ex plurimis, Cass. n. 1825 del 2010; Cass. n. 2993 del 2009; Cass. n. 14752 del 2007; Cass. n. 8106 del 2006; Cass. n. 14752 del 2002). Pertanto, in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass. n. 5001 del 2018).

1.3. – Nella specie, il motivo (come formulato) soffre della suddetta mancata specificità, risolvendosi in una mera critica al merito della ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito, senza indicare quale errore di diritto sarebbe stato compiuto e in quale esatto passaggio della sentenza; ciò tanto più anche in considerazione della ampia latitudine dispositiva ed applicativa della norma di diritto (art. 1325 c.c.) che si assume violata.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, ex “Art. 360, n. 3 e/o n. 4: violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1”, in quanto il Tribunale e la Corte d’Appello avrebbero errato nell’aver ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dalla teste G.A., in ordine alla sostituzione gratuita delle porte di legno del giugno 2008 con le porte blindate, nè hanno tenuto conto che, ai sensi dell’art. 1667 c.c., comma 3, il committente può far valere la garanzia ove le difformità e i vizi siano denunciati entro 60 giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi 2 anni dalla consegna.

2.1. – Il motivo non può essere accolto.

2.2. – Questa Corte ha più volte sottolineato che compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

A tale affermazione di ordine generale si coniuga il principio consolidato secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Tale affermazione (lungi dal comportare la violazione e/o falsa applicazione dell’evocato art. 116 c.c., comma 1) si pone in stretta coerenza con detta norma, costituendone diretta applicazione.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente rileva, ex “art. 360 c.p.c., n. 3: violazione o falsa applicazione dell’art. 1665 c.c., commi 4 e 5 e art. 1666 c.c., comma 2”, poichè, avendo il G. ricevuto l’opera nel giugno 2008 senza eccepire alcunchè e senza riserve, la fattispecie di cui all’art. 1665 c.c., comma 4, si è concretizzata fin da allora, così come, essendo stato pagato il corrispettivo con estremo ritardo, si sarebbe consolidata l’accettazione dell’opera, concretizzando altresì la fattispecie prevista dal comma 5 del citato articolo.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – La Corte di merito ha rilevato che “quanto alla rilevanza ed alla importanza dei difetti delle porte, giustamente il Tribunale ha ritenuto che esse fossero idonee per la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento della falegnameria e sul punto non vi sono specifiche critiche nell’atto di appello” (sentenza impugnata, pag. 15). Sulla base di tali argomentazioni deve ritenersi che il giudice d’appello, avendo esaustivamente indicato le fonti e le ragioni del proprio convincimento (senza alcuna violazione delle norme evocate), ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dalla ricorrente, che sostanzialmente si limita a prospettare (come, peraltro, nella generalità dei motivi proposti) una diversa ricostruzione delle vicende che hanno dato luogo alla presente controversia (Cass. n. 1916 del 2011). L’accertamento, ad opera del giudice del merito, sia dell’esistenza in concreto dei vizi della cosa venduta sia in ordine al riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi medesimi costituisce un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da errori sul piano logico e giuridico (Cass. n. 10288 del 2002).

Va, inoltre, richiamato il principio secondo cui, in tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass. n. 21927 del 2017).

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 1667 c.c., ovvero dell’art. 2226 c.c., ancorchè si voglia qualificare il contratto come prestazione d’opera”, in quanto il G. aveva accettato l’opera pagandone il corrispettivo con estremo ritardo; il medesimo aveva immediatamente individuato i difetti fin dalla posa in opera delle due porte e ciononostante nulla aveva contestato, anzi saldandone il prezzo; inoltre, il G. non poteva ottenere tutela per il tempo trascorso dalla consegna dell’opera.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Valgono integralmente le considerazioni svolte sub 1.2. (che si intendono ribadite a sostegno della inammissibilità anche di questo motivo), alle quali va aggiunto che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. sez. un. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 10862 del 2018).

Nella specie, la ricorrente ha omesso di richiamare l’art. 360 c.p.c., comma 1, in ciascuna delle sue possibili declinazioni, così di fatto lasciando inammissibilmente al giudice di legittimità l’individuazione della ragione dell’impugnazione.

5. – Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e/o 4: violazione del diritto di difesa ed eccezione di incostituzionalità dell’art. 183 c.p.c., comma 5”, là dove la Corte di merito ha affermato che l’eccezione di decadenza e prescrizione era stata proposta tardivamente, ossia solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, mentre avrebbe dovuto essere proposta nell’udienza ex art. 183 c.p.c., in quanto conseguenza della domanda riconvenzionale. La ricorrente pone il dubbio di costituzionalità di tale norma, in quanto essa non prevede alcun termine in favore dell’attore per proporre eccezioni e domande che siano conseguenza della domanda riconvenzionale. Sarebbe, così, violato il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto, mentre il convenuto ha ampio spazio temporale per espresso dettato dell’art 163 bis c.p.c., all’attore viene negato il tempo necessario per delineare le sue difese, con violazione del suo diritto di difesa (art. 24 Cost.).

5.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

5.2. – La Corte di merito ha ritenuto che “correttamente il primo giudice ha osservato che le eccezioni di prescrizione e di decadenza sono state poste tardivamente dalla Falegnameria con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6: infatti esse avrebbero dovuto essere proposte nell’udienza ex art. 183 c.p.c., in quanto conseguenza della domanda riconvenzionale avversaria”.

L’art. 166 c.p.c., dispone che “Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma dell’art. 163-bis, comma 2, ovvero almeno venti giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’art. 168-bis, comma 5, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all’art. 167, con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione”; il successivo art. 167 c.p.c., comma 2, prevede che, nella comparsa di risposta il convenuto “A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”. La comparsa di risposta si comunica ai sensi dell’art. 170, comma 4, per il quale “Le comparse e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato con l’apposizione sull’originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore”. Infine, l’art. 183, comma 5, dispone che “Nella stessa udienza (di trattazione) l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”.

Ciò detto, non è esatto affermare che la norma censurata non preveda alcun termine in favore dell’attore per proporre eccezioni e domande che siano conseguenza della domanda riconvenzionale, giacchè tale termine decorre dalla data di costituzione del convenuto e del deposito della comparsa di risposta a quella di svolgimento della udienza di prima comparizione delle parti e trattazione della causa (cfr. Cass. n. 9880 del 2016).

6. – Con il sesto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 1458 c.c.”, in quanto il giudice d’appello “ha dichiarato inammissibile l’appello ove veniva richiesto, nella denegata ipotesi di rigetto delle altre richiesta di riforma, di modificare la sentenza del Tribunale laddove, nell’accogliere la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto, non ha disposto le reciproche restituzioni”.

6.1. – Il motivo è inammissibile.

6.2. – Oltre che essere formulato senza alcun riferimento a specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque previste ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c., comma 1 (v. sub 4.2.) così di fatto lasciando inammissibilmente al giudice di legittimità l’individuazione della ragione dell’impugnazione, il medesimo motivo appare assai poco comprensibile proprio con riferimento alla ratio sottesa alla sua proposizione.

7. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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