Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23903 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2442-2018 proposto da:

M.M., considerata domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO SANTAROSSA;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del Procuratore speciale S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 808/2017 del TRIBUNALE di PORDENONE, depositata il 2/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

M.M. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Pordenone, il Fallimento ***** S.p.a. e la compagnia assicuratrice di quest’ultima società per la r.c.a., la Ina Assitalia (poi Generali Italia S.p.a.), chiedendo la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento di tutti i danni dall’attrice asseritamente subiti a seguito del sinistro stradale occorsole in data 22 giugno 2007. Dedusse la M. che, mentre percorreva in bicicletta la pista ciclabile di *****, era stata urtata dall’autocarro Ford Transit targato *****, condotto da B.R. e di proprietà della ***** S.p.a..

Con ordinanza di data 14 dicembre 2012, il Giudice adito dichiarò l’improcedibilità dell’azione nei confronti del Fallimento ***** S.p.a. e condannò l’attrice alla rifusione delle spese di lite in favore della Curatela; il giudizio, pertanto, proseguì nei confronti della compagnia assicuratrice, la quale si era costituita in giudizio contestando integralmente nell’an e nel quantum la pretesa dell’attrice.

Con sentenza n. 453/2015, depositata in data 7 ottobre 2015, il Giudice di prime cure rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

Avverso tale sentenza M.M. propose gravame del quale chiese il rigetto la Generali Italia S.p.a..

Il Tribunale di Pordenone, con sentenza n. 808/2017, pubblicata il 2 novembre 2017, rigettò l’appello e condannò l’appellante alla rifusione, in favore dell’appellata, delle spese di quel grado e, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiarò la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’introduzione del presente giudizio, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Avverso la sentenza del Tribunale M.M. ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito Generali Italia S.p.a. con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Il primo motivo è così rubricato. “Violazione e/o falsa dell’art. 116 c.p.c. e artt. 2669,2700,2697 e 2043 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Come sinteticamente indicato dalla stessa ricorrente (v. ricorso p. 2), con il mezzo all’esame, “Viene censurata la sentenza impugnata del Tribunale di Pordenone nella parte in cui esclude che il danneggiato abbia fornito la prova della sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie illecita (artt. 2697 e 2043 c.c.), contestando al giudice del secondo grado di aver fatto uso, per rigettare la svolta domanda, di parti del verbale degli agenti accertatori prive di ogni rilevanza probatoria privilegiata, nonchè affette da errori presupposti che ne ostacolano in ogni caso la loro utilizzabilità in sede processuale (artt. 2669,2700 c.c.)”.

3. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e/o falsa degli artt. 2697 e 2043 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”, come pure in sintesi indicato dalla stessa ricorrente (v. ricorso p. 2), “Viene censurata la sentenza impugnata del Tribunale di Pordenone nella parte in cui esclude l’utilizzabilità delle deposizioni dei testi di parte attrice escussi nel corso del primo grado di giudizio, stante il contenuto (inutilizzabile per le ragioni sopra indicate e sotto meglio specificate (nel ricorso)) del verbale degli agenti accertatori. Si espongono le ragioni per cui, una volta… tolto ogni valore probatorio al verbale degli accertatori, la causa avrebbe dovuto essere decisa solamente sulla base delle deposizioni dei testi di parte attrice”.

4. I due motivi, che ben possono essere unitariamente esaminati, sono inammissibili.

Essi tendono, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, inammissibile in questa sede. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v., ex plurimis, Cass. 2/08/2016, n. 16056; Cass. 21/09/2015, n. 18484; Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921; Cass., 28 luglio 2005, n. 15805).

Nella specie, l’accertamento di fatto operato dal Tribunale risulta sorretto da motivazione immune da vizi. Inoltre, se è pur vero che questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Cass. 6/10/2016, n. 20025; Cass. 9/09/2008, n. 22662; v. pure Cass. 15/02/2006, n. 3282), tuttavia, nella specie, contrariamente all’assunto della ricorrente, non può sostenersi, alla luce della motivazione della sentenza impugnata (v. in particolare p. 4), che il Tribunale abbia attribuito al verbale redatto dalla Polizia Municipale valore di fede privilegiata, risultando, invece, tale atto essere stato liberamente valutato dal Giudice del merito, sicchè le censure veicolate sul punto con il primo motivo sono inammissibili per estraneità alla ratio decidendi.

Le doglianze della ricorrente non si confrontano con la decisione impugnata neppure laddove, in ricorso, si sostiene che non si sarebbe dovuto tener conto delle dichiarazioni rese alla Polizia Municipale dalla M., non essendo quest’ultima lucida al momento in cui le rendeva per aver assunto, successivamente al sinistro, due anestetici; tale “affermazione della difesa attorea”, infatti, è stata ritenuta dal Tribunale “priva di pregio (oltre che sfornita di prova)” e la motivazione del Giudice di secondo grado al riguardo non risulta specificamente censurata in questa sede.

Infine, non sussistono le lamentate violazioni di legge, evidenziandosi che la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e che il Giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, ben può attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c., (v. Cass., sez. un., 5/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass., ord., 23/10/2018, n. 26769).

5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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